Proiettato oggi nella sezione “Special screenings” della Festa del cinema di Roma, La valanga azzurra è un documentario che racconta uno spicchio di storia d’Italia. Una pagina di storia dello sport, e insieme una pagina di storia collettiva.
La valanga azzurra racconta, attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti, gli anni in cui l’Italia vinceva tutto quello che si poteva vincere, nello sci. E di colpo, quello sport d’élite diventò pop. Conquistando centinaia di migliaia di appassionati, in tutto il paese. Erano gli anni ’70, e quei campioni si chiamavano Gustavo Thoeni, Pierino Gros, Helmut Schmalzl, Paolo De Chiesa.
Il film mette insieme le interviste con loro e il racconto in prima persona del regista, Giovanni Veronesi. “C’è la neve, in tutti i miei ricordi”, dice Veronesi. “Ogni sabato andavo a sciare, era un’ossessione, una passione vera. Io volevo essere come Gustavo Thoeni, da bambino. Poi mi sfracellai, in una gara, e fu la fine di una carriera mai iniziata. Ma quella passione, per gli sci, per la danza sugli sci, mi è sempre rimasta”.
La squadra di sci italiana di quegli anni d’oro, quando in una gara di Coppa del mondo cinque italiani finirono nei primi cinque posti, venne chiamata “Valanga azzurra”. “Fu un giornalista del Corriere della Sera a coniare quel termine, con un’enfasi innocua e gioiosa, di cui solo lo sport è capace”, dice Veronesi.
A presentare il film, a Roma, ecco i campioni di allora. Piero Gros, Gustavo Thoeni, Paolo De Chiesa. “Quando sono andato a incontrarli ero più emozionato di quando ho incontrato Robert De Niro”, confessa Veronesi. “Loro erano i miei miti, i miei santini. Poi sono riuscito a entrare un po’ nelle loro vite, ho bevuto mille birre con Gustavo Thoeni, lo ho spinto persino – lui così riservato, timido, schivo – a raccontare una barzelletta”.
Timido e schivo, Thoeni – il primo, cronologicamente, di quei campioni, emerso già nel 1970 – lo è anche nell’incontro con i giornalisti. “Rivalità fra noi? C’era una rivalità sana, quella che ti spinge a fare sempre meglio, ma non eravamo invidiosi delle vittorie dell’altro”, dice.
Piero Gros, che venne alla ribalta nella Coppa del mondo del 1972/73, quando aveva appena diciotto anni, gli fa eco: “Io sono orgoglioso di quello che ho fatto, ma più ancora di quello che abbiamo fatto. Abbiamo vissuto una stagione irripetibile, e siamo stati fortunati. Lo sci è uno sport individuale, ti costringe a vivere solo con te stesso, e anche a vivere nelle stanze d’albergo, da solo. Noi abbiamo avuto la fortuna di essere sempre tanti, sempre insieme. Non è una fortuna da poco”.
I giornalisti paragonarono Thoeni ai Beatles, e Gros ai Rolling Stones: le sue discese prepotenti sembravano i riff di Keith Richards. “Sì, ma io avrei voluto avere la calma di Thoeni, come gli assoli di chitarra di George Harrison”, dice Gros.
Poi finì anche quel fenomeno, la valanga azzurra, così come era iniziato. Ma resta come la testimonianza di anni in cui forse tutto sembrava essere più “collettivo”. Anche il calcio totale dell’Olanda di Cruyff e Neskens, o la politica.
E nel costume italiano si consumò una vera rivoluzione. “Gli italiani impararono ad amare gli sport cosiddetti minori. Lo sci, così come il tennis con Panatta e la Nazionale che vinceva la Coppa Davis”, dice Veronesi. Il quale, nel documentario, dice a Thoeni: “Ma lo sai che io da bambino volevo essere te?”. E in fondo interpreta il sentimento di molti bambini di quegli anni, sessantenni di oggi. La valanga azzurra, prodotto da Fandango di Domenico Procacci, sarà nelle sale il 21, 22 e 23 ottobre.
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