Aspettando l’Oscar: The girl with the Needle, di Magnus von Horn, omaggio a Murnau e Fritz Lang, che ha avuto una nomination

Tra le nomination per il miglior film internazionale anche quato cupo thriller danese. Una discesa agli inferi da un terribile fatto di cronaca d’inizio 900 che paralizza lo spettatore in incubo espressionista

Era in concorso a Cannes 2024, a graffiare l’anima con il suo bianco e nero spettrale ed espressionista, questo film danese che sarà in lizza come miglior film straniero nella notte degli Oscar. Ed è, al momento, nella shortlist dei titoli ancora in gara per l’Oscar al miglior film internazionale. Oltre al musical transgender e cross-gender, appassionato e colorato, Emilia Pérez, oltre all’assorto e taciturno affresco di Vermiglio, c’è anche il devastante inferno in bianco e nero disegnato da The Girl with the Needle, che in Italia esce il 24 gennaio in esclusiva su MUBI. 

The Girl with the Needle di Magnus von Horn, regista svedese/polacco al terzo lungometraggio – il secondo, Sweat, era già in selezione ufficiale a Cannes – si ispira ad una storia realmente accaduta. 

Ci sono omaggi al primo film della storia, L’uscita dalle officine Lumière, inquadrature nelle quali sembra di sentir respirare il cinema espressionista degli anni Venti, prospettive e strade distorte come nel Gabinetto del dottor Caligari. Ci sono strade desolate come quelle del Nosferatu di Murnau. C’è la sensazione, opprimente e tragica, di un mondo dickensiano, pieno di fuliggine, di miseria materiale e umana. 

Siamo nella Copenhagen del 1919, ancora segnata dalle cicatricidella guerra. Una giovane donna – Vic Carmen Sonne, strepitosa – lavora come operaia in una fabbrica. Il marito, partito volontario in guerra, non è tornato. Ma non c’è un certificato di morte e lei non può ottenere una pensione da vedova. Il proprietario della fabbrica, un bell’uomo, le mette gli occhi addosso. Lei è felice, pensa di sposarlo. Ma The Girl with the Needle non è una favola. O se lo è, è una favola nera. 

Ciò che segue – e che non riveliamo – ha a che fare con molti aghi. Ci sono gli aghi delle macchine da cucire, quelli che iniettano morfina. Quelli che devono aver cucito la faccia di un uomo sfigurato dalla guerra, un volto coperto da una maschera di cuoio, un uomo ridotto a doversi esibire come freak, come fenomeno da circo. E infine il ferro con cui la ragazza in un bagno pubblico cerca di…

Il resto è tutto da vedere, una favola horror dall’estetica complessa e raffinata, con una Vic Carmen Sonne che nel suo volto raccoglie, incarna, offre allo sguardo tutto e il contrario di tutto: innocenza e disperazione, intelligenza e stupidità. Un’interpretazione superba che talvolta sembra oscurare quella ambigua e magnetica di Trine Dyrholm – l’avevamo vista in Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli – che nel film gestisce un negozio di dolciumi, e qualche altra cosa meno innocente. Trine Dyrholm è seducente e spietata, matronale e bestiale. 

Interessante e raffinato il lavoro fatto sulle immagini da von Horn insieme al direttore della fotografia Michał Dymek, i quali hanno lavorato su un formato quasi quadrato, il 3:2, claustrofobico, che ricorda le prime fotografie, o appunto i film del Muto, con i volti spesso illuminati dal basso, a creare ombre tragiche e grottesche. 

A questo si aggiunge la colonna sonora di Frederikke Hoffmeier che smeriglia i nervi e inizia – in sottofondo a un montaggio di volti  con morphing – con un corno che muggisce note basse, come fosse il suono dell’inferno. Gli esterni, ricostruiti a Göteborg e in Polonia, sembrano le strade di ciottoli della Germania degli anni Venti. 

Non è solo un esercizio di stile, non è solo un tuffo nella cupezza più inaudita, non è solo un viaggio nel tempo, cinematograficamente parlando: The Girl with the Needle mette a fuoco le angosce, i dubbi, le scelte che si trova a compiere una donna, una, che come tante, vive negli spazi non illuminati della società. Un film che parla delle zone oscure dell’umanità.