Il Salone del Libro di Torino si avvicina alla chiusura della sua 36esima edizione. La prima con la giornalista e scrittrice Annalena Benini alla direzione editoriale, raccogliendo l’eredità dello scrittore Nicola Lagioia, che ha accompagnato la kermesse culturale torinese anche durante il periodo pandemico.
Quello di Benini è stato un Salone più grande rispetto agli anni passati, e anche “femminista”, come lo ha definito la stessa direttrice. “Non vedo come potrebbe essere altrimenti. Non c’è un altro modo, oltre che di stare al mondo, di fare cultura, se non femminista”, spiega Benini a The Hollywood Reporter Roma. “Il salone è femminista perché mette al centro le donne, e il loro percorso accidentato ma luminoso nei secoli”.
“Abbiamo raccontato, celebrato e indagato le grandi donne del presente e del passato”, aggiunge la direttrice .”Io credo si senta che è un Salone femminista, non serve mettere un timbro. Emerge dal programma”.
Benini, autrice di Annalena (Einaudi) e firma del Foglio, si dice soddisfatta e felice di come è andata questa edizione. “Ho assistito a incontri di grande qualità. Era mio desiderio mettere insieme le storie, le persone e i libri in un modo riconoscibile”, afferma a THR Roma, ringraziando gli ospiti e la squadra del Salone. “Ho percepito una grande voglia di ascoltare, che significa partecipare. Il nostro atteggiamento di pluralità è naturale. Così bisogna dare voce alle persone del mondo della cultura”.
Nell’intervista con THR Roma, la direttrice editoriale del Salone del Libro di Torino Annalena Benini ha parlato della sua svolta femminista, delle manifestazioni pro-Palestina davanti all’ingresso della fiera e delle prospettive future della kermesse torinese dedicata alla cultura.
Quali eventi rappresentano questa sua svolta? Prima il Salone non era femminista?
Penso lo sia sempre stato. Adesso ci metto anche la mia personalità, con tutte quelle cose a cui tengo e che ho finalmente la possibilità di mostrare e far vedere. Come ad esempio mettere insieme tante donne. Esco adesso dall’incontro con Elena Cecchettin, dove tanti ragazzi e ragazze hanno preparato domande per lei. È stato un incontro importante, e si è parlato con grande senso e senza pretestuosità di cosa si può fare perché questo mondo sia un po’ migliore di così. Ma si è parlato anche di salute mentale, ci sono stati molti incontri sull’argomento e sulla fragilità dei più giovani con importanti psicoterapeuti. Penso a Matteo Lancini e Massimo Ammanniti, tra gli altri. È tutto rivolto ai più giovani. E credo si veda anche dal pubblico del Salone, ho visto tanti ragazzi e ragazze.
Sabato 11 aprile ci sono state manifestazioni davanti ai cancelli. I manifestanti hanno chiesto di prendere posizione sul conflitto in corso a Gaza.
Come dico sempre: il Salone cerca di dare la parola a tutti. Anche durante la contestazione abbiamo cercato di favorire il dialogo, facendo entrare una delegazione. E dentro il Salone si è ovviamente parlato del conflitto in Medio Oriente. Abbiamo avuto un incontro intitolato La guerra si racconta al presente, con grandi giornaliste e inviate di guerra come Annalisa Camilli, Cecilia Sala, Francesca Mannocchi, coordinate da Paola Peduzzi. Loro hanno raccontato i conflitti da un loro punto di vista. Il Salone ha dato la parola a chi ha visto e si è messo nella posizione scomoda di provare a capire.
Quest’anno il Salone è più grande rispetto all’anno scorso. Qual è la prospettiva per il futuro?
Vorrei fosse sempre più fruibile, anche nei momenti di grandissima affluenza. Vorrei che tutti potessero avere il proprio pezzo di Salone: penso ai firmacopie o alle persone che non sono riuscite a entrare nelle sale. Per ragioni di sicurezza non si può andare oltre un certo numero. La mia speranza è che si possa sempre respirare quest’atmosfera un po’ gioiosa. Quello che vedo sono visitatori e visitatrici attratti dal desiderio di appartenenza a una comunità culturale. E mi sembra un bellissimo segno, per la cultura, per i libri e per il mondo.
Come si colloca il Salone del Libro nel panorama politico culturale italiano? Qual è l’obiettivo?
Il Salone del Libro sta sopra il piccolo dibattito politico. Non ci sta dentro, vola più in alto. Così come la campagna elettorale non sta dentro il Salone. Ha la possibilità di guardare la politica e il presente, e di interpretarlo. Ma la politica non entra nel Salone con pressioni. È un lavoro totalmente libero, e non c’è altro modo di lavorare che non sia libero.
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