Maicol&Mirco: “Quando disegno i miei scarabocchi non penso ai lettori, ma neanche a me stesso”

"Una vignetta sulla disoccupazione è una boccata di aria fresca in un mondo dove le persone muoiono sotto colpi di mortaio", afferma l'artista marchigiano, ora al Salone del Libro con il suo ultimo fumetto Favole per psicoterapeuti

“Al mio matrimonio ho dato un fumetto agli invitati, era nella bomboniera. A un certo punto ho notato che stavano tutti piangendo. Anche il nonno di mia moglie, 84 anni, aveva capito la storia, e non aveva mai letto un fumetto o un quotidiano. Lì ho capito che il mio linguaggio era per tutti”. Gli scarabocchi di Maicol&Mirco sono, appunto, scarabocchi. Linee nere su pagine rosse, a volte bianche, altre volte verdi o nere. Sono essenziali, “scevri di qualunque orpello”, dice a The Hollywood Reporter Roma l’artista Michael Rocchetti, marchigiano classe 1978, autore di fumetti e vignettista per Il Manifesto.

“Annullo lo sfondo, lo disegno se serve. Se c’è bisogno di un albero per cogliere una mela, lo faccio, ma scompare una volta presa”, aggiunge raccontando come nasce una sua vignetta. “Così dovrebbe essere la realtà: usare quello che serve quando serve e dimenticare quello che non serve quando non serve”.

Decine di pubblicazioni, dall’ambiente underground alle grandi case editrici, i personaggi di Rocchetti non hanno nome né professione. “Sai solo quello che succede tra loro, le dinamiche. A volte senti dei discorsi al bar e non ti chiedi se quello che lo ha pronunciato è un direttore di banca o un poeta. Conta quello che ha detto, dove lo ha detto. E tu che lo hai recepito”.

Una volta, Maicol&Mirco, era un duo, c’era anche Mirko Petrelli, che ora non fa più parte del progetto. Il nome però è rimasto: “Le persone invidiose diranno che Mirko non esiste, ma non sanno che i fumetti fanno vivere chiunque”, si legge nella biografia del suo ultimo libro, ora al Salone del Libro di Torino, Favole per psicoterapeuti (Bao): una graphic novel che raccoglie alcuni lavori inediti, e più lunghi, di Rocchetti. “Il titolo è stato scelto per due motivi: il primo è la schizofrenia del sommario”, racconta Maicol&Mirco. “E poi perché, ho scoperto, che mi leggono molti psicoterapeuti, che hanno i miei scarabocchi appesi nei loro uffici”.

Nell’intervista con THR Roma, Michael Rocchetti racconta degli inizi delle fanzine, dell’arrivo dei social e del suo approccio nel realizzare vignette per i quotidiani.

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)

Favole per psicoterapeuti. (Courtesy of Bao)

Lei è nato sui magazine indipendenti, sulle fanzine, che non sono così diffuse come un tempo. Perché secondo lei? 

Noi abbiamo cominciato a fare fumetti per l’amore del fumetto. Nei primi anni Duemila, gli unici lavori sperimentali – che uscivano cioè fuori dal seminato Bonelli e comics americano – approdavano sul mercato solo attraverso l’autoproduzione. Era il nostro spazio. Non avrei mai immaginato un giorno di trasformarlo in un mestiere. Quel passato ci ha permesso di fare fumetti senza pensare all’avere un editore o trovarne uno adatto. Per quelle cose non esistevano editori, per cui abbiamo sperimentato. Non vedevamo quelle riviste indipendenti come un punto di inizio, ma finale. Quello, secondo noi, era il luogo deputato. Ci ha molto unito l’Happening Internazionale Underground (HIU) al centro sociale Leoncavallo di Milano.

Poi?

Sono arrivate le graphic novel, ed è diventato un mestiere. E sono stati pubblicati segni non convenzionali rispetto a scuole di fumetto che c’erano all’epoca. Le fanzine fino a quel momento hanno riempito dei buchi, permettevano a disegnatori fuori dalle righe di essere pubblicati. L’editoria ha poi coperto quei buchi. Gli autori sono passati dall’underground alla Feltrinelli. Qualunque tratto può trovare spazio se funziona. Le fanzine hanno quindi perso un po’ di quel significato e utilità. Ma di quelle riviste è rimasto quel senso di autoproduzione, cioè di fare i libri come vuoi tu, quando vuoi tu. Ora l’autoproduzione è una scelta, ai nostri tempi era una necessità. Questa cosa è rimasta un po’ negli anni, perché la percezione era che molti autori avessero tradito l’underground. Ma molti, nel linguaggio, non erano underground. Semplicemente non trovavano spazio nei “grandi palazzi”.

Che ruolo hanno avuto i social nel suo percorso?

