Paola Lucisano: “Potremo raccontare certe storie solo se avremo più donne nei posti chiave. Sogno di trovare la nuova Paola Cortellesi”

La produttrice della serie tv Rai Il Clandestino ci apre le porte degli uffici della Lucisano Media Group, ci offre uno sguardo sui prodotti futuri - dalla rom-com tratta da Non è un paese per single di Felicia Kingsley fino alla serie di Alessandro Siani - e su quelli su cui vuole rischiare (da un'opera che racconta con levità il tumore al seno a una storia vera da Oscar). E fa un appello alla politica "Siamo un'industria fondamentale per l'Italia, trattateci come tale"

“Quel 62% di pubblico femminile ci conforta molto”. È un dettaglio quello che ci restituisce la precisione e la cura di Paola Lucisano nel fare il proprio lavoro di produttrice, mentre parla de Il Clandestino, la serie diretta da Rolando Ravello con protagonista Edoardo Leo, si sofferma su una percentuale decisiva.

“Il soggetto era molto poco Rai, ma avevo così tanta voglia di lavorare in una serie con Edoardo e di girare a Milano, di raccontarla che non ho esitato ad affrontare una sfida che inizialmente sembrava difficile. Ma io quando ci sono gli ostacoli, vedo invece le opportunità, come quella di poter finalmente mostrare sullo schermo una città mitteleuropea, l’unica metropoli italiana credibile per storie internazionali: e infatti qui credi sia alla Milano etnica che quella da bere. E alla fine ci è venuto così bene che abbiamo convinto anche Tinni Andreatta e Netflix”.

“Siamo l’unica grande realtà italiana, coinvolta in tutta la filiera, dalla tv al cinema, passando per le sale (ben 41 schermi in 5 sale multiplex), tenute e migliorate anche durante il Covid, perché ci abbiamo sempre creduto”.

Parla con orgoglio della Lucisano Media Group, dei 28 anni da produttrice (sbancò premi e critica con il corto Senza parole), 22 da Emma sono io, il primo lungometraggio.

Un management sulla plancia di comando che ha visto lei e la sorella Federica cambiare, a cavallo del nuovo millennio, la IIF, rivoluzionarla mantenendo una forte identità ma diversificando ancora di più gli investimenti, tanto che grazie al lavoro di Paola Lucisano il solo settore televisivo è stato trainato fino a un incremento del 20%. Una piccola major con “vocazione multimediale” amano definirsi, da 10 anni (dei 60 di vita) pure quotata in borsa e poi socia nell’unica vera novità degli ultimi anni nel mercato italiano, Vision Distribution.

Sulla scrivania, Paola Lucisano ha progetti, appunti, ispirazioni. Sorride, gentile e aperta, ma i suoi movimenti, i suoi occhi tradiscono la solerzia con cui sta già pensando ai prossimi appuntamenti, alle prossime scommesse da fare per trovare “nuovi autori, progetti innovativi”, alle prossime sfide. Alle prossime pagine da leggere e portare sullo schermo, piccolo o grande che sia.

L’impressione è che il grande successo de Il Clandestino per lei sia già alle spalle. A cosa sta lavorando ora?

Abbiamo preso Non è un paese per single di Felicia Kingsley e stiamo scrivendo già la sceneggiatura di questa rom-com che è un genere in cui credo molto. Poi stiamo lavorando alla serie di Alessandro Siani, è già in cantiere e messa in scrittura la seconda stagione de Il Clandestino – ci credo tantissimo – e la terza di Mina Settembre aprirà il suo set tra poco. E poi ho preso i diritti de La casa di ringhiera di Francesco Recami, che potrebbe raccogliere l’eredità di quest’ultima.

Da un po’ vi definite “mini major”, ma in realtà visti i nomi ricorrenti che si sperimentano in tv come al cinema, voi sembrate più una factory

La definizione mi piace, tanto che ho provato a rendere la nostra società tale mettendo sotto contratto degli scrittori proprio durante il Covid. Volevo che ci fosse uno stile narrativo ancora più distinguibile e così ad esempio ho voluto in esclusiva Fabrizio Cestaro che mi ha fatto tutta Mina Settembre, Guida astrologica per cuori infranti e La casa di ringhiera.

E anche quelli che l’esclusiva non te la danno, finiscono per tornare sempre a lavorare con noi. È una scelta precisa anche quella di puntare sui nostri talent, li conosciamo da tempo, abbiamo creduto in loro fin dall’inizio e anche se non è facile, li teniamo con noi, cresciamo insieme, con continui scambi di consigli, opinioni, visioni.

Tiziana Aristarco, Serena Rossi e Paola Lucisano sul set di Mina Settembre

Tiziana Aristarco, Serena Rossi e Paola Lucisano sul set di Mina Settembre

È difficile tenerli con voi?

