“Tanti videogiochi che parlano della criminalità, un po’ la esaltano”, racconta a The Hollywood Reporter Roma Vittorio Mattia Bernatti, game designer della casa di sviluppo torinese 34BigThings, che all’inizio di quest’anno ha pubblicato il primo videogioco con la licenza ufficiale di Gomorra, il libro inchiesta di Roberto Saviano poi diventato il film di culto diretto da Matteo Garrone (ora in corsa ai Golden Globes e agli Oscar con Io Capitano) e che ha portato anche alla serie televisiva di grandissimo successo su Sky, prodotta in collaborazione con Fandango e Cattleya.
“Non che ti spronano ad andare in giro a rubare cose, ovvio, ma te lo fanno sentire come un momento di gloria, penso a GTA, che è stato percepito come un videogioco controverso”, continua Bernatti, “che poi lo sia o meno non è importante, la percezione è stata quella” .
Il fenomeno criminale, e quello mafioso, nei videogiochi è tanto rappresentato quanto nei film. Se la settima arte ha come asso nella manica la trilogia de Il padrino di Francis Ford Coppola, i videogiochi hanno certamente la serie Mafia, edita da 2K, con il primo capitolo uscito nel 2002 (e rifatto nel 2020) che racconta l’ascesa al potere del giovane tassista Tommy Angelo. E se queste serie, contando anche il più famoso GTA, sono sempre riuscite a restituire il fascino senza tempo del gangster movie, dall’altra parte ci sono state poche variazioni sul tema.
Gomorra, una visual novel
Inquadratura in terza persona, mondo aperto e facilmente esplorabile attraverso veicoli, con narrative più o meno stratificate. Tutto è molto esplicito, attivamente coinvolto, mentre nel videogioco di Gomorra, lo studio di sviluppo torinese ha pensato di rendere il tutto più astratto, ma allo stesso tempo pragmatico e narrativo.
L’impostazione è infatti quella di una visual novel, ovvero l’impianto grafico è minimale e rappresentato esclusivamente dalle illustrazioni di Luca Negri, con un tratto grezzo ma dinamico, e con un ottimo uso del bianco e nero, e dei dettagli gialli dei proiettili esplosi.
Ma poi, con l’influenza di videogiochi mobile come Reigns, del designer François Alliot, i giocatori e le giocatrici sono chiamati a fare delle scelte difficili e sentite, tenendo conto delle forze in gioco, della fama, del potere; oltre a organizzare e gestire l’organizzazione criminale, il videogioco di 34BigThings mette in scena una narrativa che è stata scritta con il largo utilizzo della lingua napoletana, esattamente come per la serie con protagonista Salvatore Esposito, che interpreta il Genny Savastano tanto apprezzato dal pubblico.
La giovane Nina
La protagonista di questa nuova storia di Gomorra, non collegata a quella della serie, si chiama Nina, ed è figlia del boss di camorra Sergio Miniero, morto in un agguato. A quel punto, nella tumultuosa lotta per il potere tra le famiglie, la giovane Nina si trova a gestire gli affari del clan, prendendo scelte importanti mentre la storia, forse, suggerisce anche una via d’uscita. Lei non è entrata in quel mondo volontariamente, ma “ci si è ritrovata dentro”. “Il punto di vista del gioco vuole seguire quella di un ipotetico lettore o lettrice, senza dare per scontato nulla”, spiega Bernatti.
“Alcuni personaggi della serie di Gomorra vengono introdotti come già navigati, e non si fanno più quei problemi su cui noi, in realtà, volevamo indagare e far ragionare l’utente,” aggiunge il designer di 34BigThings.
La stessa scelta di Nina, da parte del team, è una forte variazione sul tema della rappresentazione della mafia. Nei videogiochi, infatti, la criminalità è un fenomeno maschile. Come da credenza culturale, i protagonisti nei videogiochi crime sono tendenzialmente maschi, con poche eccezioni, tra cui Gomorra e il primo capitolo della saga di GTA.
Il caso GTA
Recentemente, Rockstar Games ha pubblicato il trailer di GTA VI, la sesta installazione di un franchise di grande successo, che per la prima volta dopo 25 anni torna a presentare una protagonista femminile, Lucia. Ma già nel 1997, il “nuovo” Grand Theft Auto aveva non una ma ben quattro protagoniste: Katie, Mikki, Ulrika e Divine. La scelta era puramente estetica, e quindi i personaggi non avevano abilità caratteristiche o agevolazioni nel corso delle ore di gioco.
“Si è sempre pensato che nella storia la donna sia inferiore, e quindi inferiore anche nel commettere un atto criminale. E questo gli studiosi lo chiamano sessismo benevolo”, aveva spiegato a THR Roma la sociologa Giovanna Truda.
Lo stereotipo, e la realtà
Questa concezione maschile fa tanto parte delle organizzazioni criminali quanto della società, e quindi anche dei giudici e dei magistrati. “L’idea di non pensare che le donne fossero abbastanza forti da non fare azioni criminali ha influenzato anche i giudici e i pm”, aggiunge Truda. “Quando sono andati in galera grandi capi mafiosi, non riuscivano a capire come fossero organizzati. Poi hanno scoperto che c’erano le mogli, le sorelle e le figlie”.
E continua: “La magistratura applicava questo stereotipo culturale, e non vedeva la realtà”, facendo riferimento anche al caso di cronaca di Rosalia, che ha gestito la cassa della famiglia durante i 30 anni di latitanza di Matteo Messina “Soldino”, come lo ha sempre definito il cronista di Telejato Pino Maniaci.
Ma nel rappresentare la criminalità organizzata, i videogiochi falliscono su un’altro punto, oltre alla questione di genere. Il loro fallimento è da ricercare nella mancata rappresentazione di altre agenzie di contrasto, di altre collettività in prima linea per contrastare il fenomeno mafioso: le associazioni, la magistratura e i pentiti.
Stato e anti-stato
Praticamente qualunque gioco sulla mafia, o sulla criminalità organizzata, è la riproposizione del tema guardie e ladri: intrigante in termini di coinvolgimento, ma sola narrazione presente. Compiere un crimine in un videogioco porta alla reazione della polizia, non della collettività: un anti-stato chiama la reazione dello stato.
A volte queste storie sono costruite con intrecci e intrighi, sfumature e doppi giochi alla The Departed di Martin Scorsese, come per il caso di Sleeping Dogs, sviluppato da United Front Games, due prodotti culturali direttamente ispirati a Infernal Affairs, diretto da Andrew Lau e Alan Mak.
La criminalità, nei videogiochi, è quindi una questione di “forza”, di fallica lotta per il potere, tra criminali e la polizia. Lucia, protagonista di GTA VI che uscirà nel 2025, e Nina di Gomorra, sono forse la dimostrazione di un cambiamento culturale che può passare anche dalla narrativa e dal videogioco crime.
“Sergio Miniero è forse l’unico camorrista contento di aver messo al mondo una femmina. Un uomo cattivo può essere in grado di sorridere così a sua figlia? Può davvero amare qualcuno senza scambiarlo per un oggetto?”, recita la scena iniziale di Gomorra, durante la festa per i 18 anni di Nina e poco prima dell’agguato che porterà alla morte del padre. E le scelte: “Come ha fatto con mamma”, e “Può rinunciare al possesso?”
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