La rivoluzione silenziosa delle iraniane

Leggere Lolita a Teheran, in anteprima mondiale a Roma, racconta una storia di ribellione tutta al femminile. Regista israeliano, coproduzione italiana, riprese a Roma e cast di attrici iraniane esuli in Francia. Dal best seller di Azar Nafisi che ha venduto oltre un milione di copie negli Stati Uniti

Un film che parla della ribellione silenziosa, tenace, coraggiosa di un gruppo di donne nell’Iran di Khomeini. Un gruppo di donne che, nell’Iran del regime integralista nato dalla rivoluzione del 1979, quella rivoluzione che ha portato indietro di secoli l’orologio della Storia, decidono di riunirsi in casa della loro insegnante di Letteratura inglese, e di leggere quei libri occidentali, proibiti. 

È una storia di donne che hanno perso la propria identità, anche la fiducia in se stesse. E che si ritrovano grazie alla letteratura: liberando i propri capelli, e le loro menti. 

Una ribellione piccola che diventa immensa, in un paese dove protestare può portare all’arresto, alle frustate, alla morte. Leggere Lolita, Il grande Gatsby, o Orgoglio e pregiudizio nell’Iran del 1988 o del 1996 può essere terribilmente rischioso. 

Leggere Lolita a Teheran, presentato in anteprima mondiale in concorso alla Festa del cinema di Roma, è tratto dal libro pubblicato vent’anni fa da Azar Nafisi. Da allora, il libro è rimasto un successo mondiale: è stato per 117 settimane fra i best seller del New York Times, ed è stato tradotto in 32 lingue. Ha venduto un milione di copie negli Stati Uniti, e centocinquantamila in Italia. 

Il film è interpretato da un cast quasi tutto al femminile. L’insegnante di Letteratura inglese è Golshifteh Farahani, la protagonista di Paterson di Jim Jarmusch, oltre che partner di Johnny Depp ne I pirati dei Caraibi. Fra le allieve, Zar Amir Ebrahimi: era la protagonista di Holy Spider, che le valse il premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes, nonché la protagonista e coregista di Tatami. Con loro, Mina Kavani (Gli orsi non esistono), oltre a un cameo interpretato dalla stessa scrittrice Azar Nafisi. Nessuna di loro vive in Iran. 

Coproduttori del film sono Gianluca Curti e Santo Versace di Minerva Pictures, Marica Stocchi di Rosamont e Raicinema. La regia è dell’israeliano Eran Riklis, il regista de La sposa siriana e Il giardino di limoni. 

Le riprese si sono svolte in gran parte in Italia, con edifici universitari utilizzati come set durante i periodi nei quali non si svolgevano lezioni. 

“Volevamo fare il film da anni”, dice a THR Roma Gianluca Curti, che ha coprodotto il film con Minerva Pictures. “Desideravo trarre un film dal libro di Azar Nafisi da prima che l’Iran tornasse prepotentemente di attualità, dopo il caso di Mahsa Amini, la ragazza arrestata a Teheran perché portava il velo in modo ‘scorretto’, e poi morta durante la sua prigionia”.

Prosegue Curti: “Volevamo fortemente fare questo film, perché racconta una tragedia del nostro tempo, una tragedia che ha come vittime le donne dell’Iran. Sono loro le vere vittime del regime iraniano, e il libro di Nafisi lo chiarisce perfettamente”. 

Il regista e coproduttore del film è l’israeliano Eran Riklis, che vive tuttora a Tel Aviv. “Ma è uno dei tanti israeliani che, ogni sabato, scendono in piazza a contestare Netanyahu”, dice Curti. “E’ un uomo di pace, e il suo film – che mette insieme un’autrice iraniana che vive negli Stati Uniti, delle attrici iraniane che vivono sparpagliate in Europa e un regista israeliano – è esso stesso un ponte di pace”. 

Protagonista del film è Golshifteh Farahani, la prima star iraniana a lavorare in una grande produzione di Hollywood con I pirati dei Caraibi. Dice Curti: “Una sera ero con lei. Le ho chiesto: ma non hai mai paura, per la tua famiglia, tuo fratello, tua madre che sono in Iran? Mi ha risposto: ‘Ma io combatto per quaranta milioni di donne iraniane: è più importante della mia stessa famiglia”. 

In conferenza stampa, a Roma, Golshifteh Farahani – che è esule in Francia dal 2009 – ha detto: “In Iran la cultura è qualcosa di esistenziale, un mezzo di sopravvivenza. Noi siamo sopravvissuti attraverso la cultura nei secoli. Quella islamica non è la sola invasione che abbiamo vissuto: abbiamo vissuto l’invasione dei Mongoli, degli arabi. Abbiamo trovato rifugio nella poesia, nell’arte, nell’architettura, nella narrazione. Ed è così che siamo rimasti ciò che siamo”.

“Come artisti, abbiamo messo a rischio noi stessi e le nostre vite, le vite dei nostri familiari”, dice Farahani. “Ma qualcosa adesso sta cambiando: adesso gli uomini scendono in piazza insieme alle donne. Se all’epoca, quando il regime ha istituito il velo obbligatorio per le donne, se i nostri mariti, fratelli, padri fossero scesi in piazza insieme alle donne, forse avremmo avuto un’altra vita. Ma non lo hanno fatto. Due anni fa, durante le proteste dopo la morte di Mahsa Amini, gli uomini sono morti gridando ‘Vita e libertà per le donne’. Oggi abbiamo una rivoluzione femminista unica, gli uomini muoiono per la libertà delle donne. Il velo è un muro del regime: ogni donna che non indossa il velo dice no al regime, umilia il regime”. 

“Girando questo film, ho capito meglio tutto questo”, ha proseguito Farahani. “Insieme alle mie sorelle in esilio, ci sosteniamo l’una con l’altra. Portiamo alta l’umanità contro questa tenebra”. 

Leggere Lolita a Teheran uscirà il 21 novembre in Italia, con Minerva Pictures. 

 

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