“Venne da me un giorno Penelope Cruz, con cui stavo lavorando in un film spagnolo, tutta agitata. Mi dice: ‘Franco, al festival di San Sebastian, questo weekend, ho incontrato Quentin Tarantino. Quando gli ho detto che giravo un film con te, è impazzito. Mi ha detto che conosceva tutti i tuoi film, che Django è uno dei suoi film preferiti: insomma, vuole conoscerti”.
Franco Nero parla a ruota libera con The Hollywood Reporter Roma. Racconta del suo spirito giramondo, dei consigli che gli diede Laurence Olivier, del suo grande amore per Vanessa Redgrave. Lo incontriamo al “Capri, Hollywood” film festival, rassegna cinematografica che ha tenuto a battesimo ormai quasi trent’anni fa, e di cui è presidente onorario.
Occhi chiari, volto da eroe, Franco Nero iniziò il suo cammino nel cinema come in una favola. John Huston vide delle sue foto in una bottega di via Margutta, e poco dopo lo scritturò per La Bibbia. Era il 1966. Poco dopo sarebbe arrivato Django di Sergio Corbucci, e Franco Nero il pubblico non se lo dimenticò più.
Ma torniamo a Quentin Tarantino. Aveva visto davvero tutti i film interpretati da Franco Nero? Anche l’attore ne dubitava. Decise di metterlo alla prova. Quando si incontrarono, gli disse: “Quentin, c’è un film che non puoi conoscere: si chiama I diafanoidi vengono da Marte… e invece Tarantino, prontissimo: ‘War of the Planets by Anthony Dawson! Yeahh!’ Conosceva anche quel film, oggi quasi dimenticato, girato da Antonio Margheriti, che si nascondeva sotto lo pseudonimo di Anthony Dawson”.
E poi Tarantino la ha chiamata per una scena di Django Unchained, il film con Leonardo DiCaprio…
“Sì: io avevo interpretato nel 1966 Django di Sergio Corbucci, un pistolero che trascina con sé una bara. E Quentin si era ispirato a questo personaggio per Django Unchained. Così, aveva inserito nel suo film una scena in cui il Django di oggi, Jamie Foxx, incontra quello ‘originale’, cioè me”.
Come sono state le riprese?
“Dovevamo girare soltanto un giorno, ma Tarantino non smetteva mai di fare nuovi ciak, e diceva: ‘Sì, questa scena è venuta benissimo, ma noi la giriamo di nuovo perché…? Perché NOI AMIAMO IL CINEMA!’ E rideva fortissimo. Non ho mai visto un regista più entusiasta. Alla fine, anche se la mia scena occupava solo un giorno di lavorazione, Quentin mi ha voluto con sé per una settimana intera”.
Sembra quasi raccontare un regista che sembra giocare col cinema, in un rapporto infantile con la regia…
“E tutti i grandi registi che ho conosciuto sono così. Luis Buñuel, con cui ho lavorato, era un bambino. Un giorno urlò sul set: ‘mi maleta, mi maleta!’. Aveva perso la sua borsa, era impazzito! Quando la trovò, la strinse al petto come un bimbo e si allontanò. Lo seguii, incuriosito. Quando si sentì al sicuro, tirò fuori dalla borsa il suo segreto: un panino col salame e una bottiglietta di Coca-cola in cui nascondeva del vino rosso!
Tutti i più grandi artisti che ho conosciuto erano come bambini”.
Lei ha avuto una carriera singolare. Ha raggiunto la notorietà a Hollywood prestissimo, ma se ne è andato via, a metà degli anni ’60, per tornare in Italia. Com’è andata?
“A Hollywood avevo girato nel 1966, a 25 anni, per La Bibbia di John Huston. Avevo un contratto per fare cinque film con Jack Warner. Ma ho girato Camelot, e in quel film ho incontrato Vanessa Redgrave. Ci siamo innamorati, e Vanessa voleva tornare in Europa, dove avrebbe fatto dei film meravigliosi”.
Fra Hollywood e Vanessa, ha scelto Vanessa.
“Esattamente. Così ho detto a Warner: ‘Listen, Jack, I’m homesick’, ho nostalgia di casa… Lui mi ha detto: ‘You’re crazy, comunque fai quello che vuoi, e davanti a me ha stracciato il mio contratto. C’era in programma per me un film con Sidney Pollack e Nathalie Wood che non ho mai più fatto. Ho lasciato tutto. Ma ero libero”.
L’amore con Vanessa quanto è stato importante?
“E’ stato travolgente, alla fine degli anni ’60, quando non avevo neanche trent’anni. Poi ci sono stati alti e bassi, separazioni, disaccordi. Un rapporto burrascoso, una separazione, ma una grande stima, sempre. Vanessa è intelligente, coraggiosa, combatte per i diritti dei più poveri, è la Giovanna d’Arco dei nostri tempi”.
Vi siete sposati quarant’anni dopo esservi conosciuti. Perché?
“Perché non abbiamo mai smesso di volerci bene. E perché l’hanno voluto i figli: Natasha, Joely, Carlo hanno insistito perché ci sposassimo. Ma è come se fossimo stati sempre sposati. E guardi, anche adesso sta chiamando…”. E mostra il telefonino, che si illumina, proprio in quel momento, sulla scritta “Vanessa”.
Poi Natasha, figlia di Vanessa e del regista Tony Richardson, attrice di grandi qualità, è scomparsa nel 2009, in seguito a una caduta su una pista da sci. Franco, come immagine profilo nel suo telefono ha una foto di lei. “Per me è sempre stata come una figlia, quel dolore lo porto addosso ogni giorno”.
Poi è tornato, molti anni dopo, a vivere a Los Angeles.
“Sì: mi piaceva andare a pesca con Paul Mazursky, a Marina Del Rey. O con Burt Lancaster, a cui ho insegnato un po’ di italiano, anzi di emiliano, per interpretare Novecento. Ma non mi sono mai sentito veramente a casa. Né lì, né da nessuna parte. Mia nonna era andalusa, di stirpe gitana. Probabilmente sono un po’ zingaro anch’io”.
Ha viaggiato molto?
“Ho calcolato che 100 giorni dell’anno almeno li passo in aereo, viaggiando. Mi è piaciuto lavorare con cinematografie differenti: russi, francesi, tedeschi, bulgari, serbi, colombiani. Ogni volta c’era qualcosa da imparare. Sono vissuto con la valigia in mano. E ne sono felice”.
Ha diversificato le sue interpretazioni.
“Laurence Olivier mi disse: ‘bel ragazzo, mi ricordi un po’ me stesso da giovane. Beh, che vuoi fare? Solo il protagonista? Il vincente, l’eroe? Puoi farlo, ma che monotonia: perché non fai l’attore? Durerai anche molto di più. E così ho fatto. Il suo consiglio me lo sono ricordato tutta la vita”.
Quali film sta facendo, o ha appena fatto?
“Ho appena finito di girare The Estate, con Vanessa coprotagonista, e con nostro figlio Carlo Gabriel come regista. Nel film appaiono anche i nostri nipoti, Lillian e Raphael”. E alla fine, l’anarchico, libero, vagabondo Franco Nero, l’attore affamato di vita, nomade, che non sa stare fermo, torna lì dove c’è il centro di tutto. Il centro degli affetti, Vanessa, la sua Giovanna d’Arco idealista e coraggiosa.
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