Vive in Toscana da molti anni, Peter Chelsom, noto regista britannico con la passione per la fotografia. Al punto da mettere in piedi una mostra in Versilia, curata da Beatrice Audrito, con protagoniste alcuni star di Hollywood con cui ha lavorato. Rosamund Pike, Gary Oldman, Jerry Lewis, Jennifer Lopez, Goldie Hawn, Diane Keaton, Warren Beatty, Charlton Heston, Christopher Plummer, John Cusack, Jeremy Piven, Simon Pegg, Danny De Vito, Jean Reno e Dave Grohl sono solo alcuni volti noti degli scatti in bianco e nero del regista di Shall we Dance e Serendipity,
Dal 22 giugno al 14 luglio 2024, il Fortino Leopoldo I di Forte dei Marmi ospiterà Dream Role, l’esposizione di 50 fotografie, molte delle quali inedite, che raccontano non solo le vite di attori famosi ma anche momenti di quotidianità e luoghi d’infanzia. Chelsom, nato a Blackpool nel 1956, ha coltivato una passione per la fotografia sin dall’adolescenza, passione che ha accompagnato il regista per tutta la sua carriera cinematografica, diventando una fonte di ispirazione costante.
“Prima di morire, mio padre mi donò una Kodak Retinette 1B per il mio tredicesimo compleanno. Improvvisamente tutto divenne fotografia. Ne ero ossessionato. Ed è il motivo per cui sono diventato un regista. Crescendo, poi, mi sono reso conto che non traccio un confine tra le due cose”, ci racconta il cineasta nella sua casa in Lunigiana, sorseggiando, da vero inglese, la sua tazza di thé.
Com’è vivere in Italia?
È il migliore paese del mondo dove vivere, è vero! Ho una casa in Italia da più di 22 anni.
Perché ha scelto Fivizzano in Toscana?
Fin da quando avevo pochi anni con la mia famiglia venivamo sempre in Francia e in Italia. Nel 1999 sono venuto a trovare Lindy Hemming, costumista molto famosa, premio Oscar per Topsy Turvy. Ha lavorato in molti film famosi, da Harry Potter a Batman, e ha una casa qui in Lunigiana. Siamo amici da più di 40 anni, quando sono venuto a casa sua mi sono innamorato della zona e ho deciso di comprare a Fivizzano. Ai tempi però era molto difficile venirci, perché abitavo a Los Angeles. Pensi che quando i miei amici mi chiedevano quando sarei riuscito ad andare nella casa italiana, io rispondevo loro almeno tre volte al giorno, perché mi bastava sapere di avere un rifugio in Italia per stare un po’ tranquillo. Era un modo per scappare anche dalla follia di Hollywood.
Come nasce l’idea di una mostra fotografica?
Tre anni anni fa ho fatto il film Security, completamente italiano, prodotto da Indiana Production. Con Marco Cohen, amico e produttore, provavamo dal 2005 a fare un film insieme e l’0ccasione fu l’omonimo romanzo di Stephen Amidon, già autore de Il capitale umano. Abbiamo pensato di ambientare la storia a Forte dei Marmi. Il sindaco durante le riprese mi invitò a fare una mostra quando sarebbe uscito il film. Purtroppo nel 2021 eravamo in piena pandemia, il film non poté andare nelle sale che erano chiuse e fu distribuito direttamente su Netflix, dove raggiunse il terzo posto nella global chart, un risultato incredibile per un film italiano. Quindi abbiamo dovuto rimandare anche la mostra.
Quindi l’idea di fare Dream Role è stata del sindaco di Forte dei Marmi?
Sì, perché lui sapeva che oltre ad essere un regista mi piaceva anche fotografare. Ricordo che prima di iniziare le riprese del film gli feci vedere qualche foto. Fino ad oggi però è stata sempre una cosa solo mia, molto privata.
Tra i tanti scatti della mostra abbiamo scelto come digital cover di THR Roma quella che immortala “l’infermiera” Rosamund Pike. Come è nata quella foto?
Rosamund Pike ha abbracciato completamente il suo ruolo in Hector and the Search for Happiness (Hector e la ricerca della Felicità). Nel film, il suo fidanzato Hector – interpretato da Simon Pegg – aveva una visione del mondo datata e infantile, derivante da un’ossessione per i fumetti di Tintin. Questa è una rappresentazione alla Tintin di un’infermiera. Qualsiasi ruolo interpreti, Rosamund Pike si lascia sempre consumare dal mondo di quel film.
Quanto l’ha aiutata questa sua passione per la fotografia nel suo lavoro di regista?
Tantissimo! Quando sto preparando una scena da girare, prima che gli attori inizino a recitare, mi chiedo sempre se funzionerebbe anche come foto. Essere anche un fotografo influenza inevitabilmente molto il mio lavoro come regista.
Come si giudica come fotografo?
