Milano, capitale della creatività e dell’innovazione, accoglie il ritorno di uno dei suoi gioielli più preziosi, Palazzo Citterio. Dopo un’attesa lunga più di cinquant’anni, l’edificio settecentesco riapre finalmente le sue porte, trasformandosi in un simbolo vivente di connessione tra tradizione e modernità. Questo luogo, avvolto da anni in un’aura quasi leggendaria, è ora il fulcro della “Grande Brera”, quel progetto visionario che Franco Russoli, storico direttore della Pinacoteca, aveva immaginato come una cattedrale della cultura in grado di far dialogare antico e contemporaneo.
L’inaugurazione ufficiale di Palazzo Citterio ha riunito personalità di spicco del panorama politico e culturale italiano, tra cui il sindaco di Milano Beppe Sala, il Ministro della Cultura Alessandro Giuli, e il direttore della Pinacoteca Angelo Crespi. Durante la cerimonia, Giuli ha parlato del valore culturale e civile del progetto, definendolo un simbolo di rigenerazione sociale e identitaria, mentre Crespi ha celebrato la realizzazione di un sogno che ridefinisce il rapporto tra arte, spazio e pubblico.
Mario Cucinella, l’architetto chiamato a intervenire sull’edificio, ha orchestrato un’armonia tra l’austerità del passato e la dinamicità del presente. Gli interni del palazzo si sviluppano in spazi ampi, ariosi, dominati da soffitti mobili che sembrano respirare insieme alle opere d’arte. Questi soffitti, oltre a essere un elemento funzionale, sono metaforici: simboleggiano un’apertura verso nuove prospettive, un invito a superare le rigide barriere tra epoche e stili. Ogni sala è concepita come un ecosistema a sé stante, un microcosmo dove architettura, luce e arte si fondono in una narrazione coerente.
La corte interna, dominata dal tempietto circolare in legno donato dal Salone del Mobile Milano, rappresenta il cuore simbolico di questo dialogo. Evocando il Bramante e il suo ideale rinascimentale, la struttura si pone come un ponte tra passato e presente, un luogo di contemplazione e incontro. La luce naturale, che filtra attraverso le ampie vetrate, si mescola con quella artificiale progettata da ERCO, creando un gioco di chiaroscuri che amplifica la percezione delle opere. Le teche di Goppion, altro esempio di eccellenza italiana, proteggono le opere senza soffocarne la presenza, permettendo una fruizione intima e diretta.
Nel Palazzo Citterio si trovano le collezioni Jesi e Vitali, veri e propri atlanti del Novecento e delle sue rivoluzioni artistiche. Tra i capolavori esposti spiccano le opere di Modigliani, Carrà, Morandi, Boccioni, Picasso e Braque, ma anche reperti archeologici e dipinti medievali e seicenteschi che arricchiscono il percorso espositivo. La collezione Jesi, ospitata nelle sale fronte via Brera, si concentra sul Novecento, presentando un panorama completo delle avanguardie artistiche che hanno segnato il secolo scorso. La collezione Vitali, invece, con la sua stratificazione di epoche, racconta una storia che attraversa millenni, culminando nelle celebri nature morte di Morandi, capolavori di equilibrio e introspezione.
Ma Palazzo Citterio non è solo un luogo di conservazione: è un laboratorio dove l’arte si reinventa continuamente. A confermare questa vocazione è La forza di sognare ancora, la mostra dedicata a Mario Ceroli e curata da Cesare Biasini Selvaggi. L’esposizione rappresenta una riflessione sull’intero percorso creativo dell’artista, un viaggio che inizia negli anni Cinquanta e si evolve attraverso una costante attenzione alle forme e ai processi. Nel cuore della mostra si trova l’installazione Venezia, una monumentale opera composta da tronchi di pino provenienti dal giardino della casa romana di Ceroli, abbattuti a causa di un’infestazione di cocciniglia tartaruga. Quest’opera, con la sua struttura imponente che richiama una “Stonehenge lignea”, è un omaggio alla città lagunare, crocevia di bellezza, ingegno e memoria.
Ceroli, artista che ha sempre esplorato materiali diversi come marmo, ghiaccio, vetro e stoffa, conferma il legno come suo materiale d’elezione. In Venezia, questo materiale diventa metafora di resilienza e trasformazione, un simbolo dell’alleanza tra uomo e natura. Come sottolinea Biasini Selvaggi, l’opera è “un attestato di fiducia nell’uomo, nella natura e nella forza rigenerativa dell’alleanza artificio-ecosistema globale”.
Dopo la tappa milanese, la mostra si trasferirà alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, dove sarà arricchita da nuove opere, ampliando ulteriormente il dialogo tra artista e pubblico.
L’innovazione digitale trova spazio a Palazzo Citterio grazie a Renaissance Dreams di Refik Anatoly, un’opera generativa che rielabora immagini e testi rinascimentali attraverso algoritmi. Questo progetto, che mescola tradizione e tecnologia, rappresenta un ponte ideale tra l’eredità culturale e le possibilità offerte dall’intelligenza artificiale, sottolineando la capacità del museo di essere contemporaneamente custode del passato e incubatore di futuro.
Parallelamente, La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze, curata da Luca Molinari, offre un viaggio nella storia del progetto Brera, tra vicissitudini, utopie e successi. L’esposizione non è solo un omaggio al passato, ma una riflessione sulle sfide e le opportunità che il museo ha davanti a sé.
Attraversare le sale di Palazzo Citterio significa immergersi in un dialogo continuo tra luce, spazio e opera, tra memoria e innovazione. Ogni dettaglio, dall’architettura agli allestimenti, è pensato per amplificare la relazione tra visitatore e arte, trasformando il museo in un’esperienza totalizzante. Se, come affermava Umberto Eco, “il museo è un luogo dove il tempo si trasforma in spazio”, Palazzo Citterio incarna perfettamente questa definizione, offrendo un viaggio che non è solo estetico, ma anche emotivo e intellettuale.
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