Nell’aprile del 2008, un gruppo di persone si riunì in uno studio di registrazione a Manhattan per conoscere la “prossima stella” Disney. Così venne presentata al mondo una giovanissima Demi Lovato, allora quindicenne, davanti a una trentina di membri dei media e del mondo pubblicitario, inclusa la sottoscritta. Lovato, a New York per la prima volta in vita sua, si sedette al pianoforte e, cantando “This is Me” dal film Camp Rock, dimostrò immediatamente il suo incredibile talento. Questo brano segnò l’inizio della sua carriera. Da lì seguirono altri film, una serie TV, un album e un tour con i Jonas Brothers, tutto in rapidissima successione. Era quello che Demi aveva sempre sognato, mettendola sulla stessa traiettoria di altre stelle Disney come Miley Cyrus e Selena Gomez.
“Mi sentivo piena di gratitudine, e c’era questo senso di meraviglia e eccitazione,” ricorda Lovato. “Era decisamente la “luna di miele” della mia carriera, prima che il treno prendesse una velocità tale da non poter più frenare.”
Sedici anni dopo, Lovato riflette su tutto ciò che è successo da allora, seduta nella casa di Los Angeles che condivide con il fidanzato, il cantautore Jordan Lutes. La sua vita ha attraversato vertiginosi alti e bassi: dalle soddisfazioni professionali, come otto album tra i “top ten” in classifica Billboard, ai profondi abissi personali, culminati nel 2018 con un’overdose quasi fatale che le causò tre ictus, il collasso di un organo vitale e un infarto. Durante la sua carriera, iniziata a soli 6 anni con la serie Barney & Friends, Demi Lovato ha accumulato oltre 266 milioni di follower sui social, con i quali è stata di una trasparenza radicale riguardo ogni momento di un percorso che l’ha vista vittima anche di un episodio di violenza sessuale e disturbi alimentari. Ma per andare avanti, dice, “devo capire perché sono entrata in questa industria”.
Ora, vicina ai 32 anni, Lovato ritorna alla Disney ma dietro alla macchina da presa, per il suo debutto alla regia con Child Star, un documentario destinato a far discutere che uscirà il 17 settembre su Hulu. Il lungometraggio di circa 90 minuti esplora le sfide che scaturiscono dalla fama precoce. Oltre alla propria storia, Lovato intreccia conversazioni intime con altre ex-stelle bambine, come Drew Barrymore, Christina Ricci, JoJo Siwa e Kenan Thompson. Sebbene i loro talenti e percorsi siano molto diversi, insieme offrono un ritratto di traumi e instabilità, con episodi ricorrenti di rifiuto, tradimento e pressioni implacabili. Diversamente da altri lavori critici sull’industria televisiva per bambini, il documentario di Demi Lovato non punta il dito contro nessuno in particolare. Piuttosto, il film è una lezione di storia sulla celebrità infantile — “Da Shirley Temple a TikTok,” dice il produttore Michael Ratner — e una riflessione su cosa succede quando “offri un lavoro molto serio a un bambino molto giovane che improvvisamente guadagna molto più dei suoi genitori”, aggiunge la regista Nicola Marsh, che co-firma insieme a Lovato. “L’intero ecosistema familiare diventa dipendente dal lavoro di quel bambino, e, come dice Raven-Symoné nel documentario, spremono ogni goccia di luce che hai dentro perché c’è tanto denaro da guadagnare.”
