Cinecittà. Non è solo un luogo. È una delle parole che evocano il cinema. Come Hollywood, come Oscar, come Cannes o Venezia. La parola si porta dietro profumo di cinema, di grandi attori, grandi storie.
Quelli di Cinecittà sono gli studi cinematografici più grandi d’Europa. E gli unici, oltre a Hollywood, che abbiano saputo trasformare il proprio mito in spettacolo, con film che ne celebrano la leggenda. Nella sua lunga storia, che sta per raggiungere i novant’anni, Cinecittà ha vissuto alti e bassi, gloria e oscurità, splendore e difficoltà. Che cosa è Cinecittà? È un marchio del cinema italiano nel mondo. È un immenso foglio bianco, grande 400mila metri quadrati, su cui scrivere sogni. Quei sogni chiamati film.
Oggi, Cinecittà vive una difficoltà economica: c’è un problema con i bilanci, c’è molta polemica, e c’è la probabilità che sarà necessario rettificare e ripresentare i bilanci degli ultimi anni e affrontare una perdita grossa nel 2024. Dagli ultimi due bilanci di Cinecittà emergerebbe un buco di diversi milioni di euro, mentre i ricavi industriali – che nel 2023 ammontavano a 47 milioni di euro – sarebbero crollati quest’anno a una cifra fra i 15 e i 18 milioni.
Quello che sta succedendo però non cambia il fatto che Cinecittà è importantissimo nella storia della cultura italiana. Qui cercheremo, quindi, di disegnare la storia di Cinecittà attraverso alcuni momenti chiave.
Fotogrammi di un album infinito, che accoglie oltre tremila film realizzati all’interno di Cinecittà, 90 dei quali candidati agli Oscar, con 51 statuette vinte. Momenti di gloria e altri di tragedia. Come quando Cinecittà diventò un campo di concentramento per novecento uomini rastrellati nel quartiere del Quadraro. O quando, il 16 ottobre 1943, Cinecittà venne depredata dai nazisti e 16 vagoni merci carichi di attrezzature, cineprese, pellicola, microfoni lasciarono Roma, con destinazione Germania e Repubblica di Salò.
GLI ANNI D’ORO DI “CLEOPATRA” E DI FELLINI
A Cinecittà, Liz Taylor e Richard Burton si amavano, si desideravano, litigavano anche dopo che il regista aveva gridato “Stop!”. Era l’alba degli anni Sessanta, sul set del film più costoso della storia del cinema, Cleopatra, 44 milioni di dollari dell’epoca. Un’enormità, che avrebbe quasi mandato in rovina la Twentieth Century Fox e che segnò il canto del cigno del genere peplum. Quei film che i romani chiamavano “sandaloni”.
Mentre Liz Taylor e Richard Burton scoprivano la forza devastante del loro amore burrascoso, un ottovolante emotivo che li avrebbe portati a due matrimoni e due divorzi, i centurioni romani andavano in Vespa, da un punto all’altro del set.
L’anno prima, a Cinecittà avevano girato la corsa delle bighe di Ben Hur. Federico Fellini nel 1960 ricostruiva a Cinecittà via Veneto, con i tavolini all’aperto, per La dolce vita. A Cinecittà, Fellini si sentiva a casa. “Lo Studio 5 è il mio appartamento”, diceva. “Ci vivo quando giro, ma anche quando preparo i film, quando li monto, quando penso il prossimo film”.
LA BIMBA DI “BELLISSIMA”
Cinecittà. È del 1951 il film che meglio rivela che cosa significasse Cinecittà per la generazione uscita dalla miseria del dopoguerra in Italia. Una speranza di lavoro, di fuga da una vita opprimente. Il film è Bellissima, di Luchino Visconti. A Cinecittà entrava la madre fiera, popolana coraggiosa, sconsiderata, impetuosa interpretata da Anna Magnani. Porta la sua bimba al regista Alessandro Blasetti, come un’offerta umana al Dio del cinema. Sogna la gloria, la celebrità, la fortuna.
LA NASCITA DI CINECITTA’.
È il 1934, quando Benito Mussolini nomina Luigi Freddi, amico di Galeazzo Ciano, direttore generale della cinematografia fascista. Freddi fa un viaggio in America, vede Hollywood, la “foresta di agrifogli” dove le grandi case di produzione americane hanno stabilito i loro studios. E comincia a coltivare l’idea di grandi studi nazionali cinematografici, in Italia.
I più grandi studi cinematografici italiani dell’epoca sono quelli della Cines, fondata nel 1904. Ma gli studi Cines bruciarono nel 1935, probabilmente per un incendio doloso. Fu allora che Luigi Freddi impegnò capitali pubblici, a fianco di altri privati, per creare una città del cinema, di fronte all’appena nato Centro sperimentale di cinematografia.
