Cristian Mungiu ha parlato con il giornalista di The Hollywood Reporter Scott Roxborough, raccontando della sua prima esperienza al Festival di Cannes.
“Era la prima volta che partecipavo a un concorso, e mi è stato detto che potevo partecipare il primo o l’ultimo giorno. Decidemmo di andare il primo giorno, pensando di fare colpo all’inizio e di suscitare una buona impressione, anche se due giorni dopo tutti avrebbero dimenticato il film.
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Ma dopo due giorni, la gente parlava ancora del film. Mi è stato chiesto di rimanere un altro giorno e poi un altro ancora. Sentivo la gente parlare del film per strada e alle feste. Ho rilasciato un’intervista dopo l’altra. Abbiamo iniziato a sperare di poter vincere qualcosa.
Poi sono arrivati i premi e il festival mi ha chiesto di restare. Alla cerimonia, sembrava che potessimo vincere la Palma d’Oro. Ero così stressato! La posta in gioco era così alta che mi è venuto un terribile mal di testa. Quando hanno pronunciato il mio nome, ho avuto un vuoto di memoria. Sono salito sul palco ma mi sono perso tutto il momento: cercavo solo di concentrarmi, di dire qualcosa di intelligente e di non comportarmi come una scimmia.
Perdere l’innocenza
Ripensandoci, sembra che non sia stato per niente un caso. C’è qualcosa in quel film. Ancora oggi viene ricordato come molto attuale, e ha cambiato un poco la prospettiva dell’epoca. Questa è una delle cose più difficili da fare nel cinema. Puoi fare un buon film ma, specialmente quando si diventa più esperti, si perde l’innocenza e la freschezza che si aveva all’inizio. Non so se si potrà mai imparare a riprenderla. Si tratta di un periodo della tua vita, come tutti gli altri.
Sono felice che il film abbia retto. Si possono leggere molti libri sul comunismo, ma la sensazione di viverlo, la sensazione che tutti ti guardino, è più interessante da sperimentare per i giovani piuttosto che leggerne e basta”.
Traduzione di Pietro Cecioni
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