“Il Nostro Tempo” e la contaminazione inesausta di cinema e arte

Fino al 16 marzo, la Triennale di Milano ospita una mostra curata dalla Fondation Cartier pour l'art contemporain, che ridefinisce il rapporto tra cinema e arte contemporanea attraverso proiezioni, installazioni e opere di registi e artisti emergenti

Cosa succede quando il cinema incontra l’arte contemporanea? Qualcosa di straordinario. I confini si dissolvono, i linguaggi si contaminano e nuovi paesaggi appaiono. Il cinema, con il suo potere di evocazione poetica, e l’arte contemporanea, con la sua capacità di scuotere le convenzioni visive, si fondono in un dialogo capace di ridefinire il nostro sguardo sul mondo.

La mostra “Il Nostro Tempo”, ospitata alla Triennale Milano fino al 16 marzo 2025, celebra questa relazione affascinante e complessa. Curata dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain, l’esposizione esplora le molteplici declinazioni di questo incontro, trasformando ogni opera in una lente attraverso cui osservare le tensioni, le memorie e le contraddizioni del presente.

Il percorso espositivo si sviluppa come un organismo vivo, in cui le opere non sono semplici rappresentazioni ma dispositivi attivi di riflessione. Temi universali come memoria, identità, conflitti sociali e rapporto tra uomo e ambiente si intrecciano in una narrazione fluida e stratificata. Ogni lavoro dialoga con gli altri, trasformando la mostra in un ecosistema concettuale che invita il pubblico a interrogarsi sul presente.

Tra le opere di spicco, “A Queda do Céu” di Gabriela Carneiro da Cunha ed Eryk Rocha immerge lo spettatore in un’esperienza sensoriale che esplora la frattura tra uomo e ambiente. Il ritmo lento e l’attenzione ai dettagli svelano la complessità ecologica e politica globale. “Au Bonheur des Maths” di Raymond Depardon e Claudine Nougaret trasforma la matematica in linguaggio poetico, dove formule astratte diventano emozioni visive.

Con “El Aroma del Viento”, Paz Encina restituisce voce alla memoria collettiva delle comunità indigene del Paraguay. Silenzi e suoni appena percepibili onorano il tempo della memoria. “Mãri hi” di Morzaniel Ɨramari porta i visitatori nel mondo rituale degli Yanomami, evocando il sacro con suoni e immagini che trasportano in una dimensione altra.

L’approccio frammentario di Artavazd Pelechian, regista inventore di uno stile di montaggio vorticoso e trascinante, in “Notre Siècle” e “Vie”, intreccia passato e presente, costruendo un flusso poetico che trascende tempo e spazio. Altrettanto unica è la sensibilità di Agnès Varda nel trittico “Le Triptyque de Noirmoutier”, dove il quotidiano si trasforma in straordinario, illuminando il tempo che scorre.

Jonathan Vinel, con “Martin Pleure”, utilizza l’immaginario videoludico per rappresentare la frammentazione dell’identità contemporanea. La narrazione riflette lo spaesamento della generazione digitale, trasformando il protagonista in una figura emblematica del nostro tempo.

Chiude la rassegna Wang Bing, maestro del cinema della realtà contemporaneo, con “15 Hours”, un racconto crudo sul lavoro manuale in Cina. Con una durata estesa e crudezza visiva, l’opera denuncia le implicazioni sociali ed economiche della produttività moderna, costringendo lo spettatore a condividere l’esperienza della fatica.

Insomma, “Il Nostro Tempo” non è solo una mostra, ma un luogo di interrogazione critica. Come scriveva Gilles Deleuze: «Il cinema non riproduce il mondo visibile: rende visibile ciò che non lo è». Questa esposizione ci ricorda che l’arte è un dispositivo per svelare le trame invisibili del reale, immaginando nuove possibilità di relazione con il mondo.