
Mark Ulano è un ingegnere del suono e production sound mixer. È stato candidato all’Oscar per Bastardi senza gloria, C’era una volta a..Hollywood, e Ad Astra. Tra i suoi crediti come production sound mixer figurano Killers of the Flower Moon, diretto da Martin Scorsese, Kill Bill Vol. 1 & 2, Jackie Brown, Iron Man, The Hateful Eight, Django Unchained e circa 150 film nella sua straordinaria carriera.
Il tema del suono è sempre più al centro della produzione di cinema, serie tv e audiovisivo in genere. Possiamo parlare del tuo lavoro come di una performance?
Mi ero innamorato del cinema nella mia adolescenza e sono passato dagli studi come musicista di percussioni al cinema. Sono ancora filmaholic, film-dipendente. Sul set lavoriamo come un’orchestra. È un gruppo di individui appassionati della propria disciplina creativa che si uniscono come un solo insieme per raccontare una storia. Abbiamo un direttore d’orchestra, che è il regista, e una partitura, che è la sceneggiatura. L’obiettivo fondamentale è: come possiamo usare i nostri strumenti senza preconcetti per dare vita a questa idea? Quando le camere iniziano a girare, un gruppo molto piccolo di persone attacca la sua performance fisica. Io mixo fisicamente sul set. È come suonare un pianoforte. E il fonico che tiene il microfono direzionale montato su un’asta esegue fisicamente un balletto per interpretare ciò che l’attore potrebbe o non potrebbe fare nel prossimo istante, in tempo reale. Se devo fermarmi a pensare durante il mio mix che faccio all’istante, è già troppo tardi.
So che per te musica, effetti sonori e dialoghi sono un tutt’uno. Nei film di Tarantino, con cui lavori da quasi 30 anni, qual è il rapporto con il suono?
Ti porto un esempio. In The Hateful Eight, probabilmente c’è la minor quantità di musica rispetto a qualsiasi altro suo film. Parte di ciò era legato all’idea che l’ambiente stesso avrebbe fatto parte della colonna sonora, che la musica del film sarebbe emersa dall’ambiente, come successe per la scena della fontana di bambù in Kill Bill, che diede il ritmo a tutta la scena. In The Hateful Eight, abbiamo girato in alta quota per la maggior parte del film, a 3.300 metri nel pieno dell’inverno. Il set è stato costruito sulla cima della montagna, appositamente progettato con fessure nelle pareti e nella porta. L’idea era che vento, neve e altri suoni locali facessero concettualmente parte dell’ambientazione, diventando un personaggio a sé stante. Ci siamo trovati in questa landa desolata durante tempeste molto violente. L’idea degli effetti ambientali e degli elementi sonori – quelli non legati ai dialoghi e non musicali – fa parte della più ampia musica del film, come una composizione, come una sinfonia, come un’opera, o qualsiasi altra cosa tu voglia immaginare. Già in preproduzione abbiamo messo a punto questa idea discutendo di come affrontare la sonorizzazione dello spazio in cui avremmo lavorato.
E la musica di Morricone?

Ennio Morricone (a sinistra) e Mark Ulano (a destra). Foto @ Patrushkha Mierzwa
Ennio ha composto la colonna sonora di The Hateful Eight senza aver visto il film. L’ha scritta dopo che Quentin ha fatto tradurre la sceneggiatura in italiano ed Ennio ha composto la quasi totalità della colonna sonora basandosi sulla traduzione italiana dello script, tranne per l’ultima scena del film, che invece ha visto.
E come hanno trovato un’armonia queste due “musiche”, cioè la musica stessa con i suoni dell’ambiente senza che ci fosse un contatto in fase di produzione?