In questo mondo è sempre così, e ancora di più in un contesto che viene considerato di genere e commerciale. Magari vogliono fare il film impegnato e cercano altrove, dimenticando che da queste parti si è fatto Prima che la notte di Daniele Vicari o la serie Il sistema. E stiamo lavorando sul racconto di un grande caso giudiziario degli anni ’70, che ha cambiato il nostro modo di guardare il mondo.

Però, e ce ne vantiamo, noi non vogliamo mai dimenticare il nostro amore – e rispetto – per il pubblico. E le nostre scelte non sono mai contro di lui.

Un consiglio: non attaccate sempre i produttori perché magari considerate povere le proposte di una stagione, a volte sono i committenti a creare problemi. Ricordo che per il film su Pippo Fava Vicari faceva paura in quanto regista di Diaz e Fabrizio Gifuni non convinceva, era una faccia troppo poco televisiva. Abbiamo resistito e abbiamo avuto ragione noi.

Per il cinema e della tv d’autore continuerete su questo binario della denuncia sociale e civile e del ricordo dei grandi eroi di Stato oppure avete obiettivi diversi?

No, nessun cambiamento, penso che andremo in quella direzione, opere che danno prestigio alla casa di produzione come all’autore. Naturalmente possiamo farlo solo stando sempre attente alla sostenibilità dell’azienda che ha impegni importanti da onorare. E ovviamente non escludendo mai il pubblico da ciò che facciamo.

In fondo è ereditario: anche papà Fulvio ha distribuito film come Indocina, ha prodotto Massimo Troisi, Farinelli e Il grande cocomero, da cui provai a trarre anche una serie, ma c’erano troppi impegni concomitanti, a partire da Sergio Castellitto. Ma ci credo ancora, vorrei riprovarci, è un grande titolo che merita questa nuova vita.

Insomma, quello che contano, per noi, sono le idee.Ti faccio un esempio: c’è una serie scritta da Viola Rispoli e Daniela Rossi che parte dal racconto di una malattia, un grande tema sociale, senza perdere in intrattenimento e in levità. Metteremo al centro un tabù come il tumore al seno all’interno di una narrazione che saprà essere tenera, originale, emozionante ma non patetica e retorica.

Una scommessa davvero molto coraggiosa, sdogana un argomento che altri non avrebbero neanche il coraggio di ascoltare.

Sì, credo che faccia parte anche questo del nostro DNA. Poi a chi attacca le piattaforme ricordo che sono loro ad aver allargato così tanto i nostri confini, formali e di contenuto, aumentando anche i numeri del pubblico. Anche per questo ora è possibile sperimentare di più che in passato, perché le nicchie adesso pure senza perdere in qualità aumentano i loro numeri assoluti.

Peraltro questo è un periodo particolarissimo: negli ultimi anni abbiamo avuto più spettatori e questi si mostrano sempre più esigenti, ma ancora più recentemente sembra che si stia tornando di nuovo al generalismo, sia pure arricchito da queste visioni.

Quanto aiuta ad allenare questo fiuto per successi non scontati l’avere delle sale cinematografiche?

Un po’ aiuta, un po’ ti spinge ad andare 0ltre. Penso al fatto che durante il Covid abbiamo puntato a migliorare le nostre strutture, a renderle più comode, a far sì che dentro si vivano delle esperienze, non si assista solo a delle proiezioni.

Io credo che ci faccia molto bene questo sistema di vasi comunicanti per cui un settore aiuta l’altro.

In pandemia volavamo con le fiction? E questo ci serviva a non mollare sul theatrical, che pure ovviamente era crollato in quei mesi. Un sistema integrato, poi, ci aiuta a non farci ingannare dalle bolle. È un valore aggiunto.

A volte, forse, si vorrebbe essere premiati un po’ di più dal sistema Paese? Penso alla riforma sul tax credit che potrebbe mettere in difficoltà l’audiovisivo italiano

Non va sottovalutato il momento che stiamo vivendo, né appiattito su interpretazioni ideologiche.

Il tax credit ha aiutato tantissimo il settore, ma non dobbiamo dimenticare il momento difficile del paese e che molte delle nostre società ora sono a capitale straniero. E quindi diventa difficile giustificare certi aiuti, se si vuole privilegiare la cosiddetta italianità.

Detto questo, dobbiamo guardare anche gli altri mercati, a ciò che fanno Spagna, Francia e altri che hanno rilanciato su misure su cui noi eravamo arrivati prima: reprimere il fervore che ci ha colto come arte e industria in questi ultimissimi anni sarebbe un peccato.

