
L’antico scenario, grazie alla straordinaria conservazione delle città vesuviane, il cui ultimo giorno di vita fu fissato dall’eruzione del Vesuvio come un fotogramma immutabile, si rivelò particolarmente adatto per questa nuova arte in grado di far muovere persone e oggetti in scenari remoti, utilizzando come fondale addirittura la Luna, come dimostrato dallo stupefacente film di Georges Méliès del 1902. Le produzioni ambientate nell’antichità, specialmente a Pompei e Roma, trovavano ispirazione da romanzi già noti per le loro trame solide e le precise ricostruzioni storiche: “Gli ultimi giorni di Pompei” di Edward G. Bulwer-Lytton (1834) e “Quo vadis?” di Henryk Sienkiewicz (1894-1896). Questi soggetti offrivano la possibilità di creare scene complesse con effetti speciali sempre più stupefacenti. Le prime versioni cinematografiche di questi romanzi, pur dedicando poco spazio alle storie personali dei protagonisti, si concentravano sui drammatici episodi dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e dell’incendio di Roma del 64 d.C., utilizzando le più raffinate tecniche per riprodurre fenomeni naturali di grande violenza e capacità distruttiva. Un esempio notevole è la versione del 1913 de “Gli ultimi giorni di Pompei”, curata da Eleuterio Rodolfi, apprezzata per l’attenzione agli effetti speciali che riproducevano l’eruzione del Vesuvio, la distruzione della città e la fuga dei superstiti. In queste scene emergono vari edifici pompeiani, e tra le rovine e la devastazione, si riconoscono monumenti pubblici come il grande Capitolium, le cui colonne crollano travolgendo decine di abitanti in fuga. Insuperata per rigore filologico nelle ricostruzioni pompeiane è la versione del romanzo realizzata nel 1926 da Amleto Palermi e Carmine Gallone. Gli edifici furono riprodotti con fedeltà, ricreando pitture e decorazioni oggi in gran parte scomparse. La panoramica iniziale delle rovine di Pompei funge da prezioso documento sullo stato degli scavi nei primi venticinque anni del XX secolo, e il montaggio che integra le rovine con le ricostruzioni cinematografiche permette di apprezzare la maestria dei fotografi attivi a Pompei dalla seconda metà dell’Ottocento.
Dietro le precise riproduzioni delle pitture che ornavano le case pompeiane, vi è il meticoloso lavoro di rilievo del grande plastico in sughero di Pompei, iniziato nel 1821 da Domenico Padiglione. Lo sforzo per una restituzione filologicamente corretta degli ambienti è evidente nella lunga sequenza ambientata nelle Terme stabiane, che restituisce uno spazio ormai poco percepibile al visitatore moderno. La scena nelle Terme stabiane, ricca di comparse, movimenti di macchina e montaggio, è una delle più riuscite del film, anche quando riprende il bagno femminile, dove fanciulle seminude si lavano discorrendo tra loro. Queste scene di nudo, non censurate nella versione italiana del film, mostrano un certo compiaciuto voyeurismo estetico, contrastando la staticità delle figure dipinte con la forza dell’animazione dei soggetti in movimento. Le successive versioni cinematografiche del romanzo di Bulwer-Lytton, come quelle firmate da Paolo Moffa nel 1948 e da Mario Bonnard (con la collaborazione di Sergio Leone) nel 1959, si mostrano superficiali sia per livello narrativo che per cura nell’ambientazione. La scenografia di Augusto Leda cerca di vivacizzare la vita all’interno di un “thermopolium”, anticipando l’atmosfera dei saloon dei futuri spaghetti-western.

Locandina del Film “Gli ultimo giorni di Pompei” di Paolo Moffa

Locandina del Film gli “Gli utlimi giorni di Pompei” di Mario Bonnard 1959
Dopo queste versioni, Pompei è stata immortalata in numerosi documentari e ricostruzioni virtuali, che rappresentano il presente delle immagini di Pompei. Tuttavia, c’è il timore che l’uso sempre più banalizzante di tali rappresentazioni possa trasformare Pompei in un perenne teatro di posa hollywoodiano, confondendo passato e presente, realtà e fantasia.
In partiolare Gli ultimi giorni di pompei” (produzione di Eleuterio Rodolfi 1913) ricade nel boquet delle opere selezionate e realizzate dal gruppo Edison Studio. Come scriveva il professore Marco Maria Gazzano testo Edison Studio , il silent film e l’elettronica in relazione intermediale:
“La legittimità contemporanea del lavoro di ri-musicazione di film “silenziosi” restaurati proposto da Edison Studio è proprio nell’assunto concettuale dell’operazione: non “nuove”, improbabili, “colonne sonore” per film che forse non le hanno mai avute – e dunque nessun inseguimento descrittivo e popolarizzante di “originali” inesistenti – ma musicazioni inedite per film, in ultima istanza, “inediti”; ri-nati – col restauro – a nuova vita. Una operazione metalinguistica sul sonoro per una “colonna visiva” che lo è altrettanto”.

L’esemble Edison Studio da sinistra: Luigi Ceccarelli, FAbio Cifarello, Mauro Cardi, Alessandro Cipriani
Questa evoluzione cinematografica dimostra quanto il cinema abbia saputo valorizzare la storia antica, utilizzando le tecnologie e le sensibilità artistiche del tempo per trasportare gli spettatori in epoche lontane, rendendo vivi eventi e personaggi che hanno segnato la nostra cultura.
This content was entirely crafted by “Human Nature” THR-Roma
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma