Nata con una rissa in galleria, ma alla fine una mostra apprezzata

Il New Yorker definì il futurismo, con i suoi valori di bellicismo, nazionalismo e misoginia (la subordinazone vicino al disprezzo delle donne è centrale nel pensiero di Marinetti) come il movimento “più trascurato ma anche più imbarazzante dell’arte moderna”

Dice Federico Mollicone, presidente della Commissione di Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati: “E’ un arte di rottura e di profonda innovazione che aveva compreso l’importanza della tecnologia: in mostra ci sono addirittura dei progetti d’invenzione che prefigurano l’Ipad.” 

“Il tempo del futurismo”, la mostra che si è aperta il 3 dicembre alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, a cura di Gabriele Simongini, costituita da più di 300 opere distribuite in 27 sale, tra cui anche un idrovolante, è nata  “con una rissa in galleria”.  C’è stato con uno stile futurista, come ha ironicamente sottolineato all’inaugurazione lo stesso ministro della cultura, Alessandro Giuli, rievocando la passione per lo scontro e l’attitudine all’irruenza anche fisica che caratterizzò il movimento creato da Filippo Tommaso Marinetti, protagonista della mostra.

Hanno litigato il curatore e un ex curatore (Alberto Dambruoso), che ha firmato buona parte degli inviti alla maggior parte dei 70 musei internazionali coinvolti (tra cui il MoMA e il Metropolitan Museum di New York, il Philadelphia Museum of Art, la Estorick Collection di Londra e il Kunstmuseum Den Haag de L’Aia), prima di essere esonerato. 

Un’inchiesta del programma televisivo Report ha rivelato i retroscena della selezione delle opere dettata da pressioni politiche a favore di alcuni galleristi. Il primo giorno dell’inaugurazione, in polemica con i curatori, il disegnatore satirico noto come Osho (Federico Palmaroli), che faceva parte del comitato scientifico, ha denunciato l’assenza di un’opera da lui segnalata. 

Ma la valutazione degli esperti è perlopiù positiva. Ha detto a “The Hollywood Reporter” Luca Verdone, autore di un originale e inventivo documentario sul futurismo (Futurismo. Movimento di Arte/Vita): “E’ la più esaustiva mai fatta da molti decenni a questa parte”. Alessandra Mammì, che ha curato sull’Espresso la rubrica di critica d’arte per molti anni, ha scritto su “Art Tribune”: “bisogna ammetterlo: siamo di fronte ad una vasta e solida mostra”. 

“Il suo merito maggiore – ha aggiunto Verdone – è quello di contemplare anche nomi di futuristi tradizionalmente ignorati come i pittori e poeti Francesco Cangiullo, Luigi Fillia (pseudonimo di Luigi Colombo) e anche l’attrice, scenografa e anche pittrice Tina Maselli (sorella del regista Citto). Forse, tutto questo materiale, poteva godere di una organizzazione meno affastellata dello spazio”. 

L’idea di base sembra quella di raccontare il progetto d’avanguardia di un’arte totale capace di investire qualsiasi aspetto della vita e della cultura. 

Ha detto a The Hollywood Reporter Roma Federico Mollicone, presidente della Commissione di Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati: “E’ un arte di rottura e di profonda innovazione che aveva compreso l’importanza della tecnologia: in mostra ci sono addirittura dei progetti d’invenzione che prefigurano l’Ipad. E’ un idea di arte capace di rivoluzionare tutto, dalla moda alla meccanica, dalla poesia al cinema: altro che prendere un banana e venderla all’asta per nove milioni di dollari” conclude rievocando il recente acquisto, da parte di un tycoon cinese, della banana attaccata con uno scotch ad una tela che costituiva l’opera di Cattelan “Comedian”. 