C’è una sola risposta: magia. La magia di artisti che hanno una sintonia naturale con il contenuto e l’idea. E penso che questo sia forse il segreto del talento immenso e variegato di Ennio: il suo rapporto con la storia. E quello che trovo incredibile è quanto questo processo sia completamente controintuitivo per compositori e registi. Come può un compositore scrivere una colonna sonora così organicamente perfetta per le esigenze di un film senza averlo mai visto, basandosi solo sulle parole? Questo significa che non ci sono delle regole. Ed è per questo che dico che è così importante affrontare un progetto senza un’ideologia di approccio predefinita. Personalmente le domande che mi faccio ogni volta sono: cosa mi sta dicendo questo progetto? Cosa devo scoprire per riuscire a fare ciò di cui ha bisogno? Che cosa so, ma soprattutto cosa ancora non so? Cosa devo ancora imparare? Questo apprendimento avverrà in modo improvvisato, non intellettuale? Oppure sarà un processo analitico, punto per punto, minuzioso? Potrebbe essere qualsiasi cosa tra queste.
Quindi nel tuo lavoro parti sempre da una posizione di ascolto e di collaborazione?
Quello che devo fare è tenere le antenne alzate. Devo avere curiosità. Devo avere umiltà.
Devo canalizzare il mio ego verso il progetto. Non è il mio suono, è “il” suono. Questo è fondamentale, perché altrimenti, mi isolerei dal progetto. Sarebbe un tradimento totale renderlo incentrato su di me. Perché in realtà, riguarda me solo nella misura in cui non riguarda me, ma il progetto. Quando parlo con un regista in preproduzione per un nuovo progetto, anche se abbiamo già lavorato insieme, evito accuratamente di dare per scontato che il mio approccio sarà lo stesso che ho avuto nei film precedenti. È importante mettersi al servizio dell’opera, dell’idea, della storia. E la tecnica è la base per trascendere la tecnica.
Puoi farmi un esempio di come puoi influire attraverso il suono sulla recitazione?

Martin Scorsese (a sinistra) e Mark Ulano (a destra). Foto @Patrushkha Mierzwa
Un buon esempio può essere in Killers of the Flower Moon; il personaggio di Robert De Niro all’inizio rappresenta il benefattore dei membri della nazione Osage, che vengono però traditi da lui. E così, la sua tonalità quando parla in lingua Osage e la sua tonalità invertita quando conversa con il nipote e gli altri riguardo alla cospirazione, rappresentano un netto contrasto: il modo in cui suonano ci dice chi sono. A quel punto, si tratta di una collaborazione tra noi, come artisti del suono, per assicurarci di rivelare le sensazioni che i personaggi stanno trasmettendo al pubblico. E anche di una collaborazione con gli attori, nel modo in cui hanno costruito quei personaggi attraverso la loro voce.
Quindi tu puoi influire sul modo in cui la recitazione di un attore verrà percepita dagli spettatori?
Uno dei miei strumenti più importanti – e non è uno strumento complicato – è il posizionamento del microfono. Facciamo due esempi estremi: da una parte il posizionamento del microfono può essere utilizzato per ottenere un suono più interno, metaforico, quasi un pensiero interiore. Nella mia mente, quando faccio questo lavoro, mi rendo conto che se mi immedesimo nella scena con gli attori, come se fossi qualcuno che vi partecipa e sta ascoltando, allora sono in quella che chiamerei “prima persona”. Dall’altra parte dello spettro, invece, c’è il reportage, la “terza persona”, la prospettiva “fly on the wall” (mosca sul muro), cioè un’osservazione distaccata. E questi due approcci generano suoni molto diversi, in base a come usiamo il microfono, dove lo posizioniamo nello spazio, quanto lo avviciniamo o lo allontaniamo: tutto questo ha un impatto emotivo. È quasi come un alfabeto emotivo fatto di suoni.
Come stanno influendo le nuove tecnologie e lo streaming sul vostro lavoro?
Ora, nella produzione, ci stiamo spostando verso un mondo in cui l’estetica del suono è a rischio. Il 40% delle persone che guardano contenuti attiva i sottotitoli nella propria lingua. E non si tratta solo di anziani con problemi di udito, ma riguarda la fascia media della popolazione, in particolare i millennial tra i 18 e i 40 anni. Parte di questo fenomeno è legata al fatto che la tecnologia a volte non riesce a garantire un suono chiaro e comprensibile, cioè a far sì che le persone possano sentire bene ciò che viene detto. E una parte di questo problema è dovuta anche all’automazione. Pensare di trasferire questa responsabilità estetica dal suono alla parola scritta è un errore, perché l’estetica di una performance non si limita alle parole, ma comprende anche l’ambiente e gli effetti sonori.
