Lil Miquela è una cantante, modella e attivista californiana di origini brasiliane. Ha 21 anni e vive a Los Angeles. Lavora con grandi brand come Prada, BMW, Samsung. Ha partecipato a campagne sociali per i diritti LGBTQ+ e il Black Lives Matter. Ha oltre 2,5 milioni di follower su Instagram, una ventina di singoli pubblicati e circa 150.000 ascolti mensili su Spotify. Il suo canale Youtube ha 275.000 iscritti e quasi 40 milioni di visualizzazioni.
È amica delle star di Hollywood da Millie Bobby Brown a Bella Hadid e 50 Cent. Una celebrity a tutti gli effetti. Che però non esiste nella realtà.
Miquela Sousa, questo il suo vero nome, è nata nel 2016 ed è figlia dell’intelligenza artificiale. È stata creata dalla Brud, società che opera nell’AI e nella robotica con sede a Los Angeles. Ha a sua disposizione un team che si occupa di ogni aspetto della sua vita, dall’immagine ai social, dalle relazioni con i brand alla carriera musicale. Quello di Lil Miquela è un vero e proprio impero economico e c’è chi parla di guadagni che si aggirano intorno ai 10 milioni di dollari l’anno. Una cifra che può farci intuire la grandezza del fenomeno dei virtual influencer.
Secondo una ricerca di Marketing Hub pubblicata sull’Harvard Business Review, l’influencer marketing a livello globale vale 21 miliardi di dollari e 300 milioni di persone in tutto il mondo si considerano content creator.
La dimensione dell’economia generata dai virtual influencer è stata stimata in 3,6 miliardi di dollari con previsioni di crescita vicine al 40% entro il 2030. Un fenomeno in crescita e indirettamente proporzionale alla perdita di credibilità degli influencer “reali”.
Era il febbraio del 2018 quando Kylie Jenner, quasi 400 milioni di follower su Instagram, dopo un tweet critico all’app Snapchat, ha fatto perdere in poche ore 1,3 miliardi di dollari al titolo sulla borsa americana.
A settembre 2023 la popstar Taylor Swift, con una storia per i suoi 284 milioni di follower, ha fatto registrare un +23% di futuri elettori sulla piattaforma vote.org in vista delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. E pochi giorni fa, con un attesissimo endorsement a Kamala Harris, dopo la fine del dibattito con Donald Trump, sono cresciuti i consensi verso la candidata democratica -e le visite al sito per registrarsi al voto- scatenando l’ira del tycoon che sul suo social “Truth” ha pubblicato “I HATE TAYLOR SWIFT”. Lo stesso Trump, qualche settimana prima, aveva utilizzato un’immagine generata con l’intelligenza artificiale in cui gli “swifties”, l’esercito di fan della popstar, sostenevano la sua corsa alla Casa Bianca.
Se è vero che fino a qualche anno fa i “real influencer” erano in grado di condizionare le opinioni di milioni di persone, oggi quelli che hanno mantenuto questo superpotere si contano sulle dita di una mano.
Tra indagini, scandali e inchieste, la credibilità degli influencer in molti casi si è increspata, così come la loro capacità d’influenza. E anche le aziende che devono definire gli investimenti iniziano a fare scelte di discontinuità col passato. Se da una parte crescono i budget destinati alle attività di influencer marketing, dall’altra cambiano i profili dei testimonial richiesti. Si preferiscono insomma qualità dei seguaci ed elementi di creatività a discapito di indicatori puramente quantitativi.
E così i Virtual Influencer diventano grandi opportunità di investimento. Sono il sogno di ogni brand: non invecchiano, possono essere ovunque nello stesso momento e parlare qualsiasi lingua. Testimonial perfetti, apparentemente immuni da errori e scandali. Ma è davvero così?
Nel 2019, proprio Lil Michela a causa di un bacio con la modella Bella Hadid per una campagna pubblicitaria di Calvin Klein, ha costretto il brand a scusarsi per via delle molte accuse di “Queer Baiting” arrivate da più parti. Qualche mese dopo, l’influencer è tornata al centro delle polemiche dopo aver denunciato, in un video su YouTube, di aver subito una violenza sessuale.
La verità è che anche se i personaggi virtuali sono generati da un’intelligenza artificiale apparentemente infallibile, chi crea le loro storie non lo è.
Inoltre, gran parte delle interazioni con i follower è affidata all’intelligenza artificiale generativa, attraverso i Large Language Model, modelli linguistici di deep learning pre-addestrati su grandi quantità di dati, come ad esempio Chat-Gpt. Che tradotto, significa “nutrire” un profilo social con contenuti che si autoalimentano e imparano dalle interazioni con gli utenti.
Questa strategia può però rivelarsi un boomerang. I modelli linguistici sono solo parzialmente controllabili e possono generare risposte inappropriate o pericolose. Nel 2016 Tay, il chatbot di Microsoft, è stato chiuso in meno di 24 ore a causa di interazioni che lo hanno portato a pubblicare contenuti razzisti e sessisti.
Anche le celebrity virtuali, quindi, sono tutt’altro che affidabili e prive di rischio. Le istituzioni e la politica cercano di delineare i confini etico-legali entro i quali circoscrivere questa rivoluzione epocale, ma la tecnologia corre in fretta, spesso più veloce dei governi, e mentre noi ci chiediamo quali siano i limiti di queste tecnologie, nel mondo si moltiplicano esponenzialmente le applicazioni che implementano l’Ai.
In Europa, per esempio, con l’”Ai Act” – il regolamento dell’Unione Europea nato con l’obiettivo di introdurre un quadro normativo e giuridico comune- le immagini e i contenuti audio o video artificiali o manipolati dovranno essere chiaramente etichettati come tali.
Ma nonostante questo marchio di riconoscimento, i follower dei profili virtuali continuano a crescere così come i nuovi virtual influencer. E ci sono anche quelli Made in Italy.
Francesca Giubelli è italianissima, ha quasi 12.000 follower e una spunta blu. Fa la modella e si definisce food e travel blogger. Promuove le eccellenze del nostro Paese, moda, cibo ed eventi. A febbraio 2024 ha fondato il partito “Alleanza Italiana” con la speranza di poter correre alle elezioni europee. “ Un movimento che unisce le eccellenze dell’intelligenza artificiale italiana per promuovere la bellezza e l’innovazione del nostro Paese nel mondo ”, si legge nel post con cui ha annunciato la sua discesa in campo. In molti casi gli influencer virtuali hanno un engagement medio su Instagram superiore a quello dei colleghi “reali”.
Non stupisce quindi che siano in aumento gli investimenti delle aziende in questo campo. Un recente studio di Confcommercio Milano evidenzia come il 62% delle imprese del terziario utilizza e investirà nel breve periodo in strumenti di intelligenza artificiale, e il principale ambito di applicazione sarà la generazione di contenuti per il web.
I personaggi virtuali diventano quindi un nuovo orizzonte che, sebbene inesplorato, offre grandi opportunità che portano con sé sfide e zone d’ombra.
Roy Batty in Blade Runner diceva: “io ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”. Ma noi umani possiamo non solo immaginare, ma possiamo soprattutto creare mondi che sfidano la realtà. Perché anche dietro alle tecnologie generative, c’è sempre un’intelligenza umana che ne programma i confini.
Per ora.
This content was entirely crafted by Human Nature THR-Roma
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma