Nina Zilli è da sempre una presenza ibrida nella scena musicale italiana. La formazione è quella classica del conservatorio, dove ha studiato canto lirico, ma le influenze sono r&b, jazz, soul (il suo nome d’arte viene da Nina Simone, la sua cantante preferita) e allo stesso tempo pop e aderenti alle necessità del mercato contemporaneo.
Cantante di professione, ma anche attrice (nell’opera La California di Cinzia Bomoll su Prime Video), illustratrice (per il suo Dream City. La mia guida alla città dei sogni) e scrittrice (L’ultimo di sette, edito da Rizzoli). Ora, Nina Zilli diventa anche organizzatrice di mostre, con Miracolo a Milano, un’esibizione temporanea ai giardini Cittadella dal 1 al 12 ottobre 2023. La cantante, piacentina alla nascita ma milanese d’adozione – in collaborazione col presentatore Alvin e col writer Raptuz – dà vita ad una realtà artistica nuova: opere uniche realizzate in prima persona e fruibili liberamente da tutti.
Ha sperimentato cinema, letteratura e musica. Come nasce ora l’idea di una mostra?
Dipingo sin da quando sono bambina. Da piccola avevo tante passioni, poi una si è trasformata in lavoro, e il rock ‘n’ roll si è impossessato di me. Ma l’arte in generale è la mia grande inclinazione: che sia fare la radio, la tv o un’illustrazione, sono tutti elementi che fanno parte di me, mi divertono e mi interessano.
In passato è stata anche illustratrice. È una propensione che ha sempre tenuto da parte?
Tutti abbiamo una vita molto frenetica, quindi ci concentriamo prettamente sul lavoro e sugli affetti. E ovviamente al terzo posto ci sono tutte le nostre passioni. Tra queste ci sono da sempre le attività creative, che per fortuna riesco a far proseguire quasi su un binario parallelo col mio lavoro.
Come mai avete scelto di collaborare con Alvin e Raptuz pur provenendo da tre ambienti diversi?
Non è colpa mia (ride, ndr). L’esposizione mi è stata proposta da Raptuz. Dopo aver letto il mio libro di illustrazioni Dream City, edito da Mondadori, mi ha chiesto di creare questa mostra insieme a lui e ad Alvin, che è un altro grandissimo amico. E quindi, come tutte le cose che mi incuriosiscono e danno spazio alla mia creatività, non ho potuto dire di no.
E come è nato tutto?
Sono partita da queste mie illustrazioni per realizzare poi dei sogni, a loro volta diventati poi delle opere.
Anche la sua musica è una commistione di influenze diverse.
Assolutamente sì. Per me la musica e l’arte in generale significano sempre condivisione. Di solito scrivo in solitudine, arrangio da sola, ma poi è la condivisione che mi permette di progredire. Forse anche per questo amo la contaminazione, perché è un’evoluzione continua. È come rimanere nella propria comfort zone, cambiando però ogni giorno abitudini e risultati.
In cosa si somigliano il processo creativo per la musica e la creazione di una mostra?
Lo Zeitgeist è molto simile. È qualcosa di velocissimo, una folgorazione, un’idea. Ma per quel che riguarda la musica, come diceva Vasco Rossi “Le canzoni son come i fiori, nascon da sole sono come i sogni, e non ci resta che scriverle in fretta perché poi spariscono e non si ricordano più”. Invece l’opera d’arte è molto diversa.
La sua realizzazione è meno istintiva?
Sì, è molto più lunga. Le più belle canzoni di solito nascono nel “tempo di una sigaretta”, come diceva Fred Buscaglione. Le opere d’arte invece vanno ragionate, bisogna pensare a come realizzarle, alla loro fattibilità, perché magari si idea qualcosa di irrealizzabile. Il processo è più ragionato, ma l’idea di partenza è sempre istinto puro, intuizione, folgorazione. In entrambi i casi si accende una lampadina.
C’è la necessità di dare una svolta ecologica all’arte contemporanea?
È il minimo che possiamo fare. Abbiamo creato un murales con spray non inquinanti, ma in realtà credo che oggi siano pochi gli artisti urbani che ancora utilizzano vernici inquinanti. O almeno me lo auguro. Per me, Raptuz e Alvin è fondamentale smuovere le coscienze su questa tematica. La Cittadella (sede della mostra) è uno spazio aperto, c’è un bellissimo giardino in cui ho esposto delle opere, perfettamente in linea con la nostra attenzione all’ambiente.
Avete avuto accesso agli archivi cittadini per realizzare l’esposizione?
Sì, dato che la mostra si basa sulla città di Milano, ci hanno dato accesso a questo luogo straordinario per la cultura. Ci sono dalle cartine topografiche antichissime, le liste di tutti gli ebrei di Milano scritte in gotico a mano, le foto della prima spedizione del mondo sull’Himalaya, che è stata fatta da dei milanesi. È veramente un posto pieno di storia. Ci hanno aperto le porte della città e ci hanno anche steso i tappeti rossi, per cui non posso essere più contenta di così.
Perché proprio Milano?
È la città dove i sogni diventano realtà, la metropoli delle grandi opportunità. Abbiamo scelto la Cittadella degli archivi perché è una straordinaria culla della memoria storica di Milano. Abbiamo la possibilità di andare avanti e guardare a un futuro sempre più ecologico, senza ricadere negli errori del passato.
C’è un evidente rimando a Vittorio De Sica, di cui ha ripreso un celebre titolo e in parte la locandina (in cui i tre curatori si ritraggono sopra un rullo da pittori, invece che sull’iconica scopa). Si reputa una cinefila?
Certo. La mia canzone d’esordio, 50mila, è stata scelta da Ferzan Ozpetek per la colonna sonora di Mine Vaganti. Il mio terzo singolo, L’uomo che amava le donne è un tributo a una pellicola che amo di Truffaut. Non so dirti se amo più i film per la colonna sonora o se amo alcune canzoni solo perché presenti in certe scene. Comunque quella tra musica e cinema è una commissione fantastica.
Qual è il miracolo a cui allude il nome dell’esibizione?
Quello che è già avvenuto è la nostra realizzazione personale. Quello che ci auspichiamo è che questa città possa continuare a farne tanti di miracoli. Per quante più persone possibile.
È fiduciosa per il futuro?
Assolutamente sì. Milano rimane ancora la capitale italiana del lavoro, delle opportunità. È un aggregatore sociale, multiculturale. Mi auguro che diventi e rimanga sempre di più un’eccellenza in tutti questi settori. Spero
che possa essere d’esempio per altre realtà più piccole, nelle quali dal punto di vista sociale ed economico non si hanno le stesse opportunità. E, chi lo sa, magari, che quest’esposizione non possa essere spronante.
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