
Vermiglio non ce l’ha fatta. Nonostante la candidatura ai Golden Globes, il premio a Venezia, la stampa entusiasta, la regista, Del Pero, impegnata da mesi in un tour americano iniziato dal MoMa di New York. Cos’è che non ha funzionato?
The Hollywood Reporter Roma ha raggiunto a Parigi Chiara Sbarigia, a capo di Istituto Luce Cinecittà per ragionare insieme a lei della nostra endemica debolezza nel promuovere i nostri film nella campagna dell’oscar
Lei ha vissuto vicino diversi di questi momenti. Quali sono i veri limiti della nostra azione?
Partiamo tardi, dopo Venezia, non abbiamo gli investimenti necessari e massicci a rendere sensibile la distribuzione negli States e soprattutto abbiamo un problema di sistema: non c’è una pianificazione strategica e organica di tutti gli interventi necessari a raggiungere tutti i possibili “voters” che potrebbero innamorarsi dei nostri film
Forse dipende anche dal tipo di cinema che si esprime in un determinato film. Ermanno Olmi, che è il nume tutelare di Vermiglio, tra i maestri riconosciuti del cinema italiano del dopoguerra, non ha mai raggiunto il palco degli oscar. Non sarà che c’è un cinema europeo d’autore (pensiamo anche al film di Almodovar o a quelli di Moretti) la cui lingua è estranea anche ai più cinefili dei votanti?
Non saprei rispondere, non sono un critico. Però tra le nomination dei film internazionali, penso al film iraniano o a quello danese, c’è anche un “altro” cinema completamente diverso dal loro. Nella mia esperienza come presidente dell’Istituto Luce Cinecittà, ormai da diversi anni, mi sono fatta l’idea che non abbiamo le competenze necessarie per portare a buon fine quella campagna capillare, porta a porta, grazie alla quale, soprattutto i film candidati all’oscar come miglior film internazionale, raggiungono il consenso necessario almeno a partecipare alla serata con la nomination
Che idea si è fatta della criticità del nostro supporto? Mancano delle particolari figure professionali?
Esatto. Professionisti della comunicazione dei social che però conoscano bene i mercati internazionali. Più che figure americane, servono competenze che conoscano bene entrambe i territori e che sappiano, finalmente, parlare, alla pari, con i mitici publicist americani. Da quanto non capitava che i film italiani andassero così bene al box office occupando le prime posizioni? In questo momento sono a Parigi per la presentazione del film di Ferzan Ozpetek, Diamanti, che ha richiamato da noi un numero sorprendente di spettatori e che qui in Francia promette di ottenere una buona attenzione. Ecco, bisognerebbe approfittare di questo momento per portare il nostro cinema altrove.
E cos’è che non si deve più fare?
Le faccio un esempio. 4 anni fa ho partecipato ad una grande cena a Los Angeles per promuovere la candidatura alla nomination di un film italiano. C’erano 400 persone. Quando ho chiesto quanti di questi invitati votassero, qualcuno mi ha risposto: 2.
“Ha ragione Chiara Sbarigia – dichiara Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema che The Hollywood Reporter Roma ha raggiunto a Londra – la campagna della promozione dei film italiani per l’oscar dovrebbe partire molto prima, con una certezza di risorse che potrebbero attingere al fondo dello spettacolo e con una pianificazione coordinata di ingaggio di distribuzione, sale, publicist”
È difficile per un film italiano, tuttavia, competere con un budget valutato intorno ai 50 milioni di dollari che Netflix avrebbe investito su un film come Emilia Perez
E’ vero. Ma se avessimo qualcuno che da noi facesse il “regista” della promozione all’oscar, pianificando e coordinando tutte le azioni necessarie sarebbe tutto molto diverso: questo significherebbe davvero “fare sistema” Peraltro, il problema italiano vero è che i votanti del nostro paese sono circa un centinaio. Come si fa a competere con un film inglese che può contare invece su circa 900 votanti del loro paese?
Eppure Vermiglio ha potuto godere di un gradimento eccezionale anche fuori dai nostri confini
Hanno fatto un gran lavoro, portando in giro il film dappertutto, sia in Europa che negli USA, ma il loro budget era assai diverso. In realtà credo che Vermiglio non abbia avuto accesso alla cinquina per la presenza di Flow, un film d’animazione di tale natura e qualità non era pronosticabile nella cinquina del film internazionale.
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