Mastroianni, divo sottovoce

Un documentario di Fabrizio Corallo inaugura la serie di omaggi all’attore de “La dolce vita”. Fra le polpette della madre e i dialoghi con Fellini, scopriamo un attore che amava soprattutto la semplicità

È dedicata a Marcello Mastroianni la Festa del cinema di Roma, che si è aperta ieri. È dedicata a Marcello Mastroianni, al suo mito, alla sua leggenda, alla sua leggerezza, alla sua semplicità. È dedicata a lui, nel centenario della nascita dell’attore di 8 e ½, de La dolce vita, di Una giornata particolare e di un numero impressionante di altri film. È dedicata a lui, simbolo di un modo di essere, di vivere, di recitare tutto italiano, ma amato in tutto il mondo. 

Saranno molte le iniziative in omaggio dell’attore, a cominciare da una retrospettiva di alcuni dei suoi film più importanti, molti dei quali proiettati in versione restaurata, per arrivare a un incontro con la figlia Chiara Mastroianni, attrice e regista, protagonista recentemente della commedia Marcello mio, in cui gioca con l’ossessione e il mito del padre. 

Oggi gli spettatori della Festa hanno potuto vedere Ciao Marcello. Mastroianni l’antidivo. Un documentario realizzato da Fabrizio Corallo, giornalista e documentarista, già autore di Sono Gassman! Vittorio re della commedia, documentario sull’altro titano della commedia italiana, premiato ai Nastri d’argento 2019. 

Che cos’è Ciao Marcello? È un viaggio dentro l’anima di Mastroianni, viene da dire. Un viaggio alla ricerca dell’anima nascosta, della voce sommessa di questo attore che ha coltivato, per tutta la vita, l’arte sottile dell’understatement. 

La prima cosa che vediamo sono i flash dei fotografi. Fotografi anni ’50, con la camicia e la giacca scura, con le loro macchine fotografiche Rolleiflex, anche quelle pezzi di leggenda. Fotografi che si affannano a inseguirlo, che si nascondono dietro muretti per spuntare al momento giusto. E come per un contrappasso, ecco lui: lento, quasi immobile. Come a dire: ma che senso ha correre tanto? Eccomi qui. Quasi rassegnato alla intrusione, dentro la sua vita, dei fotografi. 

Che cosa si può scoprire di Mastroianni che già non si sappia? Per esempio, il suo amore per la musica. Corallo scova le immagini di quando Mastroianni si misurò col musical, andando in scena al teatro Sistina di Roma con Ciao, Rudy, commedia musicale dedicata a Rodolfo Valentino. 

Il cartellone del teatro, in stile americano, è pieno di nomi impressionanti: gli autori sono Garinei e Giovannini, le musiche di Armando Trovajoli: e nel cast, sotto il nome di Mastroianni, ci sono quelli di Ilaria Occhini, Giuliana Lojodice, Raffaella Carrà, Paola Pitagora, Paola Borboni. Uno spettacolo enorme, di quelli da pubblico in piedi, alla fine della serata. E lui, intervistato, che racconta con la sua voce dimessa quella specie di scherzo che ha giocato a tutti: cantare. 

Fra un’intervista e l’altra a Mastroianni, c’è un lieve filo rosso narrativo. Una serie di siparietti che mettono in scena Luca Argentero e Barbara Venturato. Quest’ultima, giovane montatrice di un ipotetico documentario su Mastroianni, del quale – confessa – prima di accettare questo incarico non sapeva niente. Realtà e finzione si rincorrono, e l’idea è probabilmente quella di mettere in scena un personaggio giovane. Uno dei tanti che, oggi, rischiano di non sapere chi sia stato Marcello Mastroianni. E di perdersi, così, una delle grandi ricchezze, dei grandi piaceri della vita di uno spettatore. 

È tutto costruito sulla voce di Mastroianni, il documentario. È come se fosse una lunga confessione dell’attore. Poi entrano in scena altre voci: la ruvida schiettezza di Mario Monicelli, che dice “piace perché sembra preso dalla strada all’ultimo momento”, e la dolcezza della madre Ida Irolle. Che, con una semplicità assurda, spiega all’operatore televisivo che a Marcello piacciono tanto le polpette: “Mi fa tante feste quando gliele preparo”. 

La fame, la voglia di cibo. Una costante della vita di Mastroianni. La figlia Chiara ricorda “Sul set, poteva ripetere mille volte, per darsi coraggio: ‘Stasera mangiamo pasta e fagioli’…”, e Sandra Milo che notava, con ancora un certo stupore, “Marcello era capace di mettere le mani nel piatto degli altri”. 

“Signora, ma lei è contenta che Marcello abbia fatto il cinema?”, chiede un intervistatore Rai alla madre. E lei, candida: “Sì, ma certo che se anche stava all’ufficio anagrafe, stava bene…”. 

La Storia che entra dentro la vita di Marcello. Il libretto del “profugo” Marcello Mastroianni, alla fine della Seconda guerra mondiale, dove si attesta che non ha mai collaborato con i nazifascisti. Poi le testimonianze di una vita sentimentalmente inquieta: il matrimonio con Flora Carabella, le relazioni intense con Faye Dunaway e con Catherine Deneuve, ma sempre senza voler intaccare, senza voler rompere quel matrimonio. 

Ma nelle interviste, lui – che per tutto il mondo era l’icona del “latin lover” – che cerca di difendersi, di staccarsi di dosso quell’etichetta. “Ma che latin lover, ero pagato per abbracciare le donne. E poi, ho fatto film in cui interpretavo un impotente, un omosessuale e anche un uomo incinto: che dovremmo dire, allora?”. 

Lui ci prova anche in inglese, a togliersi l’etichetta di latin lover, al Dick Cavett Show. È insieme a Sophia Loren, e i due parlano in perfetto inglese. Commuove sentirlo parlare di Sophia con una tenerezza, come se dovesse proteggere una sorellina. 

Ma il suo fascino lo sentivano, eccome, sia il pubblico sia le attrici con cui ha lavorato. “Se mi avesse detto scappiamo insieme, l’avrei fatto”, confessa candidamente Stefania Sandrelli, come se fosse la frase più normale del mondo.

Infine, Marcello racconta l’incontro con Fellini, l’uomo che lo ha trasformato in star, per sempre. “Incontrai Federico a Fregene. Mi disse: ‘Caro Marcellino, il produttore vuole Paul Newman, ma lui è una grande star, a me serve una faccia qualsiasi…’.  E io subito: ‘Eccomi! La faccia qualsiasi sono io!’…”. 

No, non era una faccia qualsiasi, la sua. È una faccia nella quale si ha saputo riassumersi tutto lo spirito italiano. La serenità, la purezza. Un modo di essere italiani sottovoce, senza urlare, senza declamare. Un grande italiano, sottovoce.

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