Telecamere di sorveglianza inquadrano asettici corridoi bianchi. Voci parlano attraverso ricetrasmittenti mentre fogli di calcolo vengono rumorosamente stampati da macchinari futuristici e farciti di bottoni. E un prigioniero, che corre. Cerca di scappare da occhi tirannici che tutto vedono. Quella di Electronic Labyrinth: THX 1138 4EB è una continua corsa per la libertà, ed è uno dei primi cortometraggi di George Lucas. La sua tesi di laurea, per la precisione, un’idea che poi nel 1971 diventerà anche un lungometraggio dal titolo L’uomo che fuggì dal futuro.
Lucas ha sempre avuto un debole per la fantascienza, le parole complesse e le lotte ai totalitarismi. La sua, a volerla ben inquadrare, è infatti una fuga dalla cosa più simile al totalitarismo che c’è nell’industria cinematografica hollywoodiana, il potere degli Studios. Un continuo marciare controcorrente che lo porta a realizzare, dopo il successo di American Graffiti, il film di fantascienza più famoso sulla faccia della Terra, sulle note della magnifica colonna sonora di John Williams.
Una nuova speranza fu proprio una battaglia per George Lucas, e la storia sulla sua realizzazione è raccontata con simpatia e grande passione dai due fumettisti francesi Renaud Roche e Laurent Hopman nel graphic novel Le Guerre di Lucas (Bao). Un libro di 208 pagine sulle origini del mito, ovvero da dove è nato quel grandissimo universo fantascientifico che dal 1977 a oggi continua a essere ampliato, amato, riscritto e condiviso.
Guerre Stellari cambia tutto
Star Wars è il suo sogno ribelle: un desiderio durato anni di sacrifici e lotte costanti con la Fox per approvare il budget del film. Il giovane regista desiderava fare qualcosa di mai visto fino a quel momento, soprattutto in termini di effetti visivi. L’avventura di Star Wars porta infatti a grandi innovazioni sulla scia del cinema kubrickiano dove le cose, quando non ci sono, si inventano.
Come la nascita dell’Industrial Light and Magic, l’azienda che si occupa degli effetti speciali del film. Ma anche nel montaggio, più dinamico rispetto a quanto i film commerciali avessero fatto fino a quel momento. E l’invenzione del primo sistema di cosiddetto motion control, la Dykstraflex, una macchina da presa controllata dal computer, realizzata appositamente per portare a termine i complessi effetti speciali del film.
George voleva qualcosa di più movimentato per le sue battaglie spaziali, non voleva ripetere la stessa struttura di grandi prodotti di fantascienza come Star Trek, dove le astronavi erano statiche e immobili nello spazio. Lucas voleva “zoom, inquadrature di tagli, scatti di tracciamento”. Per fare ciò, la macchina da presa doveva muoversi in continuazione, come se ci fosse una cinepresa nello spazio.
Fu John Dykstra, inventore della Dykstraflex di cui sopra, a consigliare un nuovo approccio al giovane regista, uno strumento che gli permettesse di raggiungere il risultato da lui sperato nel tempo che aveva richiesto, dove qualsiasi altro metodo avrebbe fallito.
Il sogno ribelle
Una visione, quella di Lucas, che non condividevano in molti: al suo fianco, come raccontato nel fumetto di Roche e Hopman, c’erano sua moglie Marcia Lucas, montatrice cinematografica che ha lavorato con Martin Scorsese su Taxi Driver e Alice non abita più qui, e che ha poi lavorato con George su American Graffiti e Star Wars, che la portò all’Oscar nel 1978 insieme a Richard Chew e Paul Hirsch, con i quali completò il montaggio del film in meno di otto mesi, su una scaletta di marcia serratissima.
E poi il suo amico Steven Spielberg, Francis Ford Coppola (che ha prodotto American Graffiti) e Harrison Ford, che da carpentiere è consacrato all’Olimpo degli attori grazie al ruolo Han Solo, la simpatica canaglia che pilota l’astronave Millennium Falcon. E poi i due giovani attori Mark Hamill e Carrie Fisher, la quale durante le riprese avrà una relazione segreta con Ford.
Ma anche il produttore Gary Kurtz, caratterizzato da una barba alla Abraham Lincoln, che nel fumetto è descritto come il braccio destro fidato di Lucas, anche durante i vari bluff alla Fox per ottenere il budget del film, che arriva a riprese iniziate, quando la troupe si trova in Tunisia, rallentata da incendi dei droidi e alluvioni torrenziali. In quel deserto, mentre RD-D2, il piccolo droide che nel film del 1977 trasporta il messaggio della Principessa Leia ad Obi Wan Kenobi, si svolgono però anche altre riprese, cioè quelle del Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, con Robert Powell e Anne Bancroft.
Il viaggio dell’eroe Lucas
Il braccio di ferro con la Fox, oltre a portare il giovane regista a un principio di infarto, è il motore di una storia che segue lo stesso viaggio dell’eroe da cui si ispira principalmente Lucas (oltre ai samurai di Kurosawa e a Shakespeare). L’eroe dai mille volti di James Campbell, un libro in cui le varie mitologie umane vengono messe vicine per trovare una struttura che le accomuna. Un giovane eroe, il cui padre era un defunto cavaliere Jedi, una “chiamata all’avventura” dalla Principessa Leia, l’incontro con un mentore e lo scontro finale tra due figure paterne.
Uno schema che si ripete, e che prende vita nei vividi colori dei due fumettisti francesi, che con Le Guerre di Lucas hanno realizzato una Bibbia definitiva per gli appassionati della galassia lontana, lontana. Un film che ha fatto la storia del cinema, e che ha portato al grande sodalizio tra Lucas e Spielberg. Che su quella spiaggia delle Hawaii, dopo l’uscita di Star Wars nel 1977 e la chiusura dei lavori di Incontri ravvicinati del terzo tipo, pensano a una nuova storia. Il protagonista? Un avventuriero, un professore di archeologia.
Come si sa, Star Wars è un immenso successo di critica e di pubblico. Su quelle sdraio, tra i vari giornali fa bella figura di sé anche una copia di The Hollywood Reporter, dove il critico Ron Pennington scrive: “Star Wars si affermerà senza dubbio come uno dei veri classici del genere dei film di fantascienza/fantasy. In ogni caso, il film entusiasmerà il pubblico di tutte le età per molto tempo a venire”. E aveva ragione.
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