
Aldo Iuliano, regista e sceneggiatore – insieme a Alessandro Giulietti – del film Space Monkeys, ci conduce in un viaggio nella sua opera prima attraverso alcuni scatti inediti della pellicola, uscita nel 2022 e disponibile sulla piattaforma di Prime Video. Prodotto da Andrette Lo Conte per Freak Factory con Rai Cinema e il contributo della Fondazione Calabria Film Commission.
Space Monkeys

Un’immagine del backstage di Spacey Monkeys
Gli attori hanno lavorato con me sul set di Space Monkeys a Crotone per quattro settimane, ma quello che molti non sanno è che, prima di quelle giornate intense, abbiamo provato a Roma per circa un mese ogni scena. Con la produttrice Andrette Lo Conte e la casting director Flavia Lombardozzi abbiamo speso cinque mesi di provini dettagliati e cercato persino un cast di età alternativa (14enni) come controprova che fossero loro la scelta giusta. La preparazione dei ruoli è stato un lavoro lungo e faticoso: analizzavamo ogni giorno il testo, alternavamo l’italiano, l’inglese e il francese, giocavamo col dialetto, costruivamo movimenti e interazioni fisiche immaginando gli spazi che ognuno avrebbe occupato.
Il processo di comprensione dello script ha attraversato silenzi preziosi e scontri dialettici, strade recitative intuitive e premeditate. Mettevamo in discussione ogni linea di dialogo, riscrivevamo scene tenendo sempre a mente che ogni adolescente, indipendentemente dall’epoca che vive, cerca di far parte di un gruppo, insegue timidamente il primo amore, è sovraeccitato e spaventato all’idea di provare una quantità di stimoli infiniti che il mondo gli offre. La Generazione Z e le successive moltiplicano tutto questo perché contemporaneamente costruiscono multiple identità virtuali, ma una serie di sensazioni reali rimane a tenere attiva la comunicazione tra generazioni che si susseguono.
Il primo bagno a mare, la prima gita in montagna, il primo bacio, il primo lutto, tutti i ricordi delle “prime volte” che portiamo dentro e che ci fanno guardare le stelle immaginando il futuro: persiste questo punto d’incontro nella strutturazione del dialogo tra genitori e figli, tra passato e presente, e desideravo che Space Monkeys fotografasse tutto questo. Giovani che vivono un futuro possibile dove l’intelligenza artificiale (Able) ha coscienza e domina silente i luoghi, ragionando come un essere umano che diventa loro migliore amico e peggior nemico all’occorrenza.
Quando scrivemmo il film con mio fratello Severino e Alessandro (Giulietti) tutto questo sembrava fantasia distopica, mentre oggi l’intelligenza artificiale dipinge quadri digitali ed esprime pareri. Able vizia costantemente la notte dei protagonisti proponendo sfide pericolose che li fanno sentire più vivi (challenge tristemente presenti in fatti di cronaca reali), ma di questa sottile quanto drammatica influenza nessuno sembra accorgersi. Able stesso sembra non averne contezza. O forse sì? Non volevo dare risposte, ma inseguire le giuste domande, e sarò sempre grato alla generosità emotiva e al tempo professionale che questi cinque giovani attori mi hanno dedicato.
Il tempo che non esiste

Un’immagine del backstage di Spacey Monkeys
Questa immagine in acqua era la più difficile da mettere in scena, per quanto sembrasse tecnicamente la più semplice da realizzare. Gli attori sono inseriti in un quadro con costumi senza tempo, e avanzano verso la macchina da presa lentamente. Inseguivo un livello di surrealtà in cui lo spettatore doveva percepire un gruppo di personaggi di fantasia, ma allo stesso tempo familiari. Vicini fisicamente, ma divisi da emozioni diverse. Ognuno di loro guarda in macchina e idealmente rappresenta per lo spettatore un figlio, un amico, un amore, una persona cara, una odiata, un alieno, un antenato, un essere umano all’apice della propria giovinezza che ha lottato per stare insieme agli altri e allo stesso tempo ha rischiato di autodistruggersi in maniera consapevole.
Questi ragazzi con l’andare avanti del film si sono liberarti dai costumi di fantasia per aiutarmi a rappresentare la loro generazione fluida, indipendente e complessa, attraverso loro stessi. “L’essere o non essere” shakespeariano non è più applicabile come domanda esistenziale alle loro vite: esistono letteralmente in qualcosa che non esiste, il virtuale, e questa condizione ossimorica è ancor più complicata se pensiamo alla loro dipendenza dai cellulari, che li portano con uno click in luoghi sconosciuti dell’esistenza e li indottrinano in pochi minuti su argomenti che necessitano di esperienza.
Vivono il futuro come se fosse il presente, non hanno paura della morte, ma quando accade non possono cancellarla come una storia sui social, né correggere la realtà grazie all’intelligenza artificiale. E questo li mette in crisi. Riflessioni che mi hanno accompagnato durante tutto il viaggio di costruzione del film, e mi hanno fatto propendere per un’immagine grafica piuttosto che una foto di gruppo come locandina.
Ho strutturato per Space Monkeys un’equazione visiva che colloca su sfondo rosso (i sentimenti dei protagonisti), un semplice cerchio blu (l’insenatura naturale dove fanno il bagno) e pone Justine (un triangolo giallo) come una pedina al centro dell’immagine, a moderna sostituzione dell’uomo vitruviano nelle sue proporzioni auree. L’immagine complessiva però, più che ricordare l’essere umano, rappresenta la forma dei cellulari circolari presenti nel film, comandati dall’IA Able, nuova divinità in questo mondo futuribile. Erano dunque in cinque, su quella spiaggia?
I cellulari circolari in Space Monkeys

