Marlon Brando si racconta nel memoir scritto con Robert Lindsey. La prefazione è di Giulio Base

A cento anni dalla nascita dell'attore americano, il 3 aprile 1924, torna nelle librerie italiane l'autobiografia dell'ultimo mito del cinema. "A parte Elia Kazan e Bernardo Bertolucci, il regista migliore con il quale ho lavorato è stato Gillo Pontecorvo, anche se siamo stati sul punto di ammazzarci"

Di THR ROMA

A cento anni dalla nascita di Marlon Brando, il 3 aprile 1924, torna nelle librerie italiane il memoir dell’ultimo mito del cinema, Le canzoni che mi insegnava mia madre, scritto con il giornalista e scrittore Robert Lindsey che ha collaborato con Ronald Reagan alla stesura della sua autobiografia. Pubblicato dalla Nave di Teseo nella traduzione di Annabella Caminiti, con la prefazione di Giulio Base, il libro è accompagnato da 64 pagine di fotografie in bianco e nero dalla collezione privata dell’attore.

“A parte Elia Kazan e Bernardo Bertolucci, il regista migliore con il quale ho lavorato è stato Gillo Pontecorvo, anche se siamo stati sul punto di ammazzarci” racconta Brando ricordando quando nel 1968 girarono a Cartagena con una temperatura sempre sopra i 40 gradi il film Queimada distribuito con il titolo Burn! e Pontecorvo stava sempre sul set con addosso un pesante cappotto.

Il divo svela anche di aver sentito Marilyn Monroe poco prima della sua tragica fine. “Incontrai casualmente Marilyn Monroe a una festa. Mentre gli altri bevevano e ballavano, lei se ne stava in disparte, quasi del tutto ignorata, e suonava il piano. Abbiamo avuto una storia. L’ultima volta che ci siamo sentiti è stato due o tre giorni prima che morisse”, racconta, dicendosi convinto che “non si sia suicidata”.

Moltissime le donne della sua vita, con le quali è sempre stato fortunato, ma il sogno dell’attore più affascinante e sexy della storia del cinema era di stare con una suora. “Una volta, in ospedale, ho anche tentato; si chiamava suor Raphael ed era veramente bellissima” dice.

L’interprete di personaggi leggendari dal brutale Stanley Kowalski in Un tram che si chiama desiderio, al ribelle nella giacca di pelle di Fronte del porto all’implacabile e maestoso Don Corleone ne Il Padrino, fino allo scandaloso e sconfitto in Ultimo tango a Parigi, racconta anche di quando nel 1973 chiese a un’amica apache, Sacheen Piccola Piuma, di presenziare al suo posto alla cerimonia degli Oscar dove vinse la statuetta come miglior attore per Il Padrino. “Scrissi una dichiarazione che lei avrebbe dovuto leggere, sempre per mio conto, nella quale si denunciava il trattamento degli indiani e il razzismo in generale. Ma Howard Koch, il produttore della manifestazione, riuscì a bloccare la mia amica” racconta.

Marlon Brando nel manifesto del Torino Film Festival, uno scatto da Ultimo Tango a Parigi

Marlon Brando nel manifesto del Torino Film Festival, uno scatto da Ultimo Tango a Parigi. (Courtesy of TFF/ Eva Sereny / Iconic Images)

Miniera di aneddoti e leggende, il memoir della vita selvaggia di Brando è stato scritto dall’attore, come lui stesso raccontava, “per separare la verità da tutte le leggende inventate su di me, perché questo è il destino di chiunque sia travolto dal vortice distorto della celebrità”.

Dai ricordi commoventi dell’infanzia con la madre sempre lontana da casa che gli aveva trasmesso però l’amore per la natura e gli animali e che conosceva “tutte le canzoni che siano mai state scritte”, al suo impegno da attivista che sconvolse l’America puritana, agli scontri con gli studios di Hollywood, al non essere d’accordo con l’assegnazione di premi agli attori, al vedere il cibo come un amico e al tenere in considerazione soprattutto le zone grigie della vita fino al sogno di un paradiso incontaminato su un atollo della Polinesia, questa autobiografia è un viaggio seducente, divertente e “pieno di vita” come sottolinea Giulio Base nella prefazione.

“In questa autoanalisi Marlon Brando evita di celebrarsi come divo e affronta sinceramente la sua umanità imperfetta, che lo rende somigliante a ciascuno di noi” sottolinea Base. Frutto delle conversazioni con Lindsey, “di riflessioni personali e scritti di suo pugno”, ne Le canzoni che mi insegnava mia madre, Brando – come ricorda il giornalista nell’introduzione – “ha deciso quello che andava omesso o conservato”. Chiude il libro la filmografia di Marlon Brando a cura di Mari Alberione e Cristiano Taglioretti.

(ANSA).