La mostra, realizzata grazie alla collaborazione tra diverse istituzioni, offre ai visitatori un’occasione unica per ammirare il capolavoro barocco in tutta la sua rinnovata bellezza. Un evento imperdibile che celebra il legame indissolubile tra Artemisia e la città partenopea. Per la prima volta, dopo circa 400 anni, la “Maddalena” – capolavoro a firma di Artemisia Gentileschi – torna visibile a Napoli, città in cui fu dipinta tra il 1630 e il 1635, per un’esposizione unica all’interno dei meravigliosi spazi del Complesso Monumentale di Santa Chiara. Conservata gelosamente per secoli in collezioni private, negli ultimi cento anni la Maddalena si trovava nella prestigiosa collezione Sursock, a Beirut, dove fu gravemente danneggiata nella nota esplosione del 4 agosto 2020. Sapientemente restaurata grazie all’intervento di Arthemisia, l’opera è tornata oggi agli antichi splendori, mostrando tutti i caratteri di stile e di narrazione visiva propri del lungo periodo trascorso da Artemisia a Napoli dove visse dal 1630 fino alla morte nel 1654.
La datazione al 1630-1635 coincide con l’arrivo a Napoli di Artemisia, periodo durante il quale nei suoi dipinti abbondano i toni del giallo e del blu. La santa è raffigurata in un momento di dialogo con il divino, i suoi occhi non sono “pieni di lacrime” (Hall): assistiamo a una diversa risposta emotiva, non dovuta a una plateale “visione angelica in cielo” ma a un travaglio interiore che la porta coscientemente al gesto di rinuncia alla vanità, rappresentata dalla collana di perle. Il gesto, altro tema peculiare dell’arte barocca, è potente, ma allo stesso tempo cortese: la collana viene delicatamente staccata dalla mano destra portata verso il petto, non è strappata in preda a una artificiosa folgorazione, e dunque assistiamo all’attimo in cui questo simbolo sta già delicatamente abbandonando il collo della donna. Accanto alla Maddalena sono il vaso degli unguenti sul tavolo alle sue spalle, i gioielli e quello che sembra uno specchio in una cesta, dettaglio iconografico già presente nella Maddalena di Artemisia a Palazzo Pitti (1617-1620). La figura è vista da un punto leggermente ribassato, seduta, ed emerge con veemenza dallo sfondo scuro.
Artemisia fa appello a un registro caro all’arte barocca, enunciato da Rudolf Wittkower nel 1958: il sottile dramma dato da questa torsione verso la sua sinistra, l’espressione che rivela uno stato di trance dovuto al dialogo interiore con il Divino, che non sconvolge ma conforta la santa. La luce, dalla forte valenza spirituale, investe l’imponente figura accentuando l’effetto di movimento del panneggio. Gli inconfondibili toni di giallo oro cupo e blu oltremarino su cui spicca il candore della camicia sono enfatizzati dalla potenza del chiaroscuro, che non preclude alle parti in luce uno splendore netto. La santa, il cui sguardo estatico trasmette la gratificazione per il passaggio a una nuova vita sorretta dalla fede, sembra dialogare mentalmente con il divino, mentre alle sue spalle i gioielli e il vaso degli unguenti sono posti a sottolineare l’abbandono della precedente esistenza.
Col patrocinio della Regione Campania e del Comune di Napoli, l’esposizione è realizzata grazie alla collaborazione tra la Provincia Napoletana del Ss. Cuore di Gesù dell’Ordine dei Frati Minori, il FEC (Fondo Edifici di Culto), Agape e Arthemisia. La curatela scientifica è di Costantino d’Orazio e il catalogo è edito da Moebius. Con la “Maddalena” di Artemisia Gentileschi prende il via un progetto di grande respiro che vedrà arricchire i meravigliosi spazi di uno dei più celebri edifici napoletani con capolavori della storia dell’arte e mostre inedite. Ad aprile 2025, nell’anno del Giubileo e dell’ottocentesimo anniversario della creazione del “Cantico delle Creature”, verrà inaugurata, per la prima volta, una grande mostra dedicata a Santa Chiara e a San Francesco. Dopo aver vissuto circa dieci anni a Roma, nel 1630 Artemisia si trasferisce a Napoli – città dalla straordinaria vivacità artistica – grazie ai rapporti che matura con Fernando Afán de Rivera, Duca di Alcalá e Viceré di Napoli, che nel 1629 ha acquistato tre dipinti della pittrice. Il suo stile, così vicino a quello di Caravaggio, affascina i collezionisti napoletani.
Da Napoli, dove arriva con il fratello Francesco e la figlia Prudenzia, Artemisia intrattiene una fitta corrispondenza con Cassiano dal Pozzo, celebre erudito e suo appassionato committente, con il Duca di Modena Francesco I d’Este e con Ferdinando II de’ Medici, che ottengono suoi quadri, mentre Galileo Galilei e il nobile messinese don Antonio Ruffo diventano suoi consiglieri e mediatori. Se si esclude la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare con suo padre Orazio alla corte di re Carlo I – forse partecipa alla decorazione del Casino delle Delizie della regina Henrietta – Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà una grande quantità di tele con l’aiuto del fratello Francesco, che ha sostituito il marito Pierantonio nella gestione della bottega. Perse le tracce di Pierantonio, Artemisia riuscirà a maritare sua figlia Prudenzia nel 1636, sostenuta dai numerosi clienti che acquistano i suoi dipinti. Diventata la pittrice più celebre d’Europa, si circonda di allievi e collaboratori, dipingendo anche le uniche opere pubbliche della sua carriera per la Cattedrale di Pozzuoli. Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50 del Novecento, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio.
Artemisia Gentileschi ha ispirato diversi progetti cinematografici e televisivi che riflettono la sua vita drammatica e il suo ruolo influente come artista pioniera nel periodo barocco. Uno dei film più noti è “Artemisia” (1997), diretto da Agnès Merlet. Questo dramma biografico vede Valentina Cervi nei panni di Artemisia e si concentra sulla sua vita giovanile, affrontando le difficoltà che incontrò come donna in un mondo artistico dominato dagli uomini e la sua controversa relazione con il mentore Agostino Tassi. Il film è stato criticato per la sua rappresentazione di questa relazione come consensuale, contrastando con i resoconti storici che descrivono lo stupro di Gentileschi da parte di Tassi e il successivo processo. Inoltre, è stato prodotto un documentario intitolato “Artemisia Undaunted”, trasmesso su Sky Arts. Questo documentario di un’ora offre una visione storicamente più accurata della sua vita, sottolineando la sua resilienza e il suo successo nonostante le gravi difficoltà che affrontò come donna nel XVII secolo.
Sono in corso anche i preparativi per una serie televisiva basata sulla sua vita, con la partecipazione di figure di spicco nell’industria cinematografica. Questa serie mira a presentare una prospettiva femminista contemporanea sulla sua storia, evidenziando la sua sfida contro le norme sociali del suo tempo e la sua duratura influenza nella storia dell’arte. Questi progetti testimoniano il continuo fascino per Artemisia Gentileschi, non solo per i suoi successi artistici, ma anche per il suo ruolo come simbolo di empowerment e resilienza femminile.
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