Recensione di Unstoppable: Jharrel Jerome e Jennifer Lopez, grinta e determinazione in un convenzionale biopic sportivo gradito dal pubblico

Al debutto alla regia del veterano artista del montaggio William Goldenberg, basato sulla sfortunata storia del campione di wrestling Anthony Robles, prendono parte le star Bobby Cannavale, Michael Peña e Don Cheadle.

Di THR ROMA

I drammi sportivi motivazionali di solito condividono elementi chiave: lotta, battute d’arresto, perseveranza e sudatissima vittoria. Ancora più efficace se il film è incentrato su un protagonista svantaggiato, sia economicamente che fisicamente, per completare il quadro del “perdente”. Goldenberg, per il suo esordio da regista, ha scelto tutti questi elementi in Unstoppable. L’incredibile storia vera del wrestler Anthony Robles, nato privo di una gamba ma in grado di inseguire il suo sogno. Il punto di forza della storia, tuttavia, è come viene raccontato il legame tra Anthony e sua madre Judy nei momenti difficili; una intensa Jennifer Lopez.

Goldenberg è un premio Oscar per il montaggio, le cui collaborazioni con il produttore Ben Affleck partono da Gone Baby Gone fino ad Air –La storia del grande salto dell’anno scorso, divertente resoconto di uno storico passaggio evolutivo della Nike. Piacevole il continuum rappresentato da Unstoppable dal momento che proprio Robles è stato il primo atleta sponsorizzato Nike dopo essersi ritirato dall’agonismo professionistico. Questo suo commovente ritratto uscirà negli Stati Uniti e nel Regno Unito a dicembre, in sale selezionate, e poi rilasciato su Prime Video subito dopo.

Luogo: Toronto International Film Festival (presentazioni di gala)

Cast: Jharrel Jerome, Bobby Cannavale, Michael Peña, Anthony Robles, Mykelti Williamson, Don Cheadle, Jennifer Lopez, Shawn Hatosy, Johnni DiJulius

Regia: William Goldenberg

Sceneggiatori: Eric Champnella, Alex Harris, John Hindman

Classificato PG-13, 116’

Unstoppable presenta le sue citazioni senza cercare di reinventare la formula. Con uno strategico poster di Rocky appeso nel garage di casa dove Anthony si allena; o quando il lottatore corre con le stampelle su per i gradini del Philadelphia Museum of Art, poggiando il piede nel calco del cemento di Rocky Balboa. Momento apparentemente mellifluo ma di buon impatto, tipico dei film in cui è necessario e azzeccato il proposito strappalacrime.

Gli sceneggiatori Eric Champnella, Alex Harris e John Hindman hanno adattato il libro di Robles del 2012 tracciando la sua storia dall’ultimo anno alla Mesa High School in Arizona, quando diventa un campione nazionale, la sua mission, nell’ultimo anno di idoneità, per vincere il campionato della National Collegiate Athletics Association, in competizione per l’Arizona State University.

È chiaro fin dall’inizio che la disabilità di Anthony non è narrata per ottenere “punti pietà”, come ancora è più chiaro che la performance di Jerome nell’orgogliosa tenacia del personaggio ottenga esattamente l’opposto. È un giovane con un obiettivo fisso in testa: diventare un campione, mostrare i suoi successi e non la gamba destra mancante. Con l’incrollabile sostegno in ogni passo della madre Judy-Lopez, che non si arrende mai nonostante i problemi di una difficile vita quotidiana.

Nonostante il suo impressionante punteggio nel wrestling al liceo, e nonostante i principali scout universitari lo abbiano visto vincere, Anthony trova porte chiuse ovunque voglia iscriversi, l’Università dell’Iowa in testa dei leggendari Hawkeyes; considerati una leggenda di questa disciplina. Sia Judy che l’allenatore del liceo Bobby Williams (Michael Peña) spingono Anthony ad accettare l’intera borsa di studio quadriennale offerta dalla Drexel University di Philly. È l’unica scuola che lo vuole, ma stavolta è il volitivo Anthony ad avere qualche dubbio vista la completa mancanza di una sezione wrestling NCAA.

In segno di rispetto per Williams, l’allenatore Sean Charles (Cheadle) dell’Arizona accetta di vedere Anthony. Sean è sincero con il ragazzo: l’ASU ha già un elenco completo di reclute in fila per competere per i 33 posti del programma di wrestling, e che è altamente probabile che fare parte della squadra non sarà una passeggiata (per lui, partecipante senza borsa di studio). Ma il ragazzo non si lascia scoraggiare facilmente.

Il padre di Anthony è il grande assente di tutta la pellicola, nonché una sorta di leggenda per i quattro fratellastri più piccoli, nati dall’incontro fra Judy e la guardia carceraria Rick (Cannavale). Anthony adora i piccoli ma non può non essere in contrasto col suo patrigno, uno sbruffone la cui vena autoritaria emerge quando si tratta di scelte di vita. Tutti i discorsi spavaldi di Rick sul “vero uomo” crollano quando metterà a serio rischio la casa di Anthony e Judy. È il giovane lottatore che per primo si allarma notando il comportamento di Rick nei confronti di Judy.

