L’attrice e storica (ormai ex) portavoce della America Foundation For AIDS Research (amfAR), ci ha parlato delle sue lotte, di quella contro Weinstein, del perdono e di come sia miracolosamente tornata dalla morte.
Nel 1995, Sharon Stone si trovava a Cannes per presentare il suo nuovo film diretto da Sam Raimi, Pronti a Morire, quando ricevette la proposta che accettò di sostituire Elizabeth Taylor che si era infortunata, come testimonial per la raccolta fondi in Costa Azzurra a favore della American Foundation For AIDS Research. Gli anni 90, come gli 80, erano tempi in cui l’AIDS era un tabù. Furono molti a consigliarle di non accettare, ma lei se ne infischiò, diventando il testimonial della Fondazione per ben 20anni.
In vista del suo discorso programmatico al summit congiunto di THR con il Social Impact Fund, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di una chiacchierata senza filtri con lei, un’icona che a 66 anni fa ancora discutere e sembra conservare le forze e la tenacia di un’attrice a inizio carriera.
Allora Sharon, la prima domanda è quasi ovvia, chi ti ha detto che diventare testimonial dell’AmfAR avrebbe rovinato la sua carriera?
“La mia manager dell’epoca, Cindi Berger. All’epoca eravamo inseparabili. Eravamo a Cannes e la dottoressa Krim e il suo team ci contattarono. Io e Cindi ne abbiamo parlato. Eravamo in una stradina laterale di Cannes, al buio, e lei mi disse: “Se lo fai, ti rovinerai la carriera”. E io ho risposto: “Lo so”. E lei: “Ma se non lo fai, non credo che potrei mai più parlare con te”.
Già all’epoca altre celebrità avevano legato il loro nome a delle cause, no?
“Elizabeth (Taylor ndr) lo fece, e prima di lei c’era stata Audrey Hepburn per le Nazioni Unite. Ma le grandi star non facevano nulla per i gruppi sottorappresentati, soprattutto per un gruppo che veniva stigmatizzato. Ricordo che a Cindi venne l’orticaria sul collo quando ne abbiamo parlato a Cannes”.
Ci sono state conseguenze per la tua scelta?
“Non ho avuto ruoli. Non riuscivo a ottenere un lavoro. Le persone mi rifiutavano senza che io me ne accorgessi. Ero in lizza per un bellissimo film di un autore – non dirò chi era – e non ho mai ricevuto la sceneggiatura. Ancora oggi il regista non crede che io non abbia letto la sua sceneggiatura”.
L’anno successivo, nel 1996, hai vinto un Golden Globe e sei stata candidata all’Oscar per Casinò…
“Ma non avrei mai vinto un Oscar. Mai. Francis Ford Coppola venne da me quando fui nominato e mi disse: “Non vincerai”. Mi disse: “Voglio che tu sia preparata. Non voglio che tu crolli davanti a queste persone”.
Perché nel 2015 hai lasciato l’amfAR?
“Avevo un rapporto stretto con la dottoressa Krim, ma poi lei è morta e io dovevo ancora avere a che fare con Harvey Weinstein, che è stato coinvolto con amfAR per 10 anni. Non ha abusato di me sessualmente, ma è stato fisicamente violento. Mi lanciava dall’altra parte della stanza, mi afferrava. Quando partecipavo all’asta dell’amfAR, saliva sul palco e mi metteva una mano intorno al collo, poi afferrava il microfono e cercava di cambiare le offerte. Per avere a che fare con lui mi è servita un’enorme dose di pazienza”.
Sappiamo per certo che hai avuto molte esperienze con i misogini di Hollywood…
“Beh, Hollywood è misogina per natura. È un business gestito da uomini. È un’attività in cui gli uomini fanno i soldi. Dove gli uomini scrivono, producono e dirigono i progetti. Dove gli uomini scrivono le parti che vengono interpretate dalle donne. E queste parti non sono scritte su donne reali. Sono scritte per rappresentare la fantasia di come le donne dovrebbero essere. Poi, i critici maschi ti dicono se hai soddisfatto o meno le loro aspettative, se ti sei comportata nel modo giusto. Fino a Basic Instinct, le donne dovevano accavallare le gambe in un certo modo sullo schermo, alle caviglie. Non si potevano accavallare le gambe come un uomo. Non era nemmeno permesso mostrare le ascelle. Abbiamo dovuto ottenere il permesso di mostrare le ascelle in quel film, non scherzo”.
Aspetta un attimo, stai dicendo che Paul Verhoeven aveva bisogno di un permesso per mostrare le tue ascelle?
“Sì, per la scena delle ascelle abbiamo dovuto avere il permesso”.
A proposito di Basic Instinct. il suo personaggio in quel film – Catherine Tramell – è tuttora argomento di discussione. Alcuni critici dicono che è un mostro anti-femminista, altri la acclamano come una potente icona di femminilità emancipata. Qual è la verità?
“Credo che dipenda dal fatto che vi spaventi o meno”.
E tu? Cosa pensavi di lei?
“Volevo così tanto interpretarla che ho tenuto il copione sopra il mio frigorifero per otto mesi. Continuavo a pensare: “Otterrò questa parte”, mentre la offrivano a tutti gli altri attori del pianeta…
In effetti girano voci che molte attrici hanno rifiutato la parte…
“Io sono stata la tredicesima scelta. Il produttore di linea me lo disse incessantemente per tutta la durata delle riprese, mentre mi chiamava Karen. “Tu eri la tredicesima scelta”.
Poi esce il film e improvvisamente sei una delle più grandi star del mondo.