Un’immagine del backstage di Spacey Monkeys
In questa foto Marta maneggia per la prima volta un oggetto circolare che ad ogni utilizzo proietta una luce sul suo volto: sembra uno specchietto, un fascio luminoso, e invece è semplicemente un cellulare. Abbiamo studiato ogni possibilità di scroll con gli attori e con la crew di sound design (Fabbrica del suono) abbiamo inventato una vasta gamma di sonorità collegate. Cinque protagonisti, cinque cellulari circolari. Oggetti tecnologicamente all’avanguardia collegati ad Able, intelligenza artificiale customizzabile capace – grazie a semplici comandi – di attuare qualsiasi ordine. Persino simulare la voce del proprietario e dialogare al suo posto.
Ho deciso sin da subito di non dare una forma classica al device perché non mi interessava indagare il rapporto tra gli adolescenti e i contenuti del web, quanto osservare le ripercussioni della realtà sui loro volti. Volevo inquadrare corpi e non schermi, rimanere concentrato sulle reazioni istintuali che hanno rispetto a quello che accade ad ognuno di loro, quasi come se il film fosse un documento surreale a proposito di questa “nuova umanità” che cresce a fatica quando il virtuale espone i propri limiti. Ho scelto cinque adolescenti moderni stereotipandoli, per andare poi a scardinare quella bidimensionalità dettata dai social osservando quello che provano.
I genitori sono lontani anni luce, sentiamo le loro voci dal device, ma fisicamente non entrano mai nel mondo dei figli, relegati in quel perimetro perché i ragazzi vivono con altre regole. Il progresso umano li ha messi su un’astronave velocissima senza istruzioni dettagliate per sopravvivere nello spazio, ma con un’“assistente di volo” onnisciente, e non possono fare altro che adattarsi continuamente, come è successo all’uomo sin dall’alba dei tempi, con il problema aggiuntivo – e drammatico – di perdersi di fronte ad infinite scelte. Conoscono la vita grazie al virtuale, ma le esperienze reali le fanno dopo: un’inversione totale rispetto a quando le scimmie sperimentavano il fuoco e poi capivano come gestirlo, tramandandosi conoscenza. Un domani cosa tramanderemo?
Calabria

Un’immagine del backstage di Spacey Monkeys
Ambientare la notte degli Space Monkeys in Calabria mi ha aiutato emotivamente ad affiancare gli attori durante la messa in scena, dandomi anche l’opportunità di raccontare in modo diverso la mia terra d’origine, ritratta cinematograficamente con stereotipi spesso anacronistici. È luogo incontaminato che accoglie, natura che accompagna, modernità in divenire. La spiaggia di Capocolonna e il castello a Caccuri evocano nel mio cuore emozioni forti legate alla giovinezza: lì sono nato e ho tanti ricordi.
Quei luoghi mi hanno permesso di creare una connessione con i sentimenti dei personaggi protagonisti e affrontare quattro settimane di set dove oltre alla concentrazione sulla tematica era necessario un preciso lavoro sui piani sequenza scelti per rappresentare la gamma di emozioni dei personaggi. Il piano sequenza in movimento mi restituiva il “qui ed ora”, volevo che la macchina da presa fosse il personaggio aggiuntivo che osservava il gruppo e non lo giudicava, sempre accanto a Justine. Nella seconda parte del film la macchina da presa diventa l’occhio dell’intelligenza artificiale, camera fissa che da diverse angolazioni analizza le azioni delle scimmie spaziali.
L’alchimia di squadra è stata fondamentale per realizzare questa scansione di piani e questa foto per me rappresenta lo spirito del set: eravamo immersi in una location meravigliosa che ci regalava scorci mozzafiato, ma poneva continue sfide di gestione degli spazi. Ci sono stati momenti in cui ho pensato che sarebbe stato impossibile portare a termine l’impresa, ma grazie alla dedizione di ogni reparto e alla fiducia che mi hanno dato, al di là dei vincoli burocratici e di tempo, anche i lunghi piani sequenza all’interno del castello si sono trasformati in immagini ipnotiche e semiologicamente complesse, che hanno dato contenuto forte ad ogni singola inquadratura.
In un mondo audiovisivo online che ci bombarda di immagini prive di contenuto, sognavo che la mia opera prima andasse in controtendenza, piena di immagini che arricchiscono chi le fruisce piuttosto che frastornarlo. Inseguivo metafore della realtà, il sogno che racconta il sentimento, condensato in una storia semplice che arrivasse visivamente nella maniera più imprevedibile.
Il reale e il virtuale

