La controversia: Anastasia Trofimova presenta il film Russians at War, ma per i critici è “pura propaganda” per Putin

Il documentario di Anastasia Trofimova, che ritrae i soldati russi sotto una luce empatica, divide la Mostra del Cinema di Venezia e scatena la reazione indignata della comunità ucraina. La Trofimava lavora da anni facendo documentari per Russia Today, il canale di propaganda russa.

In un’edizione della Mostra del Cinema di Venezia generalmente tranquilla, la proiezione di Russians at War di Anastasia Trofimova, regista russo-canadese, ha rappresentato un momento di grande tensione e polemica. Il documentario, girato per sette mesi con un battaglione dell’esercito russo nell’Ucraina orientale, è stato accusato di essere un’opera di propaganda che tenta di “sbiancare” i crimini di guerra commessi da Mosca, suscitando un acceso dibattito tra chi difende la libertà artistica e chi lo condanna come un tentativo di giustificare l’aggressione russa.

Olga Tokariuk, esperta della Chatham House, il rinomato think-tank di affari internazionali di Londra ha asfalto il film in una frase: “È un esempio lampante di propaganda russa al Festival del cinema di Venezia. Un documentario di una regista che in precedenza aveva realizzato svariati film per Russia Today, e che cerca di nascondere i crimini di guerra russi in Ucraina e descrive i soldati russi come “povere vittime” del regime.”

Il film presenta i soldati russi come giovani uomini alle prese con le incertezze morali e personali della guerra. Alcuni soldati, per esempio, esprimono la loro confusione sul motivo per cui stanno combattendo: “È così confuso qui, non so nemmeno per cosa stiamo combattendo.” Questa rappresentazione, percepita da molti come empatica, ha attirato critiche per aver minimizzato la distruzione e la violenza perpetrate dalle forze russe in Ucraina.

Le critiche si sono intensificate quando Andriy Yermak, capo di gabinetto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha definito “vergognosa” la decisione di proiettare quello che ha chiamato un “film di propaganda”. In un post sui social media del 6 settembre, Yermak ha espresso indignazione per la presenza di Trofimova e altre figure culturali russe a un evento nel “mondo civilizzato“, criticando la partecipazione di chi proviene da un paese che “uccide ucraini, i nostri figli ogni giorno.”

A unirsi alle critiche di Yermak è stato il Congresso Canadese-Ucraino (UCC), che ha accusato il Canada Media Fund di aver utilizzato denaro pubblico per sostenere un film che giustifica l’aggressione russa. Secondo l’UCC, il documentario ha ricevuto 340.000 dollari canadesi (circa 250.000 dollari statunitensi) di fondi pubblici. L’organizzazione ha sottolineato che il governo canadese aveva precedentemente espresso preoccupazione per “l’influenza della propaganda russa” e ha denunciato l’uso di denaro dei contribuenti per finanziare un progetto diretto da una regista i cui lavori precedenti erano stati trasmessi su canali russi come Russia Today, sanzionati da Ottawa. L’UCC ha anche affermato che Trofimova avrebbe violato le leggi ucraine entrando ne

l territorio sovrano dell’Ucraina insieme alle forze di occupazione russe.

Figure di spicco della comunità cinematografica ucraina hanno duramente condannato il documentario. Darya Bassel, produttrice ucraina presente a Venezia con il suo documentario Songs of Slow Burning Earth, ha dichiarato che Russians at War potrebbe ingannare il pubblico facendolo credere un film contro la guerra, mentre, in realtà, rappresenta un tentativo di giustificare il regime russo. Ha aggiunto su Facebook che il film ripete false narrazioni del Cremlino sugli ucraini come “nazisti,” ignorando l’aggressione russa iniziata nel 2014. Iryna Tsilyk, regista ucraina, ha definito “ripugnante” il tentativo di Trofimova di promuovere un messaggio di pace, criticando gli organizzatori del Festival per aver proiettato “qualcosa che ha un odore così cattivo.”

Anastasia Trofimova ha risposto alle accuse difendendo il suo lavoro e affermando di voler mostrare i “ragazzi assolutamente ordinari” che combattono per la Russia, sfidando l’idea, diffusa in Occidente, che tutti i soldati russi siano criminali di guerra. Ha descritto il suo film come una produzione “contro la guerra,” realizzata con grande rischio personale, e ha respinto le accuse di propaganda come “assurde“, dichiarando di essere ora a rischio di persecuzione penale in Russia. Ha aggiunto di credere fermamente che l’invasione russa in Ucraina sia stata “ingiustificata e illegale” e ha riconosciuto la legittimità dell’indagine della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra.

Oltre alle polemiche sul contenuto, i dubbi si sono concentrati anche sulle fonti di finanziamento del film. Sebbene Trofimova abbia affermato di aver completato il progetto in Canada e Francia, lavorando in modo indipendente, il suo passato come documentarista per RT, un canale noto per essere un veicolo di propaganda del Cremlino, ha sollevato sospetti sull’imparzialità del suo lavoro e sulla possibilità di un sostegno indiretto da parte di entità vicine al governo russo.

Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, ha difeso la scelta di includere Russians at War nella programmazione, sostenendo che il festival deve rimanere uno spazio per una varietà di prospettive e mantenere un impegno per la libertà artistica, anche di fronte a critiche e controversie. Ha sottolineato che, in un’edizione altrimenti tranquilla del festival, la questione ha rappresentato un raro momento di tensione, gestito con discrezione, ma comunque indicativo delle complesse implicazioni politiche della situazione.

Negli ultimi mesi, in Italia, alcuni film russi sono stati oggetto di censura a causa delle loro presunte connessioni con la propaganda del Cremlino e la rappresentazione del conflitto in Ucraina. Un esempio significativo è “Il Testimone”, un film russo del 2023 diretto da David Dadunashvili, che ha affrontato critiche per il suo presunto contenuto filo-russo. A Bologna, Modena e altre città, le amministrazioni locali hanno impedito la proiezione pubblica del film, considerato un’opera di “propaganda anti-ucraina“. Nonostante queste limitazioni, “Il Testimone” è stato proiettato in circuiti alternativi, sollevando un dibattito sul confine tra censura e libertà di espressione, soprattutto in un contesto di crescente tensione internazionale. 

Resta ancora da chiarire quale sia il confine tra libertà artistica e propaganda in tempi di conflitti così accesi. La scelta di proiettare o censurare un film può avere implicazioni profonde per la libertà di espressione e la percezione pubblica di eventi globali complessi. Mentre attendiamo ulteriori chiarimenti e discussioni su questi temi, una domanda rimane aperta: fino a che punto si può spingere la libertà artistica senza diventare veicolo di propaganda? Le risposte potrebbero definire non solo il destino di Russians at War e di altre opere simili, ma anche il futuro della libertà artistica in un mondo sempre più polarizzato.

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