Viaggio tra le stanze di Hotel Napoli, una città a cielo chiuso tra cibo e tradizioni (con tanto zucchero a velo)

Un giro in esclusiva sul set dell'opera prima di Pino Carbone, su sceneggiatura di Maurizio Braucci. Sette episodi, ognuno a descrivere un lato della città partenopea. "Il mio film tra usi e costumi, disparità sociali e rapporti familiari". Con, tra i protagonisti, Lino Musella e Antonia Truppo

Sono circa quattro o cinque i pasticcini alla panna che Lino Musella ha mangiato tra un ciak e l’altro, e non è questione di gola. Protagonista insieme a Antonia Truppo e Edoardo Sorgente di uno dei sette episodi di Hotel Napoli, opera d’esordio al cinema del regista teatrale Pino Carbone, il suo personaggio, un povero disgraziato scelto tra tanti per sporgere falsa testimonianza, non ha avuto tempo per pranzare e, così, mentre l’avvocato Grossi prova a convincerlo a stare dalla parte del suo assistito, si sazia con quella che pensiamo essere la prima cosa che ha trovato. Un pasticcino alla panna, per l’appunto.

La ripetizione della scena, però, non è dovuta a delle interruzioni. Anzi, è esattamente il contrario. Talmente vanno bene gli attori e talmente sono spediti, che Carbone fa fare loro un ciak dopo l’altro, cambiando di volta in volta posizione della macchina. Servono i campi, i controcampi, anche i primi piani. E Lino Musella deve per forza continuare a mangiare.

La scelta dello spuntino non è casuale. Tante saranno le prelibatezze che da fuori l’hotel, luogo-casa-palcoscenico delle vicende, entreranno nelle stanze per accompagnare personaggi e spettatori. E altrettante devono essere le suggestioni, le acquoline in bocca, e il desiderio di addentare uno di quei piatti tipici della tradizione che caratterizzano un film che vuole parlare di Napoli senza però mai mostrarla.

Antonia Truppo sul set di Hotel Napoli

Antonia Truppo sul set di Hotel Napoli

“Voglio coprirla, per poi svelarla stanza dopo stanza”, così il regista descrive il processo di disvelamento di una città che c’è, ma incasellata nei corridoi di un albergo. Una sceneggiatura scritta da Maurizio Braucci che si staglia a metà tra la dimensione filmica della sua cinematografia (da Gomorra a La paranza dei bambini, fino al recente Palazzina Laf) e la conoscenza del teatro di Carbone. L’autorialità di Napoli, per Napoli, che non è più spari per le strade o drammi da inchiesta. Non è solo malavita, periferia o vita da carcere – per citare l’ormai immancabile Mare Fuori. Un cast di Napoli, per Napoli, che realizza un’opera sulle tradizioni, i riti, le gestualità, l’appartenenza. Che Carbone copre per poi rivelare, per permettere di poter guardare con nuovi occhi.

Le ispirazioni per Hotel Napoli

“Prendo ispirazione da Christo, l’artista belga – spiega il regista – Lui impacchetta monumenti famosi come l’Arco di Trionfo a Parigi e, dopo alcuni mesi, toglie i teli con cui li ha coperti. È una dichiarazione di intenti. Dice: ora puoi guardare diversamente qualcosa che, altrimenti, avresti banalizzato perché a portata di sguardo”.

E così in Hotel Napoli entrerà di tutto. Basta l’idea turistica di una città che si vuole e non si può vivere in un solo giorno. Dimenticate l’asporto o le file da Nennella. Il debutto di Carbone è uno scorcio narrativo che vuole restare: “È un affresco che mostra come spesso Napoli sprechi i suoi talenti. L’episodio del personaggio con l’ipermemoria di Musella ne è un esempio lampante”.

Il regista Pino Carbone sul set di Hotel Napoli

Il regista Pino Carbone sul set di Hotel Napoli

Un ventaglio, così definisce il film, che comprende le grandi differenze sociali delle metropoli, le parabole familiari, l’esoterismo e la superstizione (anche religiosa) della città. Fino, ancora, al cibo: non a caso la pellicola si apre con un pranzo di matrimonio e finisce con uno per un funerale. Un cerchio. Come le quattro settimane di riprese impiegate, col tempo cadenzato e nuovi volti ogni due o tre giorni che arrivano per interpretare le varie storie. Ogni episodio, infatti, ha i suoi protagonisti.

