“Non ho capito perché ci sia sempre questa fretta. Sembra che tutti dobbiamo salvare dei bambini, sempre, ogni giorno”, medita Ludovico Tersigni. Non è una riflessione retorica. È sincera, e viene da un bisogno profondo: del resto, ritrovare uno spazio proprio che aiuti a decomprimere, respirare ed entrare in armonia con il sé sono temi centrali nel suo ritorno sotto i riflettori. Dopo quasi dieci anni di impegni lavorativi senza tregua (Tutto può succedere dal 2015 al 2018, SKAM Italia dal 2018 al 2022, Summertime dal 2020 al 2022; la conduzione di X-Factor nel 2021), Tersigni ha messo tutto in pausa. Ha smesso di usare i social, non ha più accettato ruoli, e ha iniziato a respirare.
Torna adesso con il suo primo romanzo, Ci vediamo oltre l’orizzonte, edito da Rizzoli. E forse non è un caso che il protagonista del libro, Lorenzo, sia un ragazzo di quasi trent’anni che lavora troppo. Lorenzo vive a Londra, e ha dedicato la sua vita all’alta finanza: vuole guadagnare, occupare una posizione di prestigio. Per farlo è disposto a sacrificare tempo libero e rapporti personali ma, quando arriva alle soglie del burn out, il suo capo gli impone un permesso di tre mesi. Lorenzo, allora, si ritrova a viaggiare. Prima va a Fuerteventura a surfare, poi in Costa Rica, in Argentina, in India, dove (ri)scopre l’arte dello yoga. Di aereo in aereo, si ritrova ad allontanarsi sempre più da casa – forse guadagnando la distanza mentale, oltre che fisica, per mettere in discussione le sue priorità.
Ludovico Tersigni, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
Avevo l’esigenza di tirare fuori alcune cose di me, e la scrittura mi sembrava il modo più giusto per farlo. Leggere un libro non è come guardare un video su Instagram, o ascoltare una canzone: è un momento in cui ti vuole “ascoltare” davvero deve mettersi lì a fare quello, sapendo che ci vorrà un po’. Volevo dilatare i tempi e la lettura mi sembra un ambito ancora salvo dalla fretta.
Il racconto è anche autobiografico?
C’è una matrice autobiografica soprattutto nella misura in cui contiene descrizioni di luoghi che ho visitato, cercando di trasformare i miei ricordi in un teatro in cui il protagonista potesse vivere le sue avventure.
Con il suo protagonista condivide anche il bisogno di “staccare” dalla vita quotidiana. Lei è stato assente per tre anni dai social. Cosa ha guadagnato e cosa ha perso da questa sparizione?
Ha usato il termine giusto, “sparizione” [ride, ndr]. Sul set di SKAM Italia io e i ragazzi scherzavamo sempre dicendo che ognuno di noi aveva un superpotere stupido, il mio era proprio la sparizione. Ogni tanto non rispondevo al telefono per giorni, la produzione mi cercava per spostare delle riprese e non c’ero… è una cosa che faccio da sempre. Per me l’irreperibilità è un’ottima qualità, perché ti mette in salvo dalla FOMO, la “fear of missing out” per cui tutti vogliamo stare dappertutto, sempre. Per tornare alla domanda, però, non saprei cosa ho perso o guadagnato. Sicuramente una cosa importante è stata togliere tempo alle cose inconsistenti, dedicandomi ad attività che richiedono dedizione.
Quali, per esempio?
Il surf, lo yoga, la lettura. Perché per leggere tanto e bene bisogna sapersi distanziare dal resto, trovare il proprio spazio, trovare la storia che ti cattura, andare in profondità. Tutto il contrario di ciò che avviene usando i social, con i quali restiamo sempre in superficie.
Quali sono tre titoli di libri che l’hanno catturata?
Ultimamente, I baffi di Carrére, mentre in India ho letto Le braci di Sándor Márai. Sto leggendo anche alcuni filosofi, un po’ di Schopenauer e Aurora di Nietzsche. Perfetto per quando sei agitato: ti leggi un aforisma, e ti agiti ancora di più [ride, ndr].
E cosa le ha insegnato lo yoga?
Mi ha fatto capire quanto è importante il corpo. Lo yoga è definito da alcuni come una fisioterapia preventiva, o come una manutenzione del corpo. E, alla fine, è casa nostra, quindi è importante prendersene cura.
Ha iniziato come attore, ma in questi anni si è avventurato anche nella scultura e nella scrittura. Ognuna di queste arti le permette di esprimere un lato diverso di sé?
La recitazione è stata una prova complessa per me. Ci sono momenti in cui devi metterti davanti alla macchina da presa e girare scene anche molto intime, andare a fondo nella psicologia tua e del personaggio. È qualcosa che mi fa sentire molto legato al mio corpo, alla mia voce, ed è tutto il contrario di come vivo la scrittura e la scultura. Anche se sto ancora imparando entrambe, sento che mi danno una maggiore libertà. Mi trovo molto più a mio agio in uno spazio creativo in cui la mia persona non partecipa, ma ha partecipato. Mi piace il fatto che, nel momento in cui l’opera è conclusa, sia ininfluente il fatto che l’abbia prodotta io.
Quindi non le manca recitare?
In questo momento sto bene e non sento questa esigenza. Però, da quando è uscito il libro, è cambiato il mio approccio. Prima avrei risposto con un no categorico, mentre ora sono sereno nel pensare che, se vengo confuso con un personaggio, esiste qualcosa che invece mi rappresenta per ciò che sono. La scrittura mi aiuta a dare la mia versione dei fatti. Se dovesse arrivare il personaggio giusto, ci penserei.
Uno dei problemi legati alla recitazione, quindi, è la confusione tra attore e personaggio?
Non è tanto questo. Quella dell’attore è più che altro una vita che ti mette in situazioni pubbliche che devono davvero piacerti, come per esempio essere riconosciuto per strada. E a un certo punto non dipende più da te, quindi se ti sfugge di mano può creare delle incongruenze tra come sei conosciuto a tutti e come sei davvero.
Il mondo dello spettacolo è un ambiente tossico, secondo lei?
Dipende da come te lo vivi, ma devi sviluppare degli anticorpi. Io sono stato risucchiato dalla parte delle feste, delle conoscenze, dei viaggi. Una parte bellissima, ma se non sei preparato ti stanca.
Lei, poi, ha iniziato a recitare quando era molto giovane.
Il mio primo giorno di riprese è stato quando ho compiuto diciott’anni. Bel regalo [ride, ndr].
Cosa significa essere un attore?
Luciano Miele un giorno mi disse che l’attore è come un atleta, ma non è solo un atleta: è molto di più. Deve avere preparazione fisica ed esperienza di vita, perché il mestiere consiste nell’esemplificare le emozioni. Recitare significa fare la dimostrazione pratica di un atteggiamento, di un carattere: per farlo non puoi mai essere stanco, devi sempre essere performante.
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