Barbara Baraldi approda alla corte di Dylan Dog: “Tiziano Sclavi? È un unicorno”

La sceneggiatrice emiliana - nonché scrittrice di thriller - da maggio è la nuova curatrice dell'iconico fumetto horror: "Verrà dai miei incubi l'ispirazione per le nuove storie". L'intervista con THR Roma

“Dylaniati è per sempre”. Non è una frase a effetto, ma il pensiero di Barbara Baraldi: la nuova curatrice di Dylan Dog, il fumetto italiano – ancora oggi il più popolare insieme a Tex – che negli anni Novanta raggiunse il mezzo milione di copie vendute. Dopo più di dieci anni come sceneggiatrice e romanziera, l’autrice emiliana, 47 anni, è stata scelta dalla Sergio Bonelli Editore per tramandare gli orrori di Tiziano Sclavi, lo storico creatore di Dylan Dog, sia ai lettori che non perdono un titolo dal 1986 che alle nuove generazioni. L’horror, come dice lei, non passa mai di moda.

Cosa l’ha fatta innamorare di Dylan Dog?

Negli anni Novanta ero una ragazzina. Vivevo in un paesino della bassa emiliana dove c’è sempre la nebbia, nell’ultima casa a sinistra, come nei film horror. E non è una battuta. Ero una darkettona, sempre vestita di nero. Soffrivo di timidezza cronica, non riuscivo a parlare, i miei amici erano i libri. Poi è arrivato Dylan Dog.

E ha trovato un rifugio in quelle storie di orrore?

È la parola giusta. Nelle sue storie c’erano i mostri, i film che amavo e che non conosceva nessuno. Ma dentro c’era anche l’invisibilità, come nella mia vita, perché io camminavo ai margini mentre gli altri vivevano la vita vera.

Una tavola di Dylan Dog

Una tavola di Dylan Dog

Dai romanzi a Dylan Dog: perchè?

Volevo ringraziarlo di avermi fatto sentire meno sola. Ai tempi delle prime proposte ero già una scrittrice di romanzi (la serie Aurora Scalviati, profiler del buio, ndr). Uscivano i primi articoli che parlavano di me, addirittura la Bbc mi fece un’intervista. Poi tradussero i miei libri in inglese. Ma il mio sogno è sempre stato scrivere per Dylan Dog. Cercavo personaggi e incubi mai trattati nel fumetto, ma venivano bocciati.

E poi?

Continuai finché capii che scrivevo con la testa, ma nelle storie non c’ero io. Allora provai con un racconto che scavava in alcuni aspetti della mia vita, come la mia passione per la collezione di bottoni di madreperla, che per me erano una specie di cura, sin da piccola. E finalmente nel 2012 uscì la mia prima storia.

Come ha incontrato Tiziano Sclavi?

Scrissi un racconto sull’origine di Dylan Dog, immaginandolo come il manager di una band, i Bloody Hell. Il curatore di allora la girò a lui. Dopo alcune mail mi ha telefonato. Balbettavo dalla paura, poi gli ho detto una frase di cui mi vergogno moltissimo.

Quale?

Gli dissi: “Qui fino a poco fa c’era la tempesta e ora che mi hai telefonato è uscito il sole”. Non so cosa abbia pensato. Però mi disse che la storia era molto bella.

Oggi che rapporto ha con lui?

Di amicizia. Ci siamo conosciuti di persona e sono andata a casa sua, in questo luogo inaccessibile, una casa circondata dal bosco. Ho scoperto una persona con un’immensa cultura, purezza ed empatia. Ho pensato: sono davanti a un unicorno.

In quell’occasione ha taciuto?

Si, sono stata zittissima (ride ndr). E da quel momento una volta all’anno vado a trovare Tiziano e sua moglie Cristina.

E’ stato Sclavi a proporla come curatrice?

Sclavi e sua moglie mi hanno sempre detto che in me c’era il canone sclaviano, un sentire simile al suo. Sì, è stato lui a fare il mio nome alla casa editrice.
Mi hanno detto che mi hanno scelta dopo una chiacchierata nel bosco.

Ora che Dylan Dog è nelle sue mani porterà la sua visione o cercherà sempre la benedizione del creatore?

L’orrore delle storie ci offre la possibilità di sondare l’inconscio, è come se fosse una seduta di psicoanalisi. E’ quello che faceva Sclavi ed è quello che continuerò a fare. Il suo Dylan è molto moderno e io intendo proseguire con la novità, senza tornare indietro. Certamente resteranno i suoi amici di sempre, Groucho Marx e l’ispettore Bloch.

Quali orrori gli farà affrontare?

Le storie saranno a sé stanti, ma faranno parte di cicli tematici sugli orrori. Mi misurerò con gli sceneggiatori e i disegnatori e i miei incubi saranno di ispirazione.  

I film della Marvel incassano miliardi, le serie sugli zombie si moltiplicano. Dylan al cinema non ha mai funzionato. Perché?

Credo che non sia ancora arrivata la storia giusta. Dellamorte Dellamore (film del 1994 diretto da Michele Soavi, ndr) mi aveva divertito molto, Rupert Everett era perfetto mentre l’ultimo (Dylan Dog – il film del 2010, ndr) non l’ho visto. Ma al cinema vedo sempre ragazzini: l’horror è un genere molto giovanile.

Potrebbe essere lei ad avere la storia giusta. Scriverebbe una serie?

Volentieri. Avrei già una lista di registi a cui proporla: se mai dovesse diventare realtà, sarete i primi a saperlo. Come attore cercherei un volto nuovo. Quale consiglierebbero i vostri lettori?