Ho cominciato a caricare su Facebook gli scarabocchi come fosse una fanzine. Sono nati in un periodo in cui avevamo, io e Mirko, un’autorità incredibile nell’underground. Eravamo super riconoscibili sia per storie che per disegni. Li pubblicammo proprio all’HIU ed ebbero un successo stratosferico. Ma ciò mi diede fastidio, perché annullava – ai miei occhi – tutto il lavoro che avevamo fatto precedentemente. Allora li ho seppelliti, ne ho altre centinaia che non ho mai pubblicato. Li ho ritrovati nei comodini, e li ho trovati divertenti. Giusto per farli vedere, li ho pubblicati su Facebook. E giorno per giorno ho ricominciato a disegnarli. E che era il mio vero linguaggio. Così arrivavo a tutti. Lo stesso che cercavamo di fare con le fanzine.

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)

È cambiato anche il modo con cui sono presentati i fumetti.

Se posso vantarmi, molto del lavoro è stato fatto dal nostro collettivo Super Amici (gruppo di artisti che comprende Ratigher, Dottor Pira, Tuono Pettinato e LRNZ, ndr). I primi libri cartonati a fumetti li abbiamo riportati in auge noi. La Milano Libri li faceva negli anni Settanta, ma erano edizioni di lusso di autori famosi.

Noi ci interessavamo all’underground, e ci siamo impegnati per far uscire quella scena con libri belli e un formato diverso. Ora si è allargato al mercato intero: oggi è impensabile che un autore, anche esordiente, non esca con un libro cartonato. Noi a nostra volta ci siamo rifatti a tutti quei libri bellissimi che vedevamo da Milano Libri e Mondadori, e soprattutto dall’editoria per l’infanzia, che non ha mai smesso di pensare al fatto che il libro – come formato – dovesse essere anche bello. Il fatto che puoi usare la forma di un libro per un fumetto narrativo è una cosa molto bella.

Ora il fumetto in Italia è molto maturo. Ma c’è ancora un po’ di snobismo culturale?

Il cavallo di Troia è stato utilizzare il termine graphic novel. Il linguaggio fumetto ora è sdoganato. Magari hanno più riconoscimento fumetti che parlano di determinati temi, come la realtà, la politica o fumetti di ricerca. C’è ancora qualche rimasuglio di mancanza di confidenza. In Italia il fumetto però è nato già al massimo livello. Abbiamo solo grandi maestri. Quello che manca è la critica. Abbiamo bravi critici, ma c’è tanta disorganizzazione. In America e Francia fanno rete. È un movimento culturale. Noi siamo più cani sciolti.

Come nasce una vignetta di Maicol&Mirco?

Senza pensare ai lettori, sempre. Né agli editori, ovviamente. E anche senza pensare all’autore. Quando disegno non c’è nessuno oltre i personaggi, questo è il mio modo di scrivere. La storia deve funzionare ed essere coinvolgente per me. Se questa cosa funziona piace al lettore, all’editore e all’autore. Tutte le altre volte che ho provato a viziare questa modalità, i miei fumetti hanno preso una piega illeggibile per me.

Mantenendo la luce solo sui personaggi, le storie funzionano. E sono scritte sempre senza sceneggiatura, parto con un’idea, qualche volta. Spesso nemmeno. Seguo il flusso, e il mio modo di disegnare me lo permette. Il rapporto tra la storia come la penso e come la disegno è quasi istantaneo. Annientare il tempo tra pensiero e disegno è l’unico modo che ho di sorprendermi.

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)

Fa anche vignette per Il Manifesto, com’è l’approccio con un giornale d’informazione?

Con Il Manifesto la collaborazione è arrivata in maniera molto naturale. E ho seguito l’esempio e il percorso di Altan. Non devo disegnare Andreotti, Craxi, Meloni o chi altri. Ma devo disegnare chi ha votato quel personaggio. Perché sono cicli storici, e fare vignette un po’ “altaniane” permette loro di essere più trasversali, atemporali perché sempre contemporanee. Non ci sono riferimenti all’oggi di cronaca, ma alla situazione. Quando fai fumetto evocativo, il lettore è costretto a metterci cose sue personali. Questo personalizza la lettura. Quello che trovi in un fumetto evocativo è diverso da lettore a lettore. Lo spazio quotidiano, in questo, è molto interessante.

Che clima politico percepisci come vignettista?

Oggi la situazione è drammatica. Ho cominciato la collaborazione con Il Manifesto da settembre scorso, e i temi erano principalmente disoccupazione e clima. Nel giro di due settimane è scoppiata la guerra a Gaza, e già c’era quella in Ucraina. Ogni volta si è aggiunto un fatto sempre più mostruoso. Mi sembra di fare il lavoro che Bonvi faceva con Sturmtruppen, ma lui lo faceva quarant’anni dopo la fine della guerra. Io durante. È una dinamica strana. Se metto una vignetta sulla mancanza di lavoro, per me è una boccata d’aria fresca. Penso: “Ah è andata bene che ci possiamo preoccupare solo del fatto che la gente non ha lavoro, e non che viene triturata sotto i colpi di un mortaio”. Situazione terrificante.

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)

Favole per psicoterapeuti. Di Maicol&Mirco (Courtesy of Bao)