
Europa del 1991, il Muro è appena crollato. Tre ragazzi sono in viaggio verso quell’Est per buona parte ancora misterioso. Sono i protagonisti di Tornando a Est, in questi giorni nelle sale con Plaion Pictures. È un film che mette in scena, romanzandola, una storia realmente accaduta. E ci mette dentro un po’ del profumo dei viaggi cinematografici di Gabriele Salvatores, una spruzzata di commedia e gocce di spy story.
Interpretato da Lodo Guenzi, Matteo Gatta e Jacopo Costantini, Tornando a Est è nelle sale da giovedì scorso. Lo ha scritto e diretto Antonio Pisu.
Quarant’anni, figlio di Raffaele Pisu, straordinario comico gentile, Antonio aveva già diretto nel 2020 Est – Dittatura Last Minute, ambientato nella Romania del 1989, poco prima della caduta di Ceausescu. Est, premiato a Gorizia con il “Sergio Amidei” è, in qualche modo, il prequel di questa storia. Abbiamo raggiunto il regista per The Hollywood Reporter Roma.
Innanzitutto, l’origine del film: è una storia vera?
Sì: è quella che ha vissuto il produttore del film Maurizio Paganelli, con il quale lavoro da tempo. È lui uno dei tre ragazzi un po’ ingenui, che vogliono andare a mettere il naso nell’Europa dell’Est, all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Nello sceneggiare il film abbiamo inserito elementi di fantasia.
In breve, tutto viene innescato da un desiderio amoroso…
In effetti sì. Siamo nel 1991, i tre amici sono tornati alle loro vite tranquille, ma uno di loro, Bibi, vuole incontrare Yuliya, la ragazza bulgara con cui è in corrispondenza da mesi. E allora via, tutti in viaggio verso Sofia. In un’avventura in cui non sai che cosa ti aspetta dall’altra parte.
Lodo Guenzi e gli altri amici erano già protagonisti di Est. Ma qui ci sono delle new entries. Chi sono?
Il cattivo è interpretato da Cesare Bocci, il versatile attore che ha legato il suo nome al personaggio di Mimì nelle inchieste di Montalbano. E poi c’è un cast bulgaro, di attori che da noi non sono conosciutissimi, ma lì sono delle star, come Zahary Baharov e Alexandra Vale.
Che cosa la affascinava del periodo raccontato?
Era un periodo di grande transizione, di grandi attese e di grandi delusioni. I tre protagonisti si aspettano molto da quel mondo che credono cambiato, che dovrebbe essere cambiato in meglio: ma con i loro occhi vedono una realtà diversa. Raccontiamo anche un po’ quel senso di delusione che c’è stato probabilmente all’epoca, e che ci trasciniamo ancora oggi. Ma è stato bellissimo cercare di ricostruire quel mondo, e anche piccoli dettagli nei gesti che oggi sono desueti: anche solo aprire una cartina per trovare una strada è un gesto che non facciamo più.
Sembra di notare che il road movie, un tempo frequentatissimo dal cinema, sia un po’ trascurato negli ultimi tempi. Qual era per lei il fascino di quel cinema?
Il viaggio è la metafora perfetta per un film, che racconta sempre un movimento, da qualcosa a qualcos’altro. Il viaggio è l’immagine della ricerca. Ed è qualcosa che ha a che fare con la giovinezza, la giovinezza dell’animo: chi viaggia pensa sempre di poter cambiare la propria vita. Tornando a Est racconta tre ragazzi come tanti che, però, hanno fame di cambiamento, di rinnovamento.
Quanto è stato importante, artisticamente, il suo rapporto con suo padre Raffaele?
Ho vissuto nei set e a teatro fin da bambino: questo è stato il vero imprinting. Mi sono sentito sempre a casa in questo mondo, e un po’ spaesato nel mondo reale. Poi, mio padre è stato un padre affettuosissimo. Ed è stato un attore generosissimo per me, al mio primo film da regista, Nobili bugie.
Il regista due volte premio Oscar Oliver Stone aveva elogiato il suo Est. Lo ha sentito di nuovo?
È un po’ che non lo sento, in effetti. Il fatto che avesse definito Est un film affascinante mi ha dato molta forza per proseguire.
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