Giacomo Leopardi (1798-1837) si impone come una delle figure più complesse e affascinanti della letteratura italiana, il cui impatto ha travalicato i confini nazionali per influenzare profondamente sia la cultura mondiale che la cinematografia. Nato a Recanati, un piccolo borgo delle Marche, Leopardi trascorre l’infanzia e l’adolescenza in un contesto familiare rigidamente conservatore e religioso, dominato dalla figura del padre Monaldo, un uomo dalla mentalità chiusa e autoritaria. Già in tenera età, Leopardi manifesta un’intelligenza precoce e una sete insaziabile di sapere che lo portano a un isolamento intellettuale e fisico: trascorre lunghi anni nella biblioteca paterna, consumandosi in studi autodidattici che minano irreparabilmente la sua salute. Le sue fragilità fisiche, tra cui deformità spinali e problemi respiratori cronici, si intrecciano con le sue inquietudini mentali, dando vita a un pensiero poetico e filosofico che indaga la condizione umana con uno sguardo insieme struggente e lucidissimo. La malattia, anziché essere un motivo di lamento personale, diviene per Leopardi un formidabile strumento conoscitivo. L’osservazione di Timpanaro ha aperto una nuova prospettiva critica sulla figura di Leopardi, successivamente sviluppata da Anna Dolfi, la quale ha affermato che l’amore, per Leopardi, rappresenta “un potente mezzo conoscitivo, sia in direzione eroica personale che gnoseologica astratta“. In questo senso, l’amore, al pari della malattia, è una delle esperienze fondamentali attraverso cui il poeta esplora e comprende il mondo.
Il vate recanatese è spesso dipinto come un “bambino prodigio“, un “adolescente ribelle“, un poeta romantico, un filosofo e un pensatore politico. Egli è stato uno dei primi a esplorare l’esistenzialismo moderno, diventando una voce di riferimento negli anni tumultuosi del Risorgimento italiano. Considerato un “maledetto” dai suoi contemporanei per la sua feroce critica alla società e alla religione, Leopardi usa la sua arte e il suo genio con un’intensità che lo consuma, fino a esserne annientato. Questa lettura è anche al centro della nuova serie televisiva “Leopardi il poeta dell’infinito” di Sergio Rubino, presentata fuori concorso all’81° Festival del Cinema di Venezia, che offre un ritratto intimo e profondo del poeta, ripercorrendo la sua vita attraverso il racconto dell’amico Ranieri. La serie si concentra sull’infanzia, sulla fuga dal soffocante ambiente familiare, sul conflitto con il pensiero liberale e quello ecclesiastico emergente, sugli amori tormentati, come quello per la contessa Fanny Targioni Tozzetti, e sulla malattia che accompagna Leopardi fino alla morte.
Sergio Rubini, nella conferenza stampa di oggi al Festival del Cinema di Venezia, sottolinea come l’opera del poeta sia permeata da un “incontenibile amore per la vita“. Per il regista, il presunto pessimismo leopardiano non è che il riflesso di una incessante ricerca di felicità, una felicità che il poeta vede costantemente negata da un universo indecifrabile e sordo ai desideri dell’uomo. Questa tensione esistenziale si traduce per Leopardi in un desiderio insaziabile di libertà, di amore e di bellezza, al punto da spingerlo a mettere in discussione ogni forma di autorità, dalle imposizioni familiari al conformismo intellettuale del suo tempo. È proprio questa ricerca dell’amore che lo porta a evadere dal “recinto dorato” della casa paterna, spingendolo verso la passione per la contessa Fanny Targioni Tozzetti, un amore che diventa motore della sua esistenza e fonte di ispirazione per la sua produzione letteraria.
Parallelamente, l’amicizia con Antonio Ranieri, fedele compagno di vita, offre a Leopardi un contrappeso indispensabile, un “altro” apollineo che bilancia la sua turbolenza emotiva. Attraverso questo legame affettuoso e intellettualmente stimolante, Leopardi riesce a trascendere i limiti del suo corpo fragile, trovando nella relazione con Ranieri un rifugio e un motivo di crescita.
