Un concorso internazionale alla Lucca Film Festival

Il direttore del Festival Nicola Borrelli ha voluto non solo dei film girate dalle nuove generazioni, ma anche concorrenti da tutto il mondo, dall’India profonda, Iran, Arabia Saudita, e Giappone.

LUCCA. Il Lucca Film Festival, in corso in questi giorni nella cittadina toscana, ha un ricco parterre di ospiti internazionali. Ma propone anche un concorso internazionale di rilievo, con opere prime provenienti da tutto il mondo. Se dovessimo individuare un filo rosso che lega le proiezioni, si potrebbe forse parlare di sguardi su società giunte, per un motivo o per l’altro, al punto di rottura. Società integraliste, dove i confini dell’espressione individuale sono rigidi e limitati; o, all’opposto, società liberiste, “occidentali”, in cui ugualmente le persone fanno fatica a trovare un equilibrio interiore.

Rei, del giapponese Toshihiko Tanaka, ha vinto la Tiger Competition all’International Film Festival di Rotterdam. È l’opera prima di Toshihiko Tanaka, giovane film maker giapponese che del film è anche sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore, nonché interprete di uno dei personaggi. 

Rei è un lungo affresco – 190 minuti – che ritrae la ricerca interiore di una donna, trentenne appassionata di teatro, che sembra non trovare un equilibrio personale e sentimentale, fino al momento in cui entra in relazione con un fotografo paesaggista sordo, incontrato durante un viaggio nelle montagne dell’ Hokkaido, l’isola più settentrionale dell’arcipelago giapponese. 

The Old Bachelor, dell’iraniano Oktay Baraheni, traccia il ritratto di un Iran oppresso da un’economia in difficoltà e dal patriarcato. Due fratelli di mezza età vivono con un padre prepotente, incline agli scatti d’ira, abbandonato dalla seconda moglie a causa delle continue violenze esercitate dall’uomo. Una critica del patriarcato, in una società nella quale è accettato come scontato, raccontata con grande empatia umana. 

Norah viene dall’Arabia Saudita, è diretto da Tawfik Alzaidi, ed è ambientato negli anni ’90, quando il diritto all’espressione attraverso l’arte era limitato, se non proibito del tutto. La storia è quella di un insegnante dalle ambizioni artistiche che arriva in un villaggio, incontra una giovane donna, con la quale instaura una delicata connessione, e grazie alla quale ritrova il desiderio di esprimere la propria vena artistica.

Due i film che vengono dal subcontinente indiano. Girls Will Be Girls di Shuchi Talati esplora la scoperta del desiderio da parte di una sedicenne che vive in un rigido collegio situato fra le montagne dell’Himalaya. La consapevolezza sessuale, la complessità delle relazioni femminili sono al centro del film. 

Swaha, In the Name of Fire è girato nelle periferie di un villaggio in India, dove una famiglia vive ai margini della società, lottando contro la povertà. Il viaggio del protagonista verso la grande città, per trovare lavoro, diventa una avventura difficile e drammatica, mentre la moglie a casa viene tormentata da ossessioni e visioni che la portano sull’orlo della follia.

Il concorso internazionale è curato da Stefano Giori e Mattia Fiorino. La giuria è composta dall’attrice Lidia Vitale, dal regista Valerio Mieli e dallo sceneggiatore Guido Iuculano. 

“Insistere sulle nuove generazioni ci è sembrata una buona idea”, dice il direttore del Festival Nicola Borrelli. “Abbiamo cercato di guardare al futuro, e fuori dall’Italia. Per esempio, abbiamo posato lo sguardo su una cinematografica immensa e vitale come quella indiana, per sottolineare come non ci sia solo Bollywood, ma al contrario quel cinema enormemente produttivo porti sguardi attenti, nuovi e coraggiosi su ciò che accade in quella società. C’è un cinema d’autore in ogni angolo del mondo, ed è quello che cerchiamo di individuare e valorizzare”.

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