All’inizio, l’idea di distribuire Child Star su una piattaforma di proprietà Disney non era nei piani di Lovato. Il documentario era stato pensato per YouTube Originals, che aveva già distribuito un suo doc del 2021, Demi Lovato: Dancing With the Devil, che raccontava nei dettagli la sua overdose. Quando YouTube Originals chiuse improvvisamente i battenti nel 2022, è subentrata Hulu. Per Craig Erwich, presidente di Disney TV Group, “una storia molto personale all’interno di una storia molto pubblica” rappresentava una formula vincente per la sua piattaforma. Il potenziale imbarazzo di avere una major come la Disney, che ha giocato un ruolo fondamentale nel lancio delle carriere di giovani star, impegnata a produrre un documentario senza filtri sull’argomento fu affrontato fin dal primo meeting. “Sarebbe stato folle andare avanti senza parlarne,” dice Ratner, che ha anche prodotto e diretto Dancing With the Devil. A quanto risulta, Hulu ha dato subito al team la libertà necessaria per esplorare l’argomento in modo onesto. “Ci hanno detto, ‘Spingete sull’acceleratore, perché se cercate di girarci intorno sembra ancora peggio,'” ricorda Marsh. “Non è un exposé, ma è un documentario molto schietto, e va riconosciuto a Hulu il merito di non averci ripensato — o forse l’hanno fatto, ma sicuramente non ce l’hanno detto.”
Lovato e i suoi produttori hanno iniziato a lavorare su una lunga lista di possibili partecipanti al documentario. Lovato ne conosceva alcuni, molti altri no. Ma, a differenza di Lovato che ha sempre condiviso apertamente la sua storia, non tutti erano pronti o interessati a rivisitare il loro passato. Il numero di rifiuti ricevuti sorprese Lovato; Marsh ammette di essere stata più sorpresa quando qualcuno accettava. Christina Ricci, ad esempio, ha parlato di come il set diventasse un rifugio di sicurezza emotiva per lei durante l’infanzia, segnata dalla violenza del padre, leader fallito di una setta. Raven-Symoné è stata la prima intervista ad essere girata, e sebbene Lovato non ricordasse il loro precedente incontro durante una guest star di Raven in Sonny Tra Le Stelle, la loro conversazione ha dato al documentario la credibilità di cui Lovato aveva bisogno. Parlando con Drew Barrymore, Lovato ha esplorato il desiderio che entrambe avevano di sentirsi imporre dei limiti, limiti mai esistiti per loro durante un’infanzia caratterizzata dalle prime esperienze con droghe e alcol. Christina Ricci è altrettanto aperta su questo argomento: “Non ricordo di aver mai pensato che ci fosse un altro modo per essere felice,” racconta a Lovato, rivelando come versasse alcol nella sua Diet Coke sul set. (Lovato ammette di aver fatto lo stesso con il caffè.)
Alyson Stoner, che ora usa i pronomi “loro/voi” ed è l’unica co-protagonista di Camp Rock a partecipare al documentario, ha condiviso un’esperienza difficile vissuta lavorando insieme a Lovato. Tanto da richiedere un lungo incontro “curativo” tra lei e Demi prima dell’intervista vera e propria. Nel segmento hanno condiviso ricordi devastanti sulla pressione incessante di essere “on-brand” come star della Disney, e Lovato ha ammesso di aver sempre invidiato le star di Nickelodeon per la loro immagine più audace e irriverente. “Alla Disney, diventavi immediatamente un modello da seguire, che ti piacesse o meno,” dice ora. “E poiché Disney Channel era così popolare all’epoca, c’era anche la pressione psicologica che se commettevi un errore, c’erano milioni di ragazzi pronti a prendere il tuo posto.” Il documentario tocca anche le esperienze di star più giovani come JoJo Siwa, che offre una prospettiva diversa sulla fama nell’era dei social media. Siwa ha vissuto un’esperienza per lo più positiva, anche se ha raccontato delle difficoltà incontrate dopo il suo coming out come queer e la sua complicata relazione con Nickelodeon.
Quando le è stato chiesto cosa farebbe se sua figlia volesse seguire una carriera simile, Lovato ha risposto senza esitazione: “Le direi di studiare teoria musicale e di aspettare fino ai 18 anni, perché non succederà niente prima di quel giorno. Non perché io non creda in lei, ma perché voglio che abbia un’infanzia, quella che io non ho avuto.” Lovato oggi è in pace con se stessa, ma continua a riflettere sul motivo che l’ha spinta inizialmente verso l’industria dello spettacolo. Concludendo l’intervista, Lovato condivide un pensiero toccante: “Credo che parte di me abbia sempre pensato che, se ce l’avessi fatta in questa industria, avrei ottenuto l’amore di mio padre, quello che non ho mai avuto”.
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