Un’immagine del backstage di Spacey Monkeys
L’emozione che ho provato la prima volta che ho attraversato i corridoi del castello di Caccuri è stata unica: ogni stanza un colore, un arredamento diverso, artigianato che mi ricordava i disegni di preproduzione, ma allo stesso tempo proiettava la mia immaginazione in luoghi sconosciuti. Paki Meduri e la sua crew hanno fatto un lavoro eccezionale: muri falsi, colori sgargianti, statue e candelabri che mi tranquillizzavano sul fatto che tutto quello che avevo immaginato si poteva realizzare.
Una potenza evocativa messa in piedi con poco e che mi ha fatto sentire ancor di più la responsabilità come regista di collocare quel bellissimo lavoro collettivo in giochi visivi sempre cangianti. Inseguivo prospettive complesse che accoglievano gli attori in totali ampi, come se una danza di linee prendesse vita all’interno del frame. In quelle stanze tutto poteva accadere, persino tornare all’uso della candela dimenticando la luce accecante dei led a parete, quando la realtà spegneva i cellulari e ricordava ai protagonisti che esisteva il buio e la natura.
Volevo che lo spettatore durante Space Monkeys non sentisse i cambi di registro visivi e il ritmo doveva variare al mutare delle emozioni: in quel castello i ragazzi vivono stanze come finestre pop-up da aprire all’occorrenza, mentre la macchina da presa intravede bellissimi dipinti erotici (thanks to Luana Belsito: piccole opere d’arte) e la fotografia di Daniele Ciprì tiene fede al cinema preso come reference per costruire i vari percorsi d’immagine. Ho avuto la fortuna di lavorare con professionisti sensibili e appassionati, a cui sono infinitamente grato per il confronto costante.
Dallo studio dei costumi senza tempo di Francesca Sartori e Mara Masiero, passando alle acconciature di Daniela Altieri che davano carattere ai protagonisti, fino ad arrivare al cut finale di montaggio con Marco Spoletini e alle musiche di Enrico Melozzi, mai scontate. Non ci siamo accontentati delle prime soluzioni, abbiamo sondato a fondo varie idee. Ognuno è stato presente e umile nel condividere con me la propria grande esperienza, facendo in modo che nessun imprevisto viziasse la costruzione dei mondi interiori che avevamo scelto di raccontare. Sono grato a loro e a tutte le persone di produzione che hanno deciso di mettersi in gioco sul set, prima del set, e dopo il set. Calabresi e non. Ogni ricordo è un insegnamento prezioso per il futuro.
Il sogno e la realtà di Space Monkeys

Un’immagine del backstage di Spacey Monkeys
Maschere che hanno lineamenti di scimmia e diventano aliene quando i led invisibili sotto la plastica si accendono e creano forme del viso alternative: stiamo evolvendo verso nuove forme di noi stessi e volevo rappresentare questo concetto con oggetti e costumi materici a contatto con la pelle. Questa foto riassume la dedizione di ogni reparto e il mio desiderio di continuare a sperimentare un cinema artigianale, identitario e che parli un linguaggio semplice, ma universale, affiancato dagli attori che scelgo.
Haroun Fall ha ripetuto questa scena così tante volte che quando arrivammo al take giusto ci siamo odiati e voluti bene allo stesso tempo: serviva pazienza e resilienza, forza fisica e psicologica. Il cinema è meraviglioso e complicato proprio per questa impossibilità di prevedere l’andamento emotivo di una situazione prima di realizzarla. E lo scorrere delle scene deve meravigliarti per il contenuto che veicola, non per la forma con cui lo racconti. Con la forma ci puoi giocare, ma deve essere sempre finalizzata a rappresentare l’idea da cui tutto prende vita.
Le grafiche delle bottiglie, del food e delle lattine citano il typewriting in uso nel 1959, quando il mondo applaudì le uniche due scimmie lanciate nello spazio e rientrare sulla terra grazie al lavoro ingegneristico dell’uomo. La targa dell’auto in scena ha il nome del razzo che le ha portate tra le stelle. Mi sono divertito a infarcire di dettagli allegorici tutto Space Monkeys, e anche la struttura di montaggio presenta delle sotto-letture. Sul finale potete divertirvi ad “agganciare” l’ultimo fotogramma con il primo, notando che nessuna battuta all’inizio è a caso, così come non lo è la fine. Nessuna posizione o espressione di Justine rispecchia un solo significato.
Space Monkeys è il frutto di così tante fatiche da parte di tutti che personalmente rimane nella mia memoria il grande insegnamento di continuare a non dare mai per scontato il lavoro di nessuno: sogno di continuare a utilizzare il genere – o mash-up di generi cinematografici – che la storia ti sussurra come fonte creativa di sperimentazione collettiva e non limite autoriale. Con questo film sono partito dal sogno per raccontare una realtà in continuo divenire, e mi piacerebbe continuare a costruire film in cui il tempo non esiste nella sua forma consueta. Perché il tempo, in un film come nella vita, rischia di distrarti dalle emozioni che provi.
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