Recensione di The Brutalist: immenso Adrien Brody in una monumentale opera sull’esperienza degli immigrati del regista Brady Corbet

Felicity Jones, Guy Pearce e Joe Alwyn nel cast fanno di questo lungometraggio la storia epica di un architetto ebreo ungherese fuggito dall’Europa dopo la guerra per ricominciare in America.

Il passato prende vita un un vero e proprio mondo tangibile in The Brutalist, terzo lungometraggio firmato Brady Corbet. Dal raffinato taglio romanzesco, il film narra la vicenda di un uomo di talento che riesce ad assaporare il “sogno americano” al costo della sottile umiliazione di un’accoglienza forzata che presto rivela la sua natura ostile. Sebbene il film risenta di echi da La fonte meravigliosa (King Vidor, 1949), l’odissea del brillante architetto formatosi nel Bauhaus e sopravvissuto alla seconda guerra vuole essere un’originale provocazione.

Adrien Brody e Alessandro Nivola nel film “THE BRUTALIST”. Foto @La Biennale

Scritto da Corbet con la compagna e abituale collaboratrice Mona Fastvold, The Brutalist è più vicino alle idee agitate e alla visione oscura del potere nel film d’esordio L’infanzia del capo (2015), che non al ritratto polarizzante delle celebrità contemporanee nel successivo Vox Lux (2018). Questa terza opera è un importante passaggio evolutivo: affronta temi concreti come creatività e compromesso, identità ebraica, integrità architettonica, l’immigrazione come esperienza, la lunga convivenza di un passato di grande portata con l’arrogante ristrettezza mentale dei privilegiati.

Brady Corbet regista del film “THE BRUTALIST”. Foto @La Biennale