“Cosa che non ho capito per un bel po’, perché quando ho fatto Atto di Forza per almeno tre mesi mi chiedevano interviste eccetera, ma con Basic Instinct, la notorietà, o almeno il ricordo del mito non è mai morto”.
Ti piaceva essere famosa?
“Sì! È stato folle. Mentre camminavo sul tappeto di Cannes e un migliaio di persone iniziavano a cantare il mio nome, sono stata colpita da un’ondata di qualcosa che potremmo definire pace, una sensazione di calma, per certi versi anche sollievo”.
Sollievo da cosa?
“Quando ero piccola e vivevo a Meadville, in Pennsylvania, sapevo che sarei diventata una star del cinema, questo era il mio destino. Avrei vissuto in una casa con una scala a chiocciola. La cosa però era strana, perché ero molto timida. Figurati che quando leggevo la Bibbia in Chiesa ero così timida che le lacrime mi cadevano sulle pagine della Bibbia. Ero il tipo di bambina che si sedeva nell’armadio con una torcia e leggeva. Ma sapevo che sarei diventata una star. Così, quando è successo, mi sono sentita improvvisamente come se fossi nel mio corpo, una vera sensazione di sollievo”.
Non sei cresciuta in una famiglia ricca, giusto?
“Mio padre guadagnava 14.000 dollari all’anno e aveva quattro figli, e nella nostra comunità eravamo considerati benestanti perché avevo scarpe da scuola e da gioco. Sono cresciuta in un posto senza semafori. Nella mia classe c’erano 87 persone. I bambini andavano a scuola con i loro trattori dopo aver fatto le loro faccende. Ma sapete, ho appena scoperto di essere una reale francese. Ho appena seguito quel programma sulla PBS, Finding Your Roots, e ho scoperto di essere imparentata con Carlo Magno. Vengo da una lunga stirpe di reali di Francia”.
Pensa che l’ambiente sia migliorato? Il movimento #MeToo ha fatto la differenza?
“Penso che gli uomini siano uomini e le donne siano donne. E penso che sia qualcosa che dovremmo volere. Penso che dovremmo volere che gli uomini flirtino con noi. Al giorno d’oggi ci sono donne a cui non piacciono certe cose che a me piacciono ancora. Per esempio, non voglio che un uomo mi chieda se può baciarmi, non lo voglio proprio. Voglio che mi afferri e mi baci…”.
Ma solo se si tratta dell’uomo giusto, presumo. Ovviamente vuoi poter dire di no.
“Sì, se non lo voglio, voglio dire “No, grazie” e che si fermi. Ma se è l’uomo giusto e mi sbatte contro il muro e mi bacia, sì, per favore. Mi manca davvero la passione. Mi manca molto l’espressione sessuale. Trovo tutto questo molto soffocante. Inoltre, abbiamo davvero bisogno di tracciare una linea tra ciò che è un reato e ciò che on lo è. C’è una bella differenza tra una pacca sul sedere e uno stupro. Non sono la stessa cosa”.
Di recente sei finita in un mare di guai per aver difeso Kevin Spacey…
“La gente è arrabbiata con me proprio per questo. Ho detto che dopo essere stata in terapia per sette anni, non aver potuto lavorare, aver perso la casa, aver perso tutto, dovrebbe avere il permesso di tornare. Ha contattato tutti quelli che ha offeso e ha detto che gli dispiace. Nessuno ha detto pubblicamente di essere stata violentata o costretta a un rapporto sessuale da lui. Ma c’è tanto odio nei suoi confronti perché nel suo caso si è trattato di un rapporto uomo contro uomo. Ecco perché non gli è permesso di tornare. Perché ha offeso gli uomini. Ma posso dirvi quanti uomini mi hanno toccato i genitali nel corso della mia vita? Nessuno di loro si è mai scusato con me”.
Possiamo parlare del tuo ictus nel 2001? Ti era stato dato l’1% di possibilità di sopravvivenza. Hai perso l’udito da un orecchio. Ti sono state impiantate chirurgicamente 23 bobine di platino nel cervello. In mezzo a tutto questo, c’è stato il divorzio da tuo marito di allora, Phil Bronstein…
“Diciamo che la separazione è stata la parte positiva”.
L’ictus ha cambiato il tuo modo di pensare?
“Assolutamente sì. Al cento per cento. Un monaco buddista mi disse che mi ero reincarnata nel mio stesso corpo. Ho avuto un’esperienza di morte e poi mi hanno riportato indietro. Ho avuto un’emorragia cerebrale per nove giorni, così il mio cervello è stato spinto nella parte anteriore del viso. Non era più posizionato nella testa come prima. E mentre questo accadeva, tutto è cambiato. Il mio olfatto, la mia vista, il mio tatto. Per un paio d’anni non ho potuto leggere. Le cose si allungavano e vedevo schemi di colori. Molte persone hanno pensato che sarei morta”.
E ci sono voluti sette anni per riprendersi completamente, giusto?
“Sì, e in quel periodo la gente si è approfittata di me. Avevo 18 milioni di dollari da parte grazie al mio successo, ma quando sono rientrata nel mio conto non avevo più un dollaro. Il mio frigorifero, il mio telefono, mi avevano tolto tutto”.
Come ti sei ripresa da questa situazione?
“Ho deciso di non aggrapparmi alla malattia, all’amarezza o alla rabbia. Se si morde il seme dell’amarezza, non lo si lascia mai. Ma se hai fede, anche se questa fede è grande come un granello didi senape, sopravviverai. Quindi, ora vivo per la gioia. Vivo per uno scopo”.
This content was entirely crafted by “Human Nature” THR-Roma
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