Le persone che hanno visto le mie foto mi dicono che assomigliano molto ai miei film. Lo trovo molto interessante, ma è una cosa di cui non si deve avere troppa consapevolezza. È una cosa che noi inglese chiamiamo: it’s something you can’t help having, qualcosa che non puoi fare a meno di avere.
Insomma, è una cosa innata, naturale?
Esatto, senza provare, è il tuo essere, il modo in cui tu vedi il mondo. Io ho un modo, anche un po’ assurdo, un po’ astratto, di vedere il mondo. Certo, lo rappresento quando mi è permesso, non in tutti i film.
Questo suo essere regista e fotografo non ha mai creato conflitti di ruolo con i suoi direttori della fotografia?
Bella domanda! Onestamente credo che per la maggior parte dei direttori di fotografia con cui ho lavorato apprezzassero molto avere una regista a cui interessa tanto, tantissimo, la fotografia del film. Al contrario ci sono molti registi che non ne sanno niente. Credo invece che sia molto importante. Per esempio, anche in una commedia, si può trovare una risata solamente dall’inquadratura di una scena. Per me, che ho affrontato molti generi, quasi di tutti i tipi, l’inquadratura importa moltissimo.
Qual è il film che da un punto di vista fotografico le ha dato le maggiori soddisfazioni?
Il film Funny Bones, (Il commediante del 1995, ndr), senza ombra di dubbio. Una commedia con Jerry Lewis, Oliver Platt, Oliver Reed, Lee Evans, Leslie Caron e tanti attori non professionisti. Succede spesso che lavori con persone che non sono attori. Credo sia il mio film più personale, quello in cui riesco a vedere il mio talento per la fotografia.
Perché?
Perché i due lavori, il fotografo e il regista, si sono incontrati, più che in tutte le altre mie esperienze professionali, finendo per creare un mondo un po’ surreale, un po’ assurdo, un mondo che non esiste. Come un sogno, o un incubo, dipende. Pensi che mio fratello, nel vedere il film, mi disse che gli sembrava di vedere le mie fotografie muoversi.
Le piace catturare le immagini o è più per i posati?
Mi piace il mix. Nella mostra c’è una parte che si chiama The New York Bench Series, scatti su panchina di New York. Le persone che si sedevano lì non sapevano niente. Pensi che ho usato un specchio a 45 gradi per catturare la spontaneità, l’attimo giusto, senza far capire alla gente che scattavo. Come diceva Henry Cartier-Bresson, bisogna catturare il momento giusto. In quel caso è stato un po’ invasivo e ho dovuto aspettare che i soggetti morissero. Sono foto che ho fatte nel 1987 e non le ho mai pubblicate perché mi sentivo un po’ strano.
Anche i posati non sono niente male.
Tutta la parte di The Dream Roll Project. Ovviamente, quando faccio la foto a Gary Oldman, è un po’ come fare un film, perché ci si deve preparare e discutere prima di qual sia il significato di quella foto. Proprio a Gary ho spiegato che cercavo un significato metaforico, come se ci fossero dei demoni alle spalle, un po’ come un incubo. Per fare uno scatto come quello ci si deve pensare, preparare, discutere, si deve lavorare per poter giocare. Mi piace anche essere sorpreso. Mi piace creare un ambiente in cui tutti possano giocare un po’.
Henry Cartier-Bresson è un suo modello?
Secondo me è assolutamente il migliore. Ha avuto una grande influenza quando ero giovane. Recentemente anche tutto il lavoro di Vivian Mayer. Una donna che negli anni cinquanta faceva la bambinaia per una famiglia a Chicago e che oggi è considerata un esponente di spicco della street photography. Aveva un punto di vista davvero incredibile.
Dipende molto anche dai soggetti fotografati.
È difficile da descrivere. Io, per esempio, dico che la differenza tra un attore e una star è che il pubblico crede di conoscere intimamente un star. In ogni film Cary Grant è Cary Grant. Infatti lui era un attore fantastico. Per me è un po’ simile con le foto. Il mio obiettivo è di vedere qualcosa dentro. Si deve avere l’impressione di conoscere bene il soggetto. Vivian Mayer ha fatto anche questo. È una collezione incredibile.
Oggi lei, tra gli attori, chi considera una star come Cary Grant?
Forse non con lo stesso talento da commedia, ma direi Brad Pitt. Forse anche Leonardo DiCaprio, ma non come Brad Pitt.
Non ha citato Gary Oldman, con cui ha lavorato.
Gary Oldman lo conosco da sempre da, credo, 38 anni. Anche lui è incredibile, ed è anche un bell’uomo: non a caso ha recentemente sfilato per Prada. Con lui ho fatto The Space Between Us. Quel che mi fa ridere, e fa ridere molto anche lui, è che nella foto lui si gonfia le guance come a sembrare ingrassato. Non a caso ho scelto proprio Gary Oldman come manifesto della mostra Dream Role.