Rubini descrive Leopardi come un “genio visionario dietro cui palpita il cuore di un eterno ragazzo“, incompreso dai suoi contemporanei ma straordinariamente capace di dialogare con le generazioni future. “Lo abbiamo volutamente rappresentato senza gobba; non ci interessava la morfologia del suo corpo, ma quella del suo pensiero, molto più affascinante,” spiega il regista, intenzionato a offrire un ritratto di Leopardi come un poeta senza tempo, capace di parlare ai giovani di oggi. “Ha affrontato temi come la noia del vivere, l’esistenzialismo, la solitudine e l’importanza del dolore,” aggiunge Rubini.
Leonardo Maltese, che interpreta Leopardi, esprime un forte senso di identificazione con il suo senso di inadeguatezza, una condizione che, secondo lui, trova eco anche nelle nuove generazioni. Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, conclude: “Il Leopardi di Rubini riesce a far emergere un poeta vitale, liberandolo dallo stereotipo del pessimismo e restituendo luce alla sua straordinaria energia creativa.”
Il fascino di Leopardi risiede nella sua capacità di combinare una profonda riflessione filosofica con una sensibilità poetica unica. I suoi “Canti“, lo “Zibaldone“, le “Operette morali” e altre opere riflettono una tensione costante tra il desiderio di infinito e la consapevolezza della finitezza umana, tra l’aspirazione alla felicità e la realtà di una natura indifferente e crudele. Leopardi esplora l’esistenza in tutti i suoi aspetti: il desiderio, la sofferenza, la bellezza, l’amore, il tempo, la morte. La sua visione è spesso interpretata come pessimista, ma è anche un inno alla resistenza dello spirito umano di fronte alle avversità.
Leopardi non ha influenzato solo la letteratura italiana, ma anche quella mondiale. Charles Baudelaire in Francia e Paul Valéry ne riconobbero il valore, considerandolo un precursore della moderna sensibilità poetica. In Germania, Friedrich Nietzsche lo definì uno “spirito libero” e ne ammirò la profondità filosofica. Autori italiani come Eugenio Montale lo considerarono un maestro e una guida per la poesia moderna, mentre negli Stati Uniti, le sue riflessioni sull’infinito e sul senso dell’esistenza trovarono eco nella tradizione trascendentalista.
La cinematografia ha cercato di esplorare il mondo complesso e sfaccettato di Leopardi attraverso vari approcci. Il film “Il giovane favoloso” di Mario Martone (2014) con Elio Germano nel ruolo del poeta, ha rappresentato un tentativo importante di portare sul grande schermo la complessità della figura leopardiana, esplorando il suo tormento interiore, le sue relazioni e la sua incessante ricerca di verità. Martone ritrae un Leopardi fragile ma determinato, un uomo che, nonostante le sue sofferenze fisiche e psicologiche, non smette mai di interrogarsi sul senso dell’esistenza e sul ruolo della poesia come forma di resistenza.
Leopardi è stato anche protagonista di vari documentari che ne esplorano il pensiero e l’opera. “L’infinito. Storia di un verso” è uno di questi, e svela le radici intime e filosofiche della sua poesia più celebre, “L’Infinito“. La continua riscoperta del poeta attraverso il cinema dimostra la sua attualità e la capacità della sua opera di parlare a tempi e contesti diversi.
Anche il teatro ha reso omaggio a Leopardi recentemente con lo spettacolo “Giacomo Leopardi Darkroom ” della DarkSide LabTheatre Company, debuttato a Teatrosophia. La drammaturgia, ispirata al patrimonio poetico del poeta e alle suggestioni narrative di Michele Mari, ha intrecciato registri onirici e realistici per esplorare un Leopardi inedito, in lotta con la propria natura e i misteri dell’esistenza, evocando l’immagine di un lupo mannaro simbolo delle contraddizioni umane.
Giacomo Leopardi rimane una figura di straordinaria rilevanza, capace di ispirare letteratura, filosofia e arte in tutte le sue forme. La sua voce, radicata nel passato, continua a risuonare nel presente, affrontando le inquietudini e le speranze che attraversano il cuore umano, confermandosi come uno dei grandi poeti che non smette mai di parlare al nostro bisogno di significato e di bellezza.
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