Protagonisti che, per la tombolata di fine riprese, diventano gli operatori, il direttore della fotografia, i runner, tutti coloro che per settimane sono stati presenti per le corsie a righe panna e beige dell’hotel Nuvò del quartiere bagnoli, finendo sulle cartelle del gioco da tavola. Ognuno con un numero abbinato, nella tradizione della maschera napoletana.

Il cielo in una stanza

Chiusi in una stanza, a guardare da un monitor cosa accade in quella accanto, Carbone dirige i suoi attori un po’ come fossimo a teatro. Il retaggio si sente. Anche per le lunghe sequenze che durano più di dieci minuti a ripresa.

“E pensare che non avevamo nemmeno fatto la memoria”, rispondono i protagonisti dell’episodio sulla truffa dell’avvocato e del testimone per finta. Eppure sono sempre precisi, non si incartano mai. Sanno la sequenza alla perfezione, è per questo che il regista li lascia a briglia sciolta. L’unico particolare da tenere sotto controllo sono i dolcetti per Musella e lo zucchero a velo che deve rimanergli sulle labbra (“Qualcuno vada a compare dello zucchero a velo! Serve urgentemente dello zucchero a velo!”, quante volte si può dire di averlo sentito su un set?).

Lino Musella sul set di Hotel Napoli

Lino Musella sul set di Hotel Napoli

“È perché ci conosciamo. E ho dei colleghi di immenso talento”, è così che Musella espone la scioltezza del girato, non dimenticando la ritmica del testo. “È evidente che la scrittura è ispirata a Giuseppe Marotta e al suo L’oro di Napoli. È così per l’intero film: racconti brevi con riferimenti accurati, specifici per ogni stanza”. Gli fa eco Antonia Truppo: “Il testo di Hotel Napoli ti dà la possibilità di offrire uno spaccato di una città che vive non solo di episodio in episodio, ma di scena in scena”.

E sui colleghi anche lei concorda: “È importante che si crei un afflato, e ciò avviene solo quando chi hai accanto è molto bravo”. Anche quando “nessuno si sente a proprio agio”, così descrive Edoardo Sorgente la sequenza a cui danno forma, aggiungendo che “è una splendida sensazione quando si ha l’occasione di poter fare parte di un gruppo così grande”. E non è un caso che su questo set in particolare si parli di unione.

Napoli, morta 6000 volte e sempre rinata

Mentre tutti freneticamente si spostano da una camera all’altra, sistemano le luci e cambiano angolazione della ripresa – e continuano ad aggiungere zucchero a velo sulle labbra di Lino Musella – nel tumulto si intravede Mario Vezza, regista al debutto nel 2023 con Desiré sempre grazie a CinemaFiction. Un racconto ambientato nell’istituto di pena minorile di Nisida e vincitore per il miglior film ad Alice nella Città. “È il montatore di Hotel Napoli”, spiegano Antonio Acampora e Armando Ciotola, produttori e promulgatori della casa di produzione e scuola di recitazione cinematografica, in associazione con Tnm Produzioni.

Edoardo Sorgente sul set di Hotel Napoli

Edoardo Sorgente sul set di Hotel Napoli

“Desideriamo che CinemaFiction diventi una factory. Ci piace fare le cose insieme, chiamando professionisti del settore anche da fuori, ma creando sempre un senso di famiglia. Arrivati al nostro quarto lungometraggio sentiamo di essere un passo più vicini all’obiettivo”. Sperando che il suo raggiungimento arrivi prima del picco glicemico di Lino Musella.

Ma la fiducia di Ciotola e Acampora è tanta. Ci sono infatti anche due attori della loro scuola di recitazione tra i protagonisti di Hotel Napoli, Flavia Gatti e Matteo Pasquali. È arrivata l’ora di pranzo, Truppo toglie i tacchi alti da avvocata e rimette le New Balance lasciate in corridoio, mentre La voglia calda, ristorante spartano adibito ad hoc per i pasti della troupe, attende che ognuno si segga al proprio posto. E quale occasione migliore, se non a tavola, per riservare il pensiero più profondo del regista Carbone sulla sua città incantata: “Napoli è morta 6000 volte. Muore e rinasce. Continuamente. Questo film può esserne una rinascita”.