La prima pietra viene posta il 26 gennaio 1936. Cinecittà viene inaugurata il 21 aprile 1937. È il complesso di studi cinematografici più grande d’Europa, con tecnologie all’avanguardia per l’epoca. Nella nuova struttura si può fare un film dall’A alla Z, dalla elaborazione del soggetto alla stampa delle pellicole. Nell’agosto 1937 viene prolungata la linea del tram, fino a Cinecittà. Viene chiamato “tram delle stelle”.
Mussolini visita gli studi, sullo sfondo campeggia la scritta: “Il cinema è l’arma più forte”. Arma di propaganda, arma per creare il consenso. Ma Mussolini e Freddi saranno saggi, non imporranno cinema di propaganda pura, si accontenteranno di sorvegliare che nelle molte commedie che vengono realizzate – quelle dei “telefoni bianchi” – non si raccontino conflitti di classe, gli impiegati, le studentesse, le sartine, i nobili e gli insegnanti stiano ognuno al proprio posto. Fra il 1937 e il 1942 si girano a Cinecittà molti film. Diciannove nel 1937, 31 nel 1938. Nel 1942 il record: ne vengono prodotti 52.
LA GUERRA. CINECITTA’ SACCHEGGIATA
Poi la guerra che era stata combattuta fuori dell’Italia arriva nel cuore del paese. Cinecittà viene bombardata dagli Alleati. Dopo l’8 settembre, i tedeschi occupano Roma, e prima di andarsene saccheggiano tutti i materiali presenti a Cinecittà. È passato appena un mese dall’armistizio, e il 16 ottobre 1943 partono sedici vagoni merci carichi di tutto quello che si poteva portar via da Cinecittà. I tedeschi avrebbero voluto portare tutto in Germania: fu Luigi Freddi, liberato dal carcere dove nel frattempo era finito, che riuscì a recuperarne alcuni e “dirottarli” su Venezia, dove la Repubblica sociale stava cercando di ricostruire una sorta di Cinecittà, chiamata Cinevillaggio. Pochi attori e registi ci andarono. Il “cinema di Salò” non decollò mai.
Nel gennaio 1944, i teatri di posa di Cinecittà – utilizzati dai nazisti come depositi – vengono bombardati dagli Alleati. Il 6 giugno 1944, la città del cinema è requisita dall’Allied Control Commission per alloggiare migliaia di rifugiati. Cinecittà diventa un campo profughi. Storie e sofferenze che si incrociano. Sull’argomento è stato realizzato un documentario, Profughi a Cinecittà, di Marco Bertozzi.
Nell’immediato dopoguerra, Cinecittà è un guscio vuoto. E i film si fanno per le strade: si raccontano storie vere, si inquadrano le macerie della guerra. Nasce il Neorealismo, Rossellini e De Sica insegnano al mondo un nuovo modo di fare cinema, nato dalla necessità. E il mondo si entusiasma.
Gli studi tornano a splendere solo dal 1949 in poi. Le grandi produzioni internazionali – in particolar modo la MGM – scelgono di girare a Roma, in particolare per il basso costo delle maestranze, e per la qualità dei tecnici italiani.
GLI ARTIGIANI ITALIANI
I tecnici italiani, già. Molti erano esperti artigiani che, con la guerra, avevano perso casa e lavoro, ed erano finiti a vivere nelle borgate, nelle periferie più lontane, disoccupati. Cinecittà ebbe a disposizione, così, un prezioso gruppo di decoratori, muratori, carpentieri, falegnami di altissimo valore, la cui competenza trovò applicazione nelle scenografie dei set cinematografici. Gente che aveva costruito la sua esperienza nei cantieri delle chiese o nei laboratori di restauro. Maestranze con competenze uniche al mondo.
Nasce la “Hollywood sul Tevere”. Vengono girati film come Il principe delle volpi, con Orson Welles, del 1949, e Quo vadis? Di Melvin Le Roy , nel 1951. Delle migliaia di profughi che ancora vivono a Cinecittà, molti vengono usati come comparse!
E viene girato in parte a Cinecittà Vacanze romane, con Audrey Hepburn e Gregory Peck che si innamorano, lei principessa e lui giornalista, liberi – per un giorno – dai rispettivi ruoli, in una città che William Wyler ritrae come una grande scenografia a cielo aperto, perfetta per innamorarsi. È il 1953. Poi verranno i milioni di dollari investiti per Ben Hur e Cleopatra, di Joseph L. Mankiewicz, Il tormento e l’estasi di Carol Reed e La caduta dell’impero romano, nel 1964, di Anthony Mann. Ma è il canto del cigno. Nel 1969 la collaborazione con Hollywood si interrompe del tutto.