Stai utilizzando l’intelligenza artificiale in modo positivo, o immagini che la userai di più in futuro? E quali aspetti dell’IA trovi problematici al momento?
Siamo in un’epoca in cui non possiamo più necessariamente credere a ciò che vediamo e sentiamo. È, in parole semplici, un dilemma sociale, un enigma o persino un pericolo, a causa del suo impatto sulle realtà geopolitiche che vanno ben oltre noi come creatori. La questione più circoscritta è: in che modo e in quale misura questo influisce su ciò che facciamo creativamente nel nostro piccolo mondo, non solo del cinema, ma del suono per il cinema? E penso che questa sia una domanda aperta, senza una risposta definitiva. Ci sono alcuni cambiamenti ovvi che stanno già avvenendo quasi nell’immediato. Ad esempio, l’intera professione della ri-registrazione di dialoghi o suoni e del doppiaggio in lingue alternative è destinata a scomparire. Questo lavoro è sempre stato svolto da esseri umani, attori esperti, che danno nuova voce a un film nella loro lingua madre.
In Italia, ovviamente, il doppiaggio ha una grande tradizione.
Ma tutto questo in futuro sarà destinato a sparire. È un bene? È un male? Non prendo una posizione netta su questo.
Ciò avviene a causa della sintesi vocale e dell’intelligenza artificiale?
Vedo già delle versioni di intelligenza artificiale in uso. Ad esempio, iZotope ha una forma di intelligenza artificiale che può ricreare, rielaborare e riutilizzare una voce a partire dalla registrazione originale, separandola dagli altri elementi in una traccia audio complessa. Con questi strumenti puoi eliminare il rumore dei vestiti, il vento e altri suoni indesiderati, mantenendo comunque la performance originale. Cinque o dieci anni fa, se sul set si presentava un problema di questo tipo, avresti dovuto dire semplicemente “la ripresa è rovinata”.
Come vedi il futuro in questo ambito?
Nell’ambito della musica, del suono per il cinema e della post-produzione, l’utilizzo di IA crescerà enormemente, soprattutto per il fattore di risparmio di tempo e costi. E, in misura non trascurabile, c’è anche l’idea che liberi gli artisti, permettendo loro di sperimentare con maggiore fluidità. Se ho un’idea, e voglio svilupparla, potrebbero servirmi tre mesi per darle la forma giusta. Ma se uso l’IA come strumento, posso ottenerla in tre giorni. È irresistibile. Irresistibile. Penso che sia qualcosa che non possiamo davvero controllare. Penso che sia il Vaso di Pandora. È già qui. Punto.
Quale dovrebbe essere il nostro approccio riguardo a questa rivoluzione appena iniziata?
Credo che la nostra responsabilità, sia individuale che collettiva, sia quella di prestare molta attenzione, costantemente. Non basta controllare una volta all’anno. Bisogna seguire gli sviluppi, capire cosa si sta realizzando, cosa si sta scrivendo su questo tema. Tu sei un compositore, sono certo che stai combattendo anche tu con queste due domande: come posso usare l’IA? E cosa comporterà per me? Entrambe queste dimensioni convivono. Penso che un fattore chiave sia stato che, nel XIV secolo, quando Gutenberg inventò la stampa, il libro non fu più scritto a mano dai monaci nei monasteri, ma divenne stampabile e accessibile a molti. Questo democratizzò enormemente l’accesso all’informazione. Quella fu una rivoluzione. E fu l’anticipazione del Rinascimento. Le persone finalmente poterono conoscere le cose, e il sapere non fu più esclusivo del clero o custodito dietro porte chiuse. Emerse la scienza, fiorirono le arti, e tutto il resto. Si potrebbe dire che oggi siamo sull’orlo di una nuova Età Oscura, oppure sull’orlo di un nuovo ordine della conoscenza e dell’informazione. Fare previsioni è rischioso.
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