Da cosa pensa che derivi questo eterno e ricorrente passo del gambero? Quando il cinema italiano, il settore sembra risorgere, la politica prova ad affossarlo

Non credo, non voglio credere al fatto che ci sia una volontà politica di umiliare, mortificare un settore, di affossarlo. Ma va detto che, a sinistra come a destra, si fa fatica a considerarci come industria, ad avere uno sguardo oggettivo e complessivo su di noi come sistema.

Eppure i numeri che facciamo, a partire dalle professionalità impiegate direttamente e nell’indotto, centinaia di migliaia di persone, non giustificano questa sottovalutazione costante.

Purtroppo, poi, per natura noi tendiamo a cicli che possono essere ben descritti con la metafora della fisarmonica. Ma anche nei momenti più complessi, un euro speso nell’audiovisivo ne restituisce alla collettività 3,75. E in alcuni casi si arriva anche a 20. Una cosa importantissima, che non sappiamo comunicare abbastanza.

Chi lo sa, per esempio, che ogni serie di produzione italiana impiega 1500 persone?

Di sicuro considero giusto puntare a favorire gli italiani: noi siamo tra i pochi ad aver resistito alle acquisizioni estere e paghiamo le tasse interamente in questo paese. Ecco, per esempio si dovrebbe e potrebbe agire su una defiscalizzazione ulteriore per chi è nella nostra situazione.

Serve un intervento legislativo complessivo e ragionato, mio padre Fulvio ricorda sempre la legge Andreotti, quella del 3% a difendere le produzioni italiane, a proteggere la nostra specificità culturale.

A volte potremmo essere ispirati dal passato quando dà buone lezioni.

Se Paola Lucisano fosse ministro con che misura esordirebbe?

Una legge che favorisca le produzioni giovani e solide.

Da spettatrice cosa ha amato nell’ultimo anno?

Film lontanissimi dal nostro core business. Foglie al vento di Aki Kaurismaki, che secondo me è il film dell’anno: quanto l’ho amato, ti infonde tenerezza e speranza. E poi Past Lives. Ma voglio smettere di dire che noi queste cose non le facciamo. Proprio in questi giorni sto parlando con Costanza Quatriglio per fare un film su Pirandello. Vorrei proprio farlo, è una cineasta straordinaria.

Stavo per dimenticarmi ‘ultimo lavoro di Wim Wenders, che ha scoperto in Koji Yakusho un Charlie Chaplin moderno. Un altro ancora, notevolissimo, è Anatomia di una caduta.

Tornando al discorso di prima, cosa accomuna tutti questi lungometraggi? Una qualità eccellente di scrittura.

Paola Lucisano

Paola Lucisano

L’essere figlia d’arte l’ha aiutata?

Eccome, ho imparato da uno dei migliori, Fulvio Lucisano. E poi lui mi portava sui set, andavo con lui negli Stati Uniti, ho conosciuto tanto cinema ad altissimi livelli. Ricordo che fin da piccolo mi colpisse come lui sapesse subito individuare le opere più belle, me ne parlava, ma spesso non le comprava perché conosceva così bene il pubblico italiano da sapere che non avrebbe reso un buon servizio al film esponendolo a un insuccesso.

Lui mi ha insegnato a rispettare il pubblico, ma anche a sfidarlo.

Paola Cortellesi, per dire, l’avete scoperta voi. Però…

Però devi avere le braccia larghe per farla esordire alla regia. Ho sempre creduto tanto in lei, è una grande artista e una persona meravigliosa, ma poi devi fare i conti con i bilanci e le possibilità che hai.

Ma un successo come C’è ancora domani è un bene per tutto il settore, che qui si è dimostrato virtuoso.

Noi l’abbiamo aiutata ad emergere, l’abbiamo fatta esordire come sceneggiatrice in Scusate se esisto, una splendida commedia amara femminista, qualcun altro le ha permesso di fare il grande salto dell’esordio alla regia.

Certo, lo confesso, spero di trovarla io la nuova Cortellesi!

Qual è stato il suo segreto secondo lei?

La professionalità, il talento, la passione, il rigore. Per lei sai cosa mi piacerebbe? Che diventi la Margot Robbie italiana.

Servono più donne nei posti chiave, sarà più facile raccontare certe storie. Anzi, io ne ho una in cantiere probabilmente ancora più forte in termini di impatto storico e sociale, un caso di cronaca che ebbe al centro un feroce boicottaggio maschilista verso la sua protagonista. Che sto per incontrare di persona, per sbloccare tutto.

Lei il sogno americano lo ha?

Mio padre lo ha sempre avuto, io pure. Magari potrei andare agli Oscar con quest’ultimo progetto che spero si concretizzerà, ma la verità è che ora mi rende ancora più felice vedere viaggiare i nostri progetti, penso a Mina Settembre nei paesi ispanofoni.

Ecco, non c’è solo Hollywood che mi incuriosisce, ma anche la Spagna, dove si sperimenta tanto, o la Turchia, per lo stesso motivo.