Cartoons on the Bay celebra Monica Manganelli. E lo fa attraverso una mostra interamente dedicata alla sua carriera, alla sua visione onirica e surrealista. L’artista parmense varia nello stile e nella tematica di ciò che raffigura, ma lo fa sempre con un minimo comune denominatore: l’ibridazione.
L’artista esplora i confini sfumati tra l’arte pittorica e la videoarte. Ha raccontato – in un’intervista a THR Roma – che voleva fare l’archeologa ispirata dai film di Indiana Jones. E da lì ha fatto un percorso di studi artistici: laureata in Storia dell’arte e conservazione dei beni culturali, sfrutta quindi la sua esperienza nella ricerca e la supporta con l’esplorazione del linguaggio creativo.
Una mostra – quella a Cartoons on the Bay – curata dalla regista e attrice Marina Polla De Luca, e strutturata in un grande salone ricco di pannelli espositivi, con anche una parte pervasiva. La musica di Bach circonda il pubblico e immagini delle opere di Manganelli si susseguono in un suggestivo montaggio: un “caleidoscopio di emozioni” intitolato L’atlante delle meraviglie.
Durante la visita, l’artista era con noi di THR Roma e ci ha accompagnato lungo tutte le installazioni, partendo da Cloud Atlas delle sorelle Wachowski e arrivando fino alla sua Turandot: un lungometraggio a cui sta lavorando da diversi anni e che è ancora in fase di pre-produzione.
Monica Manganelli: il filo rosso tra facebook e Cloud Atlas
Davanti al pannello dedicato al film di culto con Tom Hanks, Manganelli si ferma: “C’è un aneddoto su come ho iniziato a lavorare a Cloud Atlas”. “Sapevo che stavano cominciando le riprese a Berlino – racconta la scenografa – e per mandare la mia candidatura riuscii a scrivere al produttore… su Facebook”. Dopo 15 giorni dal messaggio, Manganelli riceve una telefonata mentre stava girando uno spot a Milano. Le viene detto che, il lunedì seguente, le Wachowski la volevano sul set.
“É stato bellissimo,” continua entusiasta, “lì ho conosciuto la meritocrazia per la prima volta, perché una situazione del genere non capita spesso”. “Da qui mi si è aperto un mondo, in tutti i sensi – aggiunge – ho collaborato con l’estero più spesso. E, sono sincera, tornare qui è stato un trauma”.
“Mi hanno richiamato per Matrix 4 – continua Manganelli – ma ho rifiutato perché stavo lavorando al mio film”. I bozzetti che ha realizzato per il film delle sorelle Wachowski, soprattutto quelli del villaggio nel mondo post-futuristico, sono poi diventati scenografia propria del set, mentre le tavole che ha realizzato per la città futuristica sono passate dal reparto di effetti visivi e sono state ricostruite in 3D.
Butterflies in Berlin e La ballata dei senzatetto
Poco più distante, dopo un video che raccoglie le sue creazioni, compare il pannello dedicato a La ballata dei senzatetto, il suo primo cortometraggio d’animazione. “Avevo esigenza di fare qualcosa di mio,” ci racconta. E La ballata dei senzatetto nasce dalla sua esigenza di raccontare il mondo reale, partendo da lì per poi arrivare a gamba tesa nell’immaginifico. Il film racconta infatti del terremoto nel 2012 avvenuto in Emilia Romagna visto dagli occhi di un bambino. In una delle immagini, il protagonista cammina per questo viale mentre orologi fluttuanti si sfaldano come ne La persistenza del tempo di Salvador Dalì. “Trasfiguro la realtà – aggiunge – ogni inquadratura è come un dipinto per me, ricca di simbologia e citazioni surrealiste”.
A supporto delle immagini – in questa mostra – ci sono frasi tratte dalle sue sceneggiature. E alcune di queste colpiscono nel profondo, soprattutto dopo quanto successo in Emilia Romagna con l’alluvione. Dopo La ballata dei senzatetto ecco che compare Butterflies in Berlin, che Monica Manganelli considera “il mio gioiellino”. Si tratta di un mediometraggio d’animazione che racconta la storia di una delle prime donne trans operate nella Berlino dell’epoca di Weimar. Una storia importante, che parla degli oppressi in un periodo di persecuzione. La prima parte è ambientata nella Berlino dei cabaret, e dopo durante il periodo nazista. “L’operazione chirurgica – afferma la regista – è rappresentata come una farfalla che fuoriesce dal bozzolo”.
Un’opera importante per la comunità LGBTQ+, e infatti per questo film Manganelli dice di aver avuto una “grande soddisfazione umana” e un “grande riscontro dalla comunità”. “Volevo raccontare cosa significasse sentirsi diversi – spiega – io non faccio parte della comunità LGBTQ+, ma il sentirsi diverso è un sentimento universale”. E aggiunge: “Ci si riconoscono in tanti, indipendentemente se fanno parte della comunità o meno. Io come donna artista mi sono sempre sentita diversa e volevo raccontare quel sentimento lì”.
Turandot e la sorellanza
E “diversa” è anche la sua Turandot, un progetto basato sull’opera di Puccini a cui sta lavorando da qualche anno e che aveva “messo un po’ da parte” per concentrarsi sulla produzione di Butterflies in Berlin. “Nel 2020 ho ripreso in mano il progetto con il mio amico Angelo Russo Russelli”. Nel 2026 ci saranno le celebrazioni dei cent’anni dalla prima rappresentazione di Turandot: “Nell’opera lirica è sempre stata vista come una donna crudele e mangia uomini, uno sguardo troppo maschile di quella principessa – afferma la regista – e questa è una cosa che ho voluto togliere assolutamente”.
“La mia Turandot non vuole sposarsi perché ha un’altra vocazione – spiega Monica Manganelli – vuole migliorare la società e battersi per i diritti delle altre donne”. E su un cartello al fianco dei bozzetti c’è infatti una frase presa direttamente dalla sceneggiatura (ancora inedita) del film: “sii padrona del tuo destino, l’istruzione è l’arma migliore di una donna per cambiare il mondo”. “Sono queste le sue motivazioni – conclude – i suoi forti valori sociali”.
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