Club Zero, la recensione: viaggio tra i “respiriani”, quando una bufala sul cibo diventa una religione

Il film in concorso dell'austriaca Jessica Hausner divide la critica a Cannes: una satira algida sul potere delle verità alternative e sulla frustrazione della generazione Z, tra voglia di cambiare il mondo e vuoto ideologico

Il cibo è il minore dei problemi. Perché sì, i quattro allievi modello di una scuola privata, protagonisti di Club Zero di Jessica Hausner (in Italia con Academy Two), un problema con l’alimentazione ce l’hanno. Non sono a dieta, non contano le calorie: semplicemente non mangiano. Quel che era cominciato come un corso di “alimentazione consapevole” a scuola, tenuto dall’esperta Miss Novak (Mia Wasikowska), si è trasformato in qualcos’altro: mangiare bene, mangiare poco, fingere di mangiare, non mangiare affatto. Fino a sparire. 

Una progressione disturbante, raccontata dalla regista austriaca, già allieva e assistente di Michael Haneke, con un distacco algido, che inquadra la vicenda in un non luogo asettico – appartamenti borghesi dalle simmetrie orientali – e un non tempo imprecisato. Una quotidianità distopica ai confini della realtà, scandita da una colonna sonora di percussioni e voci sciamaniche: cinico come una puntata di Black Mirror, la serie fantascientifica di Charlie Brooker, non fosse che lo spunto da cui nasce il film è – incredibilmente – una storia vera. 

Nutrirsi di sola luce

Il respirianesimo, la convinzione secondo la quale l’uomo sarebbe in grado di sopravvivere senza mangiare, nutrendosi di luce, è una credenza di derivazione orientale, rielaborata nel corso degli anni Novanta dalle frange “talebane” della New Age. Un credo antiscientifico, del tutto irrazionale, cui l’avvento di internet ha permesso di ristagnare nelle risacche del complottismo, facendo proseliti attraverso blog e gruppi privati, sedicenti dietologi e youtuber illuminati, fino a ramificarsi in ulteriori sottodiscipline (l’alimentazione pranica, ci avverte con serietà la signora Novak, è un’altra cosa: “meglio non fidarsi”). 

Ma il cibo, si diceva, è il minore dei problemi. 

L’elefante sul tavolo di Club Zero – amato e odiato a Cannes: tra i film più polarizzanti – è, come già accaduto nel cinema di Hausner, una questione di fede.

Non quella in dio, o nella chiesa: quella da vocabolario, “la credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione, o si fonda sull’autorità altrui più che su prove”. L’irrazionalità della fede come oppio del popolo teenager: esclusi dal mondo degli adulti, inascoltati nella battaglia identitaria della loro generazione – quella per l’ambiente – i ragazzi del film trovano nella setta respiriana uno strumento di consolazione e ribellione.

Come i terrapiattisti?

“How dare you”, tuonava Greta Thunberg nel 2019, sfidando le Nazioni Unite a occuparsi, una buona volta, del cambiamento climatico che stava rubando “sogni e infanzia” ai suoi coetanei. Quattro anni dopo l’accusa è ancora là, gli adulti non ascoltano, la frustrazione monta. Ecco allora che per il Club Zero il rifiuto del cibo si fa, prima di tutto, confuso atto politico: mangiare meno fa bene al pianeta, alimentarsi è un atto capitalistico. Pensiamo di aver bisogno del cibo perché ce lo dice il “sistema”, ripetono i ragazzi come un mantra. È con questo gancio, non a caso, che miss Novak ottiene la loro fiducia, indicando nell’estremismo alimentare la via per opporsi “eticamente” e fisicamente al complotto del nemico.

Leader politico prima, spirituale poi: un passaggio spaventosamente naturale, perché ciò che accomuna terrapiattisti e raeliani, serpentariani e respiriani, è un presupposto di illuminazione. Essere gli unici a vedere, a sapere, a conoscere ciò che agli altri non è noto, ciò che il nemico – siano essi le banche, le case farmaceutiche, le compagnie alimentari – vogliono nascondere. Quell’invito a “svegliarsi” di grillina memoria, che diventa atto di fede irrazionale (è la traiettoria di Grillo: da politico a santone) contro la scienza, la conoscenza, i “professoroni”, l’autorità, il sapere. I “poteri forti”.

Il rifiuto del cibo dunque, in nome di una presunta verità superiore, da difendere ciecamente sino al sacrificio finale: l’irrazionale come risposta al vuoto delle ideologie, all’immobilismo dei governi, alle frustrazioni di una generazione incapace di farsi ascoltare anche quando avrebbe ragione. 

Dio è morto. Le scie chimiche, ci avverte Hausner, stanno ancora molto bene.