
Era il 17 novembre 2011 quando nasceva a Roma una scuola di alta formazione artistica, completamente gratuita, destinata a diventare un punto di riferimento importante per chi in Italia coltiva il sogno del cinema, ma con la ferma intenzione di non tenerlo nel cassetto.
E in effetti in poco più di due lustri la “Gian Maria Volontè” ha sfornato talenti ad uso e consumo di un’industria del cinema che anche grazie a questa realtà si è indubbiamente ringiovanita, arricchendosi del lavoro di giovani attori, sceneggiatori, artigiani e maestranze che negli ultimi anni hanno attirato l’attenzione del pubblico e della critica internazionale.
Un nome è sotto gli occhi di tutti, Romana Maggiora Vergano, vera rivelazione del film campione di incassi del 2023 C’è ancora domani, che ha confermato preparazione e talento anche nel successivo Il tempo che ci vuole.
Accanto a lei sono sbocciati altri giovani attori che si stanno facendo notare come Simone Liberati, protagonista, tra gli altri film, di Cuori puri, Gabriel Montesi, che ha già legato il suo nome a quello di diversi autori importanti, da Marco Bellocchio a Gianni Amelio, o ancora Paola Buratto, interprete delle serie di successo Bang Bang Baby e Call my Agent 2.
Alle presenze più visibili si aggiungono, naturalmente, quelle di chi lavora dietro le quinte, come gli sceneggiatori Greta Schicchitano, Fabio Natale, il collettivo Grams, i montatori Simone Altana e Marco Signoretti e tanti altri nomi, tra fonici, scenografici e professionisti degli effetti speciali.
Ma cosa rende questo laboratorio artistico così proattivo e pronto a rispondere e ad intercettare le esigenze di un settore in costante mutamento e anche per questo di tutt’altro che facile accesso? A risponderci, raccontando l’anima profonda della Gian Maria Volontè, sono le stesse persone che l’hanno sognata, progettata e realizzata e che oggi la rendono una delle realtà formative più all’avanguardia in tutt’Italia.
Daniele Vicari, direttore artistico, sottolinea l’importanza di seguire la naturale evoluzione tecnologica che un ambito come il cinema comporta, soprattutto in questo periodo: “Il cinema è stato sempre sottoposto in maniera molto forte alla modificazione della tecnologia, alla sua continua evoluzione e in questo senso chi fa cinema deve educarsi al cambiamento, le scuole di cinema, in primis, devono insegnare questo. Perché? Perché noi ormai viviamo in una società che dà per scontato l’esistenza di apparecchi di ripresa fin dalla più tenera età: tutti i ragazzi e le ragazze crescono con in mano un apparecchio per filmare. E questo non può non cambiare il rapporto che abbiamo con questa grande possibilità. All’inizio del Novecento, gli apparecchi di ripresa li avevano in mano solamente un pugno di persone, oggi la situazione è completamente ribaltata”.
Inevitabilmente si parla di come cambiano i rapporti e le modalità di apprendimento del linguaggio e quindi anche l’attitudine degli individui a raccontare storie attraverso le immagini: “La nostra scuola – prosegue Vicari – si attrezza giorno per giorno per riflettere e modificarsi in base a questo percorso, che è un percorso che tutti noi siamo costretti a fare per arrivare a un uso profondo e totale della tecnologia improntato alla capacità critica, cioè discriminando le varie possibilità tecniche che abbiamo di fronte. Il cinema è già cambiato da questo punto di vista e non mi riferisco solo all’intelligenza artificiale, pensiamo ad esempio alla lunga serialità che ormai è cinema espanso.
E le domande che in questo senso una scuola deve farsi sono tante, tra queste quella fondamentale è: come cambia la percezione del tempo di un regista attraverso una narrazione che può durare anni? O qual è il suo ruolo? perché nella serialità il regista potrebbe anche non contare niente ma le sue funzioni sono in qualche modo suddivise tra diverse figure professionali che prima non svolgevano questo ruolo. E come si studia questa cosa? Noi vogliamo una scuola che rifletta sul cinema da tutti i punti di vista, e non solo che ‘produca’ possibili professionisti. Insomma, una vera scuola di cinema non può ragionare senza pensare che il futuro è già qui”.
In questa riflessione costantemente rivolta al futuro s’inserisce anche il pensiero del coordinatore generale Antonio Medici, il quale fa notare come il senso di un percorso formativo diverso sia stata la spinta che ha portato alla realizzazione della scuola stessa: “nell’ idea iniziale della Volontè c’era già un po’ del suo futuro, perché nasce dalla volontà di un gruppo di cineasti che si rende conto che l’offerta per la formazione ai mestieri del cinema, le professioni del cinema, era molto ridotta in Italia e che mancava quello sbocco naturale al mondo del lavoro che questo tipo di scuole dovrebbero avere. Inoltre, un requisito importante per noi era ed è la gratuità – fondamentale è stato condividere questa esigenza con la provincia di Roma, che all’epoca aveva la gestione dei centri di formazione professionale, e ha investito in questa esperienza che abbiamo voluto fosse da subito pubblica e gratuita”.
Ma altri aspetti contraddistinguono in maniera virtuosa l’attività della scuola, come, ad esempio, il lavoro di sinergia che i vari corsi fanno insieme: “fin dall’inizio questo gruppo di cineasti si muove come una squadra e pensa che il cinema si faccia insieme – continua Medici – e quindi l’impostazione della didattica è fortemente connessa a quest’idea di gruppo. Lo è da sempre. Non abbiamo mai pensato a corsi separati gli uni dagli altri, fin da subito abbiamo sentito l’esigenza di una formazione integrata tra il momento della specializzazione e il momento della collaborazione”.
Dell’importanza della collaborazione fra i diversi indirizzi ne parla anche Paola Sangiovanni che nello specifico segue i tirocini e cura i rapporti tra scuola e industria cinematografica: “l’esperienza del lavoro di squadra e dello scambio permette agli studenti di acquisire una consapevolezza importante per lavorare in questo ambito, ovvero che un’opera audiovisiva è un’opera collettiva. Tant’è vero che molto spesso gli allievi che vanno a fare delle esperienze di tirocinio sui vari set vengono quasi sempre richiamati anche nel periodo in cui la scuola non c’è. E il commento che sento più di frequente da parte delle produzioni o dei professionisti che li reclutano è che si nota che sono diversi, proprio perché hanno un atteggiamento meno settoriale e di conseguenza sanno più di altri come muoversi”.
“Oltre a fare tutte le esercitazioni che si devono fare in una scuola, le riflessioni teoriche, le esplorazioni, il lavoro pratico – aggiunge Vicari – i nostri allievi vanno sui set e alla fine del triennio hanno fatto almeno tre film che stanno nel contesto produttivo. In questo senso non ci sentiamo solo in stretto rapporto con l’industria, ma pensiamo di essere proprio un pezzo di essa. Ed è anche per questo che abbiamo deciso, fin dal primo anno, che tutte le persone che insegnano a scuola devono essere persone attualmente attive nel mondo del cinema”.
In queste parole, ma soprattutto in questi fatti, è impossibile non ravvisare lo spirito di chi questa scuola l’ha ispirata con il suo nome, un artista che ha rivoluzionato l’idea dell’attore, trasformandola in una figura moderna più cosciente e responsabile, quasi un co-autore in grado di “partecipare criticamente” al film.
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