
La corsa agli Oscar per il miglior film internazionale si preannuncia con un unico, innegabile favorito e un gruppo eterogeneo di contendenti con un forte potenziale di sorpresa. Il film da battere è chiaramente Emilia Pérez. Il musical-crime-drama transgender di Jacques Audiard, ambientato nel mondo della criminalità messicana, candidato per la Francia, è in lizza per le nomination agli Academy Awards in diverse categorie, tra cui miglior film, regia, attrice protagonista (per Karla Sofía Gascón), attrice non protagonista (Zoe Saldaña, Selena Gomez) e diverse categorie tecniche.
Se a ciò si aggiunge la potenza di marketing di Netflix, Emilia sembra essere una certezza nel carnet degli Oscar.
Dopo di che, la competizione internazionale si fa più difficile da decifrare, ma ci sono una manciata di film che sono emersi dal circuito dei festival con sufficiente slancio e favore da parte della critica da renderli potenziali rivali, di Pérez, per i premi.
I’m Still Here di Walter Salles e The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof, due rofonde storie personali sulla vita sotto regimi autoritari, sono chiari favoriti per entrare nella cinquina finale.
I’m Still Here racconta la storia di Eunice Paiva, moglie del deputato del Partito Laburista brasiliano Rubens Paiva e matriarca di una famiglia di sei figli. Salles è cresciuto con la famiglia Paiva e conosce intimamente la loro storia. Quando Rubens Paiva “scomparve” nel 1971, vittima della brutale dittatura militare brasiliana, la sua vedova si reinventò come avvocato e attivista per combattere il regime.
La critica definisce I’m Still Here il miglior film di Salles dal suo successo del 1998 Central do Brasil, che ottenne una nomination all’Oscar per il miglior film internazionale e la migliore attrice per Fernanda Montenegro. E’ stata l’ultima volta che un film brasiliano è entrato nella rosa dei candidati all’Oscar. In un bel gioco di simmetria cinematografica, la figlia di Montenegro, Fernanda Torres, interpreta Eunice Paiva in I’m Still Here.
Se il film di Salles è un regolamento di conti con i peccati del passato, The Seed of the Sacred Fig di Rasoulof è un confronto con la violenza dell’Iran di oggi. Il film segue un giudice conservatore (il suo lavoro è firmare condanne a morte per il governo) che è costretto a scegliere tra il sostegno ai mullah al potere e la sua stessa famiglia, comprese due figlie adolescenti, che vengono coinvolte nelle proteste “Donna, Vita, Libertà”. Rasoulof ha girato il film in segreto in Iran ed è fuggito dal paese, sfuggendo a una condanna a otto anni di carcere, poco prima della sua première a Cannes, dove ha vinto un premio speciale della giuria.
L’Iran non avrebbe mai scelto un film di Rasoulof come suo candidato ufficiale agli Oscar, ma il film si è qualificato come tedesco grazie ai suoi co-produttori berlinesi e allo status di rifugiato di Rasoulof in Germania. The Seed of the Sacred Fig offre ai votanti dell’Academy la rara possibilità di scegliere un film di un regista dissidente. Aspettatevi che colgano al volo l’occasione.
Le questioni politiche sono al centro di altri due favoriti nella categoria film internazionale: il saggio-documentario di Mati Diop Dahomey (vincitore del premio per il miglior film alla Berlinale) e il dramma in bianco e nero di Magnus von Horn The Girl With the Needle.
Dahomey, che rappresenta il Senegal nella corsa agli Oscar, segue il ritorno nella Repubblica del Benin di 26 tesori reali africani saccheggiati dalla Francia dal Regno di Dahomey. Combinando il cinema non-fiction con elementi di fantasia poetica – tra cui far parlare i manufatti con le loro voci fuori campo, sottintendendo che non sono semplici oggetti ma entità viventi con un reale potere culturale – Diop confonde i confini tra film narrativo e documentario mentre esplora la complicata eredità del colonialismo sull’identità africana moderna.
The Girl With the Needle, il candidato della Danimarca, è ambientato nella Copenaghen dei primi anni ’20 e racconta di una sarta vulnerabile il cui ricco amante, dopo averla messa incinta, si rifiuta di sposarla. Dato che l’aborto è ancora illegale, ha due opzioni: una pericolosa interruzione illegale che coinvolge una vasca da bagno e un ago da cucito o portare a termine la gravidanza e consegnare il bambino a un’agenzia di adozione clandestina. Il diritto all’aborto e l’autonomia del corpo delle donne sono probabilmente nella mente di molti votanti dell’Academy e rendono questo film tristemente attuale.
A completare i favoriti di questa stagione nella categoria film internazionale ci sono due film con poco in comune se non l’audacia dei loro registi. Armand, il candidato norvegese agli Oscar, vede protagonista Renate Reinsve, la rivelazione di La persona peggiore del mondo, nei panni di una madre oberata di lavoro convocata a un incontro scolastico dove si trova a confrontarsi con l’accusa che suo figlio abbia aggredito un altro ragazzo. Fin qui tutto normale, ma lo sceneggiatore e regista Halfdan Ullmann Tondel aggiunge sequenze volutamente teatrali – tra cui un paio di coreografie – per dare una patina surreale a quello che altrimenti sembrerebbe un ordinatrio dramma sociale.
Il candidato islandese è radicale nella sua semplicità fuori moda. Touch, di Baltasar Kormákur, è una autentica storia sincera su un uomo che si mette alla ricerca del suo primo amore 50 anni dopo la sua scomparsa. Kormákur, meglio conosciuto per gli action movie (2 Guns, Contraband) e i “surviver thriller” (Everest, Beast) abbandona le grandi scene d’azione e i colpi di scena a favore di una svolta profonda secondo il detto ‘non è mai troppo tardi’. Gli incalliti romantici dell’Academy faranno fatica a resistere.
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