“Vermiglio” di Maura Delpero (vincitore a Venezia del Leone d’Argento): un racconto di donne, memoria e resistenza nelle Alpi italiane

Il film premiato alla Mostra del Cinema di Venezia esplora la vita di una comunità montana nel 1945, dove le donne diventano simbolo di speranza e resilienza, tra la fine della guerra e il difficile ritorno alla normalità.

Vermiglio di Maura Delpero, fresco vincitore del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia, è un film che parla con la voce della montagna e il cuore delle sue donne. È una coproduzione tra Italia, Francia e Belgio, ma il suo spirito appartiene tutto a un piccolo paese incastonato tra le Alpi italiane, nel pieno dell’inverno del 1945, quando il mondo, stanco di guerra, sembrava cercare un difficile ritorno alla normalità.

Nell’Italia del secondo dopoguerra, Vermiglio è una comunità montana che vive nell’attesa: attesa di notizie dal fronte, attesa della fine della guerra, attesa dei propri cari. Situato al confine tra l’Italia e l’Austria, il paese aveva già vissuto il trauma della Prima Guerra Mondiale e ora, mentre il secondo conflitto volgeva al termine, si trovava nuovamente a fare i conti con le ferite, nuove e antiche, della storia.

Vermiglio è un luogo dove il tempo sembra sospeso. Le donne del paese, insieme agli anziani e ai bambini, portano avanti la vita quotidiana con un coraggio quasi silenzioso, quasi invisibile, fatto di piccoli gesti e di scelte quotidiane che raccontano una resistenza diversa, una resistenza senza armi, ma non meno tenace. Mentre il mondo esterno era scosso dagli ultimi colpi di coda della guerra, nelle case fredde di Vermiglio si combatteva un’altra battaglia, quella per sopravvivere, quella per mantenere accesa la fiamma della comunità.

Il film di Maura Delpero è un’opera che esplora in profondità il legame tra memoria, identità e territorio, e lo fa con un linguaggio visivo che si nutre del ritmo naturale delle stagioni. La narrazione si sviluppa attraverso il ciclo della natura: quattro stagioni che scandiscono il tempo di una vita, che segnano le trasformazioni di una ragazza che cresce, di una famiglia che cambia, di una comunità che resiste. In questo arco temporale così denso di significati, Vermiglio racconta una storia di crescita e di perdita, di speranza e di dolore.

Al centro della storia c’è una famiglia che, nell’ultimo anno di guerra, accoglie un soldato rifugiato. La sua presenza altera l’equilibrio già fragile della comunità, diventando il simbolo di un destino capovolto: mentre il mondo si avvia verso la pace, quella famiglia perde la propria serenità. È un ritratto intimo e delicato di una guerra vissuta da lontano ma percepita nelle ossa, nelle mura delle case, nei giorni scanditi dal suono delle campane e dalle poche, incerte notizie che arrivano dai villaggi vicini.

Il piccolo paese diventa così il microcosmo di una nazione spezzata e stanca, ma in cerca di una nuova identità. È l’Italia di allora: un paese frammentato tra le forze alleate, la Resistenza partigiana, e gli ultimi residui del regime fascista. In questo contesto, le donne di Vermiglio diventano il centro pulsante della comunità: con gli uomini lontani, sono loro a tenere insieme i fili della vita quotidiana, a prendersi cura dei bambini, degli anziani, della memoria stessa del luogo.

Alla premiazione a Venezia, Maura Delpero ha raccontato quanto sia stato cruciale il sostegno pubblico per la realizzazione del film: “Senza i fondi pubblici, il mio film avrebbe tradito se stesso. Non avrei potuto usare il dialetto, il film non avrebbe avuto la sua musica interna, non avrei potuto guidare lo spettatore in un viaggio nel tempo e nello spazio, né ascoltare il silenzio e i tempi della montagna.” Parole che rivelano quanto l’autenticità di Vermiglio sia radicata nel suo territorio, nelle sue voci, nei suoi silenzi.

Delpero ha voluto ringraziare “tutti quelli che aiutano la conciliazione tra lavoro e famiglia, difficilissima soprattutto per le donne,” e ha aggiunto con passione: “Mi auguro che la società inizi a sentire questo problema come suo e non lasci sole le donne.” Un richiamo forte e sentito alla necessità di un cambiamento culturale che sostenga chi, ogni giorno, lotta per conciliare vita privata e lavoro.

Maura Delpero dipinge così un omaggio alla resilienza femminile. In Vermiglio, la cucina diventa il loro campo di battaglia, dove si combatte contro la scarsità di cibo, il freddo, la mancanza di notizie. Le donne non sono spettatrici passive degli eventi, ma protagoniste silenziose, custodi delle tradizioni, dei ricordi e della continuità. La regista esplora questo paradosso: mentre il mondo esterno cerca soluzioni militari, queste donne costruiscono una resistenza diversa, fondata sul vivere quotidiano, sulla cura, sull’atto di tenere insieme ciò che rimane.

In un racconto personale e toccante, Delpero rivela come l’idea di Vermiglio nasca da un ricordo intimo: “Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate,” confessa. “Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti di bambino.” Da qui, il film si sviluppa come un viaggio attraverso il tempo, un atto d’amore verso il padre, verso la famiglia e verso quel piccolo paese di montagna che diventa “un paesaggio dell’anima.”

Vermiglio è più di un film: è un viaggio nei ricordi, una meditazione sulla memoria collettiva e sulla capacità umana di trovare luce anche nei momenti più bui. È una celebrazione del ruolo insostituibile delle donne nella storia, della loro capacità di sostenere e preservare l’anima di una comunità anche nei tempi più difficili. Un’opera che ci ricorda quanto sia importante ascoltare quei silenzi, rispettare quei tempi, proteggere quelle storie.

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