Goldenberg e gli scrittori bilanciano abilmente il dramma domestico con i progressi sportivi di Anthony, dove lavora più duramente di chiunque altro nei provini; ma anche quando mostra una formidabile voglia di arrivare in vetta durante una difficile escursione in montagna di tre miglia, con le stampelle che scivolano più di una volta sul sentiero irregolare e roccioso. La sua resistenza impressiona Coach Charles, ma è la sua forza di volontà sul ring che alla fine gli fa guadagnare un posto.

Il vero Robles, che ora ha circa 30 anni, fa da controfigura per le scene di wrestling nei campi lunghi e medi: Jerome entra in scena nelle riprese strette. L’azione sportiva risulta viscerale, dolorosamente reale, la forza violenta degli slam e dei salti mortali probabilmente farà sussultare molti tra il pubblico (a me è successo).

Il film è pervaso dalla minaccia che il sogno di Anthony svanisca, in particolare quando l’ASU taglia il programma di wrestling per un anno e viene ripristinato grazie alle donazioni degli ex studenti in una squadra ridotta. È a quel punto che il travolgente sostegno dei compagni di Anthony prende vita. E quando il lottatore inizia a collezionare vittorie, ecco che diventa il favorito del pubblico.

Potremmo accusare il film di stimolare in modo impietoso i dotti lacrimali quando l’allenatore Williams consegna una scatola di lettere di ammiratori bambini che si ispirano alla figura di Anthony, incoraggiando Judy a leggerle e dandole il merito di aver cresciuto un giovane eccezionale. Alcuni dialoghi finali del coach Charles, nell’ammettere la sua incapacità di non aver capito le potenzialità di Anthony, esprimono il grande spessore della performance di Cheadle.

Ma qualsiasi meccanismo di manipolazione emotiva nella sceneggiatura è più che giustificato dallo straordinario dramma di Robles. L’adorabile colonna sonora di Alexandre Desplat – che spazia da chitarre in stile Ry Cooder ad archi pieni di atmosfera, a fughe impetuose di pianoforte – è un commento equilibrato per questo tipo di film, probabilmente perché l’autenticità del personaggio di Anthony può reggere da sola senza un elaborato apporto musicale.

Il contrasto tra la presenza prepotente del patrigno Rick e l’umanità degli allenatori è toccante. Sia Peña che Cheadle, poi, raccontano alla perfezione quanto la professione del coach richieda il supporto psicologico motivazionale oltre quello sportivo.

L’ingrediente dominante è la reciproca protezione tra Anthony e sua madre. Dopo un paio di film Netflix usa-e-getta in cui l’abbiamo vista nelle terre selvagge ghiacciate e nello spazio, Lopez si immerge in un ruolo di spessore. Piena di dolore, orgoglio, amara delusione di se stessa e poi questa Judy inaspettatamente resiliente e intraprendente quando affronta la questione casa e mutuo coi caimani bancari.

Potrebbe forse un po’ stonare la Judy glam, madre di cinque figli che stacca buoni su buoni per tirare a campare alla meglio, ma Jennifer Lopez offre una performance tenera e del tutto convincente nei panni di una donna la cui fede incrollabile nel figlio è il fulcro del film.

Nel suo primo ruolo da protagonista, Jharrel Jerome – che ha narrato in modo memorabile i lati contrastanti dell’adolescente Kevin, l’amore per la vita di Chirone in Moonlight e ha vinto un Emmy per When They See Us di Ava DuVernay – è eccellente. Dà al film un cuore pulsante e feroce, nei panni di un giovane che resta vulnerabile ma rifiuta di essere definito per ciò che gli altri percepiscono una debolezza.

Date le regole di questo sottogenere biografico e il fatto che il titolo stesso è praticamente uno spoiler, non ci sono dubbi su dove porterà la storia. Ma mentre Anthony guarda ossessivamente i video del wrestler imbattuto, destinato a essere il suo avversario per il campionato – e sussulta per l’arroganza macho del suo allenatore (Shawn Hatosy), che dice: “In Iowa, crediamo che il secondo sia uguale all’ultimo” – è impossibile non fare il tifo per lui. Intriso di uno straordinario spirito combattivo, ma capace di farci commuovere con la sua inflessibile forza d’animo.

Goldenberg conclude con un breve extra che mostra come i risultati di Anthony siano stati celebrati e continuino a ispirare. Forse eccessivo, ma un piccolo passo falso che non toglie nulla al valore di Unstoppable.

Credits completi

Luogo: Toronto International Film Festival (presentazioni di gala)

Società di produzione: Amazon MGM Studios, Artists Equity

Distribuzione: PrimeVideo

Cast: Jharrel Jerome, Bobby Cannavale, Michael Peña, Anthony Robles, Mykelti Williamson, Don Cheadle, Jennifer Lopez, Shawn Hatosy, Johnni DiJulius

Regia: William Goldenberg

Sceneggiatori: Eric Champnella, Alex Harris, John Hindman, basato sul libro di Anthony Robles con Austin Murphy

Produttori: Ben Affleck, Elaine Goldsmith-Thomas, Anthony Robles, David Crockett, Andy Fraser, Gary Lewis

Produttori esecutivi: Matt Damon, Michael Jow, Kevin Halloran, Dani Bernfeld, Jack Murray

Direttore della fotografia: Salvatore Totino

Scenografo: Jon Carlos

Costumista: Janelle Nicole Carothers

Musica: Alexandre Desplat

Editore: Brett M. Reed

Allenatore del movimento: Allison Diftler

Cast: Victoria Thomas

Classificato PG-13, 1 ora e 56 minuti

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