
Quest’anno alla Berlinale la presenza di film italiani è scarna, nel caso del concorso principale è completamente assente. Ma qualcosa c’è, e il primo dei tre titoli italiani presenti arriva nella nuova sezione Perspectives. Si tratta di Come la Notte, del regista italo-filippino Liryc Dela Cruz, che porta a Berlino un film sull’identità, sul colonialismo e su un passato da cui è impossibile scappare.
Raccontando la storia di due sorelle e un fratello di origine filippina che si ritrovano a Roma nella villa ereditata dalla sorella maggiore a seguito della morte della ricca signora di cui era governante, il regista mette in scena una condizione umana che caratterizza tanti immigrati, filippini e non, costretti a lasciare le proprie famiglie e le proprie terre per motivi puramente economici e che poi, per cause di forza maggiore, si ritrovano a entrare in una spirale di silenziosa violenza colonialista che li porta a una distorsione culturale da cui sembra impossibile uscire.
C’è, infatti, una violenza intrinseca nelle lunghe conversazioni che i tre personaggi hanno. Conversazioni che, man mano che il film va avanti, disvelano attriti e rancore covati da decenni. Un rancore che ha una radice comune e inequivocabile nel colonialismo.
Un colonialismo culturale che ha spinto a trasformare la parola “filippino” non più in un’identità culturale e nazionale, bensì in un mestiere visto come di poco valore, quello dell’assistente domestico, quasi un dispregiativo.
Ciò porta a sradicare l’identità, ad annientare la dignità.
Si tratta di un meccanismo diabolico, che porta il personaggio principale a subire un lavaggio del cervello che rende disperato e infruttuoso qualsiasi tentativo di resistenza. Una ragnatela che intrappola le proprie prede e le mette al proprio servizio, non diversamente da come fanno religione e capitalismo.
Anzi, Dela Cruz ci suggerisce che colonialismo, religione e capitalismo lavorano all’unisono, dandosi man forte all’interno di un sistema in cui le vittime diventano carnefici e in cui l’unica via di uscita sembra quella della violenza fratricida.
Il film di Dela Cruz è ambientato in una grande e desolata casa del Seicento, fatta di prati sterminati, finestre enormi e stanze tanto spaziose quanto claustrofobiche.
Il regista lavora molto bene proprio sugli spazi e su un’atmosfera di apparentemente calma ma che cova nel suo sottostrato una rabbia sinistra che esploderà in uno dei momenti più sconvolgenti del film.
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