Sbatti il mostro in prima pagina: il film di Marco Bellocchio con Gian Maria Volonté torna in sala in versione restaurata

Dal 4 luglio la pellicola arriva al cinema in 4K attraverso il lavoro della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Surf Film, Kavac Film, Minerva Pictures e dello stesso regista e in anteprima il 27 giugno al Cinema Ritrovato

Di THR ROMA

Sbatti il mostro in prima pagina, il film di Marco Bellocchio interpretato da Gian Maria Volonté del 1972 torna al cinema in versione restaurata in 4K dalla Cineteca di Bologna. Il lavoro è in collaborazione con Surf Film, Kavac Film, Minerva Pictures e con lo stesso Bellocchio.

Il film tornerà dal 4 luglio al cinema con 01 Distribution e in anteprima il 27 giugno al Cinema Ritrovato di Bologna. I negativi scena e suono originali del film sono stati digitalizzati da Augustus Color e restaurati presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata.

Di che cosa parla il film

Interpretato da Gian Maria Volonté nel ruolo del redattore capo Giancarlo Bizanti, Sbatti il mostro in prima pagina “racconta una storia che attraversa una serie di eventi reali – ha scritto Gian Piero Brunetta nella sua Storia del cinema italiano – che hanno scosso in quegli anni la coscienza del Paese.

Si va dai riferimenti a primi episodi terroristici, come le bombe alla Fiera campionaria di Milano del 1969, o di cronaca nera (la morte di Milena Sutter) a episodi di guerriglia urbana o a eventi traumatici come la strage di Piazza Fontana, la morte dell’anarchico Pinelli, o quella dell’editore Giangiacomo Feltrinelli”.

Un film, prosegue Brunetta, che ha “la capacità di trasmetterci il senso di tensione sociale di temperatura ideologica in aumento e di lotta cieca e senza esclusione di colpi tra le varie forze organizzate, istituzionali e spontanee”.

Che cosa ha scritto Alberto Moravia

Alberto Moravia riassumeva su L’Espresso la vicenda narrata nel film. “Un giornale gode fama di organo di informazione oggettivo, imparziale, indipendente, illuminato. Ciononostante, o forse appunto per questo, si tratta di una facciata menzognera dietro la quale si nasconde un proprietario che difende con piena consapevolezza gli interessi dei gruppi di potere e un direttore cinico e pronto a tutti i compromessi.

Accade che proprio alla vigilia delle elezioni l’opposizione attacchi i gruppi finanziari che si servono del giornale. Allarmato, il proprietario convoca Bizanti. Il direttore gli chiede di sviare l’attenzione del pubblico dalla vera pista rappresentata dai finanziatori del quotidiano, verso la falsa pista di qualche fatto di cronaca apolitico.

Per l’appunto, in quei giorni, una ragazzetta, Maria Grazia Martini, è stata ritrovata violentata e strangolata in un prato della periferia. Una lettera anonima inviata al giornale promette informazioni sull’assassino. Bizanti non perde tempo e si dà con alacrità al creare il diversivo del mostro.

Bizanti ha fortuna. Incastra l’autrice della lettera, una povera donna gelosa, e le strappa il nome del presunto assassino, un ragazzo della contestazione. Bizanti non sperava tanto: ecco il mostro e, per giunta, situato, politicamente, a sinistra. A questo punto, però, un giovane redattore, Roveda, non se la sente di seguire il direttore nelle sue immaginose ricostruzioni”.

La testimonianza di Marco Bellocchio

Goffredo Fofi, co-sceneggiatore del film assieme a Sergio Donati, ha raccolto nel suo Il cinema italiano d’oggi (1984) la testimonianza di Marco Bellocchio: “La lavorazione di Sbatti il mostro in prima pagina era iniziata con Sergio Donati come sceneggiatore e regista. Di comune accordo lui e il produttore avevano giudicato che Donati non era in grado di poter passare ancora alla regia, e così Franco
Committeri si dette da fare per trovare uno che riprendesse il film.

Io accettai perché m’interessava un’esperienza di questo genere. Saltare su un treno già in marcia, vedere cosa si poteva fare come
lavoro strettamente professionale, e anche trasformare il film, che era un giallo sul mondo del giornalismo milanese, in un film di taglio politico. Mi trascinai appresso Fofi e con lui riscrivemmo velocissimamente la sceneggiatura giorno per giorno, mentre si girava.

Restarono gli ambienti, restarono quasi tutti gli attori, ma vennero aggiunti nuovi ruoli, tra cui quello fondamentale di Laura Betti, e la storia diventò completamente diversa”.

Questo il ricordo dello stesso Goffredo Fofi: “Il mio modello era il Fritz Lang dei piccoli film americani. Una storia veloce che mostrasse il funzionamento del potere dentro i mass-media a partire da un caso di manipolazione politica che era ricalcato su quello di Valpreda”.