Ha anche qualche esempio femminile di star?
Sandra Bullock per me è incredibile, ha una carriera lunghissima, ha un grande, grande range recitativo. Anche Cate Blanchett è un altro esempio, così come Kate Winslet. Quello che mi piace di tutte queste attrici è che hanno la capacità di sacrificarsi, rischiano, non gliene frega niente di apparire solo belle.
Come sta vivendo questo momento di attesa prima del debutto come fotografo?
Sono un po’ ansioso perché per me questa è una cosa nuova. È bello scoprire un nuovo mondo, quello delle mostre fotografiche, che è completamente diverso dalle presentazioni di un film, dove bisogna solo fare l’opera e poi le interviste per promuoverla. Con una mostra invece devi pensare a tutto, dall’A alla Z. Per fortuna ci sono degli amici che mi hanno aiutato, per esempio a trovare questo laboratorio di Firenze, il Center Chrome, dove c’è Luca, un ragazzo che fa tutto lo scan del negativo in alta alta risoluzione e la stampa. Un talento incredibile, io non so cosa avrei fatto senza quel laboratorio. Ecco, una cosa che mi dà tanto tanto piacere è trovare delle persone nuove con tanto talento.
Ha girato alcuni film in Italia. È molto diverso che realizzarli a Hollywood?
È molto diverso. Ricordo che mio figlio dopo tre settimane di riprese di Security mi fece notare che avevo rifatto un ciak quattro volte perché un attore aveva dimenticato le battute. A Hollywood non succede quasi mai. Anche se gli attori italiani per me sono stati bravissimi e professionali. È stata davvero un’esperienza fantastica.
Come è stato lavorare con degli attori italiani?
Marco D’Amore era un vero gentiluomo. Fabrizio Bentivoglio? Se fosse inglese si chiamerebbe Sir Fabrizio Bentivoglio, per me è la versione italiana di Kenneth Branagh o Ian McKellen, di quel livello senza dubbio. Complessivamente è davvero un gran piacere lavorare con loro. Voglio continuare a lavorare in Italia. Ho appena finito di girare un film sulle Dolomiti con Danny DeVito e Andie McDowell.
A sudden case of Christmas, quando uscirà?
A novembre, è un film di Natale. Sono molto fiero del film, è stato anche molto, molto difficile, perché io sono abituato ad avere più giorni per girare. Ma ce l’abbiamo fatta! Mi è piaciuto molto lavorare con Guglielmo Marchetti e la Notorious Pictures. Hanno la mia ammirazione, vogliono crescere e fare anche film internazionali.
Le piace il cinema italiano?
La vita è bella è uno dei migliori film del mondo. Fantastico anche The Tree of the Wooden Clocks (L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, ndr). Cito anche Paolo Sorrentino, perché fa film che sono un po’ come dei sogni. Mi è piaciuta molto La prima cosa bella, ho molta ammirazione per Paolo Virzì. Mediterraneo di Gabriele Salvatore mi è piaciuto molto. E ovviamente La porta del cielo di Vittorio De Sica.
Ha lavorato anche con suo figlio, Christian De Sica.
Volevo fotografare Christian, che conosco da 12 anni ed ha una casa in zona, ma in questo momento sta girando sulle Dolomiti e non era disponibile. Pensi che ero anche sul punto di fare un film sulla vita di Vittorio De Sica, su cosa è successo durante la guerra e Christian intendeva fare il ruolo del suo papà. Siamo stati sul punto di farlo, per me rimarrà il mio miglior film che non ho fatto. Se siamo ancora in tempo, sarebbe una storia incredibile, quella di De Sica. Il Vaticano gli chiese di fare un film, lui all’inizio rifiutò. Due settimane dopo i nazisti gli chiesero di fare un film per loro e lui rifiutò dicendo di aver già accettato l’offerta del Vaticano. Con quel film riuscì a proteggere molti ebrei dai nazisti arrivando al punto in cui, non avendo abbastanza fondi finanziari per allungare i tempi del film, continuò a far finta di girare senza pellicola nella macchina.
The White Lotus, Ripley, presto arriverà Costiera, il suo film: sembra che gli americani stiano riscoprendo l’Italia.
Gli americani sono da sempre innamorati dell’Italia. Per me un film non è un documentario, il cinema deve essere come un sogno, un mondo che non esiste necessariamente. e qui in Italia si può creare un po’ più di magia. Io mi sento più ispirato quando sono qui, più che per le strade di Londra. Infatti il mio prossimo film, The Beauty of Sharks, una storia incredibile, un thriller, sarà ambientato nel 1958 ad Amalfi. Inizieremo a girare a gennaio.
The Dream Role by Peter Chelsom – Anteprima
Goldie Hawn e Diane Keaton
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