Per millenni l’arte è stata un’espressione della religione o del mito. Entrare in una sala, sedersi su una panca, o ancora meglio accovacciarsi a terra, e darsi il tempo di osservare i movimenti lentissimi delle opere di Bill Viola è un’esperienza che richiama profondamente quel tipo di arte.
A Palazzo Reale, a Milano, raramente si fa arte contemporanea, ma Bill Viola, a dispetto del mezzo che usa – la video-arte – non si riduce ad artista contemporaneo e anzi, le sue opere si sposano bene con la penombra, i soffitti alti, l’aria ovattata e fresca insieme delle sale del palazzo. Bisognerebbe andarci rubando qualche ora di una mattina in mezzo alla settimana, per essere quasi soli e ascoltarsi meglio. La sensazione che si prova, allora, è simile a quella che si può avere in certe chiese o templi, in certi teatri particolarmente bui, in quei luoghi dove viene da far finalmente silenzio e stare lì, in compagnia di un video, di un attore o di un dipinto, lasciando che tutto fuori resti sospeso. La tecnologia è un mezzo fra i tanti per confrontarsi con le domande più eterne.
Anima, vita, morte e sacro
La retrospettiva (che si chiuderà il 25 giugno), promossa dal Comune di Milano, curata da Kira Perov e prodotta da Palazzo Reale, Arthemisia e Bill Viola Studio, ripercorre trent’anni di carriera, dagli anni novanta a oggi, attraverso un percorso di quindici opere. Immagini a rallentatore, che ci si ferma a guardare aspettando che raccontino una storia – come in passato ci si sarebbe fermati a osservare un affresco. Le storie che racconta Bill Viola parlano di anima, di vita, di morte, di sacro. Il suo linguaggio è appunto la video arte, ma i temi sono quelli di sempre dell’umano, le domande sono le stesse di ogni luogo o epoca, i misteri più profondi con cui ci si confronta nella penombra e nel silenzio.
Ocean without a shore (2007) rimanda al passaggio dentro e fuori la vita, dentro e fuori dal sé – vivi e morti che entrano ed escono da una soglia, o da uno schermo. Anche Tristan’s Ascension (2005) indaga quel passaggio: è una cascata che sempre più potente scorre dal basso verso l’alto – trasfigurando e portando con sé il corpo e l’anima di un uomo.
La serie dei martiri di Bill Viola
La serie dei martiri (2014) mostra quattro persone – ognuna sola, sono quattro opere separate – in balia del vento, dell’acqua, della terra e del fuoco. La loro sofferenza e la loro fermezza rimandano agli “ideali di azione, forza d’animo, perseveranza, resistenza e sacrificio”, e questi ideali sublimati e sferzati dagli elementi naturali possiamo guardarli negli occhi. Questo, forse, fa Bill Viola: sublima e rende tangibile, insieme.
Quante volte un dipinto sembra bello ma lontano, come se non ci riguardasse e appartenesse a un’epoca o un immaginario non più nostri? Se manca l’abitudine a confrontarsi con i simboli, questi si cristallizzano e appaiono inerti.
Visioni sacre che sembrano contemporanee
Greeting (1995) è ispirata a un dipinto di Pontormo, La Visitazione (1528-1529): tre donne che si incontrano, si dicono qualcosa, le emozioni che passano nei loro occhi. Un evento che durerebbe 45 secondi qui si dispiega in dieci minuti. Osserviamo ogni espressione, mutamenti di solito impercettibili. Non sappiamo cosa si siano dette, cosa accada esattamente, ma riconosciamo quelle emozioni, appartengono a tutti e a ognuno. Emergence (2002) si rifà invece alla Pietà, un affresco di Masolino da Panicale (1424): Cristo che risorge dal sepolcro, vegliato e aiutato dalla Madonna e da San Giovanni.
Entrambe le situazioni appaiono assolutamente vicine, concrete, contemporanee: con personaggi, volti e movenze reali, esseri umani che potremmo incontrare oggi, per strada, o che ci ricordano qualcuno che conosciamo. Se si torna a guardare i dipinti originali – in questo caso La Visitazione e La Pietà, ma non solo – questi smettono di essere inerti perché il nostro sguardo ha reimparato a vederci dentro. Bill Viola fornisce una chiave interpretativa per riconoscere e percepire il sacro, nel modo forse più semplice: ridà vita al simbolico.
E non importa che al simbolo si dia vita con le pitture rupestri, con un affresco o con un video: non importa il mezzo e nemmeno quanto velocemente cambino i mezzi. La tecnologia è, può essere, solo uno dei nostri strumenti, ma le domande sono sempre le stesse e nessuna chat Gpt può dare risposte più grandi di quelle che può dare l’umano.
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