Negli anni Sessanta, però, Cinecittà si difende, con una grande produzione di film di genere: peplum italiani, western, horror e film spionistici.
FELLINI, BERTOLUCCI, VISCONTI
Gli anni ’70 sono anni di grande cinema d’autore, ma di scarse produzioni in generale: non più di 10, 15 film all’anno. Fellini è sempre lì, che praticamente vive negli studios,dove arriva con la sua Fiat 125, spesso in compagnia del fedele scenografo Dante Ferretti. Gira lì Roma e Amarcord, ma praticamente per ogni film Fellini non esce dal perimetro della città del cinema.
Anche Luchino Visconti gira a Cinecittà Morte a Venezia, nel 1971, e Ludwig, nel 1972. Bernardo Bertolucci gira a Cinecittà il suo kolossal Novecento, uscito nel 1976. E fino agli anni ’80, si realizzano a Cinecittà molte coproduzioni con la Francia e con la Spagna, con un intreccio di collaborazioni artistiche e produttive molto profondo.
GLI ANNI ‘80
Negli anni ’80, Federico Fellini gira E la nave va, uscito nel 1983, Sergio Leone vi gira molte scene di C’era una volta in America, uscito nel 1984, e Bernardo Bertolucci L’ultimo imperatore, girato nel 1986 uscito nel 1987. Il film di Bertolucci vince 9 Oscar, tra cui quelli per il miglior film e per la migliore regia. A Cinecittà Fellini dedica un ultimo, malinconico omaggio con Intervista, del 1987.
È il 1989 quando il visionario Terry Gilliam gira a Cinecittà Le avventure del barone di Munchhausen, ed è il 1990 quando Francis Ford Coppola gira a Cinecittà Il padrino – parte terza. Nel 1996 Anthony Minghella gira a Cinecittà Il paziente inglese, che nel 1997 vince 9 Oscar – compresi quelli per il miglior film e la migliore regia, proprio come Bertolucci.
SCORSESE DAL CALZOLAIO
Uno degli ultimi grandi momenti di gloria di Cinecittà accade quando Martin Scorsese vi gira Gangs of New York, la sua epica sulla nascita degli Stati Uniti. Per girare il film, Scorsese va prima a Firenze, a tirar fuori Daniel Day-Lewis dalla bottega di calzolaio artigiano dove si era ritirato, dopo aver detto addio al cinema. Lo convince a tornare sul set, li dà il ruolo del feroce Macellaio nel suo film. A Cinecittà si ricostruisce la new York dell’Ottocento.
Fra le comparse, un giovane calabrese sente parlare di questo “Scorsese” e, senza capire bene, pensa che tutti vogliano dire “lo scozzese”. Il regista viene dalla Scozia, ecco quello che ha compreso. È felice, perché nel ruolo di comparsa è compreso il cestino del pranzo. Si chiama Marcello Fonte. Anni dopo vincerà la Palma d’oro a Cannes per la migliore interpretazione maschile, come protagonista di Dogman di Matteo Garrone.
LE CRISI DEGLI ANNI 2000
Ma gli anni Duemila sono più difficili. Nel 2011, il cinema italiano produce 155 film. Ma a Cinecittà se ne producono solo 8. Ogni regione italiana, nel frattempo, si dota di una film commission per attrarre produzioni nel proprio territorio. E la grande maggioranza dei film adesso si gira al di fuori degli studi di Cinecittà.
Nel 2013 va in scena una protesta dei lavoratori di Cinecittà contro un progetto di licenziamento di molti lavoratori, un progetto che prevedeva la costruzione di un albergo, parcheggi, palestre e beauty farm nei terreni del Centro di produzione.
Nel 2022 viene annunciato un accordo fra Cinecittà e Fremantle, uno dei principali produttori di film e serie tv del mondo, che prende in affitto sei teatri di posa. Il 30 giugno 2022 l’Economist scrive: “Cinecittà può diventare il primo hub europeo per i film?”. E parla, in un lungo articolo, di una possibile nuova “età dell’oro”. Adesso le cose sembrano diverse.
Fra gli ultimi film girati a Cinecittà, Without Blood, il film di Angelina Jolie dal romanzo di Alessandro Baricco, visto recentemente al Torino Film Festival, e prodotto da Fremantle.
Oggi si entra nel portale, che riecheggia le linee dell’architettura nazionalista. Si percorrono i lunghi viali, fra piante e erba. E col pensiero si rivede Liz Taylor con il suo abito da Cleopatra, con le bordature in vero oro 24 carati. E sembra di veder passare un centurione, con i sandali, su una vecchia Vespa.
Quanta nostalgia, quanta storia, ma oggi purtroppo c’è un giallo finanziario da risolvere. Il prossimo capitolo del giallo, e forse una soluzione parziale, dovrebbe arrivare già venerdi.
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