Forse l’area più trascurata da “Il tempo del futurismo” è proprio il cinema. Ci furono diversi film sperimentali prodotti dal movimento, quasi tutti sono andati perduti (il più importante dei quali era Vita futurista, di Arnaldo Ginna, 1916), anche se è radicata negli storici la convinzione che, ad esempio, l’uso antinaturalistico, pittorico, sperimentale delle scenografia di questi film abbia influenzato l’espressionismo. C’è chi ritiene che in una di queste pellicole che è arrivata fino a noi Thaïs, di Anton Giulio Bragaglia – Riccardo Cassano, 1916-17, che sarà ripoposto per la prima volta a Roma alla fine di gennaio nel festival della Cineteca del Centro Sperimentale, con accomagnamento musicale, ci siano delle scenografie che potrebbero aver influenzato addirittura Hitchccok: in una scena, sulle pareti di un ambiente, compaiono uno stormo di occhi splancati e ipnotici che ricordano quelli della famosa scena onirica di Io ti salverò con Ingrid Bergman e Gregory Pevk.  

Ha detto a The Hollywood Reporter Roma Maria Assunta Pimpinelli, archivista alla Cineteca Nazionale presso il Centro Sperimentale: “In effetti del film esisteva una sola copia alla Cinemathèque Francaise ed Henri Langlois, leggendario curatore, l’aveva acquisita nel 1938 a Parigi dove Dalì, che curò per Hitchcock le scenografie di quella sequenza di Io ti salverò potrebbe averlo visto”. Anche perché Dalì era profondamente coinvolto con le avanguardie anche nel cinema, avendo diretto nel 1929, insieme a Bunuel Un chien andalou. 

“E’ un film complesso, che ha molteplici livelli di lettura dentro di sé – continua la Pimpinelli che ha partecipato per la Cineteca Nazionale, insieme alla Cinematheque, al restauro del fim originariamente colorato.

Ma al di là della qualità di questa mostra che si potrà vedere fino al 28 febbraio del 2025 e che costituisce per i turisti un’attrazione non secondaria, riproporre il futurismo, in Italia, significa decidere di fare i conti con una contraddizione insanabile che è, forse, ciò che lo rende ancora più interessate e stimolante. 

Come si legge in M il figlio del secolo di Antonio Scurati che si avvale di una ricostruzione storica e documentaria assai dettagliata, vincitore del massimo premio letterario in Italia, il premio Strega, Marinetti, interventista e guerrafondaio, a differenza di grandi intellettuali come Luigi Pirandello o Benedetto Croce , la cui adesione al fascismo fu opportunistica o tardiva o transitoria, contribuì dal primo momento all’ascesa di Mussolini: spesso con il manganello in mano, anche se lasciò il partito dopo il 1920. Nella ricostruzione di M, è Marinetti che racconta al duce, eccitato, come abbia contribuito alla devastazione della sede dell’Avanti insieme ad altri violenti squadristi. Marinetti compare anche vicino al Duce come personaggio nella serie tratta da M, presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, diretta da Joe Wright, che sarà disponibile sulla tv via cavo e in streaming in diversi paesi europei a partire dai primi mesi del 2025. 

“In realtà il futurismo attraversa il fascismo e alla fine risultò incompatibile con il regime perché l’idea di arte che proponeva fu rifiutata in quanto inadattabile agli scopi di propaganda politica”  dice ancora a The Hollywood Reporter Roma Mollicone. Dieci anni fa il Guggenheim di New York dedicò al futurismo una importante mostra (“Futurism, 1909-1944. Reconstructing the Universe”). L’Economist scrisse allora che prendere di nuovo in considerazione il futurismo era indispensabile per rifare il racconto convenzionale dell’arte del XX secolo per valutare il debito di importanti correnti artistiche nel confronti del futurismo. 

Il New Yorker definì il futurismo, con i suoi valori di bellicismo, nazionalismo e misoginia (la subordinazone vicino al disprezzo delle donne è centrale nel pensiero di Marinetti) come il movimento “più trascurato ma anche più imbarazzante dell’arte moderna”. E’ questo violento chiaroscuro che rende il ritorno sul futurismo ancor più necessario e sfidante, anche per capire un Paese come l’Italia che nel ‘900 fu un laboratorio inaudito, creando sia il padre di tutte le avanguardie (il futurismo), sia la madre di tutte le dittature totalitarie moderne (il fascismo).

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