Fare un film indipendente è difficile dovunque. Farlo in Russia criticando Vladimir Putin? Ma quella è Siberia. Quella è stata la sfida che ha dovuto affrontare Rusudan Glurjidze, la scrittrice-regista il cui film The Antique ha incontrato enormi ostacoli per la distribuzione grazie, pare, agli sforzi di potenti interessi russi.
Ambientato nel quadro della deportazione di georgiani da parte della Russia nel 2006, il film di Glurjidze racconta la vicenda di una giovane donna di origini georgiane a San Pietroburgo che va a vivere con un uomo russo stizzoso perché cerca di evitare di essere allontanata via mare dal paese. Un dramma delicato, la cui messa in scena innevata suggerisce un capitolo gelido della storia russa moderna.
Il film è l’opera ufficiale della Georgia per l’Oscar internazionale. Già arrivare a quel punto è stato una sorta di trionfo. Glurjidze ha visitato di recente Los Angeles per parlare della sua odissea. The Hollywood Reporter l’ha incontrata a pranzo per ascoltare la sua vicenda.
Quanto eri consapevole di quello che avresti dovuto affrontare?
Il primo problema è iniziato quando le autorità russe hanno letto la sceneggiatura. La reazione è stata immediata.
Avevano bisogno di leggerla perché stavi girando là.
Sì, e dovevamo girare là. Era una co-produzione a minoranza russa. Hanno visto questa scena nel copione e ci hanno chiesto di toglierla. Ho risposto di no, ma sapevo che le cose sarebbero diventate complicate.
Quali cose?
La partner russa non ha rispettato i suoi impegni [finanziari] e cercava sempre di causarci problemi. La co-produttrice russa [Glurjidze ha detto che preferiva non indicare il nome per motivi legali] ha chiamato e ha detto che non aveva il denaro, quindi avevamo un’enorme scarsità di finanziamenti. Abbiamo comunque iniziato le riprese, ma poi, ogni giorno, c’era un nuovo problema per la location e sapevo che arrivava dal governo. Un giorno ci hanno perfino tagliato i costumi.
Ossia tagliati letteralmente con le forbici?
Sì, è sempre difficile girare in Russia, ma per questo film è stato particolarmente difficile. A un certo punto hanno iniziato a parlare con noi sotto tramite avvocati. Era chiaro che stavano tentando di fermare questo film.
Eppure, in qualche modo, l’hai finito.
Sì, ma abbiamo dovuto fare la post-produzione fuori dalla Russia, nel 2022.
Proprio prima dell’invasione dell’Ucraina.
Due giorni prima.
Come avete fatto a far uscire il film?
Non potevamo rischiare di inviarlo per via elettronica. Abbiamo dovuto farlo fisicamente, ma il problema era che avrebbero ispezionato il nostro bagaglio.
Quindi, cosa avete fatto?
Diciamo che siamo diventati creativi.
Pensi che voglia saperlo?
Probabilmente no.
La cosa importante è che l’abbiate fatto uscire, se non fosse che quello è stato l’inizio di un’intera serie di nuove sfide.
Ce l’hanno accettato in tre festival del cinema europei. Abbiamo scelto Venezia perché è molto prestigioso. Era tutto stabilito. Poi siamo arrivati là e abbiamo saputo che era stata presentata una causa presso un tribunale italiano.
Che tipo di causa?
Violazione del copyright.
Violazione del copyright? Era la tua sceneggiatura!
Avevo un co-sceneggiatore russo segreto di cui preferisco non fare il nome.
E quella persona sosteneva che c’era stata violazione?
No, era una persona a posto, ma viveva in Russia e non poteva opporsi a quello che stava facendo la co-produttrice.
Quindi la co-produttrice sostenere che i diritti per il lavoro dello sceneggiatore erano stati violati? Cosa ha detto il tribunale italiano?
Hanno detto che avrebbero rivisto il caso, ma il Festival di Venezia stava iniziando e non era possibile proiettare il film durante la revisione del caso, così hanno annullato la prima mondiale e la proiezione per la stampa. Alla fine, sette giorni dopo, il tribunale ha detto che avevamo il diritto di proiettarlo. Il festival era quasi finito. Tutti erano andati a casa. Abbiamo avuto una proiezione alle 11 di mattina, non sembrava una prima mondiale. Ci è parso proprio ingiusto.
E l’ironia è che stavate facendo un film sull’ingiustizia compiuta da russi.
Ho fatto un film sull’essere una rifugiata a causa della Russia e ora il mio film è diventato un rifugiato. Il film pareva un rifugiato. Pare tuttora un rifugiato.
I distributori sono spaventati?
Sì, c’è un’altra causa e stanno aspettando di vedere cosa succede. Ma siamo riusciti a distribuire il film in Georgia e, in un certo senso, quella è la cosa più importante.
Questa vicenda è stata pubblicata in un numero a sé stante del The Hollywood Reporter magazine.
This content was entirely crafted by Human Nature THR-Roma
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