“Che impresa, rifare la Cappella Sistina”: in una intervista esclusiva, parla Cynthia Sleiter, candidata italiana all’oscar, per la set decoration di Conclave

Pascal Vicedomini la premierà con il “Los Angeles Italia Excellence Award” il 28 febbraio. A THR Roma, racconta dell’impresa vaticana ma anche del lavoro con Bernardo Bertolucci e Ridley Scott

Nella corsa all’Oscar, c’è un’eccellenza italiana che non ti aspetti. È nascosta in una delle otto nomination al film Conclave di Edward Berger. È, più precisamente, nella candidatura per il production design. Dove sono indicati i nomi della scenografa Suzie Davies, e quello del set decorator Cynthia Sleiter. 

È lei l’italiana che non ti aspetti. Non perché sia poco conosciuta, tutt’altro: Cynthia ha lavorato con Bernardo Bertolucci già per L’ultimo imperatore, poi nel Tè nel deserto e nei film successivi; ha collaborato con Ridley Scott, con Steven Soderbergh, con Martin Scorsese, con Woody Allen. È solo per quel nome, per quelle consonanti un po’ troppo numerose, che ne oscurano l’italianità. 

“Ma io sono italiana, e ne sono orgogliosa”, dice. “Il cognome è di antica ascendenza olandese. Ma io vivo a Roma da quando avevo sei anni – oggi ne ha 66 – ho studiato all’Accademia di Belle arti di Roma, mi sento a casa a Cinecittà, con gli artigiani, le pittrici, gli artigiani di Roma. Devo a uno dei miei nonni se ho un doppio passaporto, italiano e britannico. Il che, sono sincera, per lavorare nel cinema internazionale un po’ aiuta”. 

Tutto il resto, Cynthia se lo è conquistata da sola. Un disegno dopo l’altro, un oggetto dopo l’altro. Il set decorator deve arredare, “vestire” i set di un film. Trovare oggetti, mobili, tende, librerie. Devono ricreare un ambiente, discutono di colori, sfondi, tessuti. Lavorano a stretto contatto con gli scenografi, con i costumisti. Devono far credere che il mondo del film sia reale. Il resto, lo chiediamo a lei direttamente. Poche ore prima del volo che la porterà a Los Angeles, dove la attendono già interviste e un premio, il “Los Angeles, Italia Award”. 

Qual è stato l’ambiente più difficile da ricreare, la sfida più grande per Conclave? 

Ricostruire la Cappella Sistina. Nessuna troupe può girare in Vaticano, così abbiamo dovuto ricostruire tutto. Ci sono volute dieci settimane: e siamo stati fortunati, perché siamo partiti da alcuni pannelli dipinti che esistevano nel deposito di Cinecittà. Provenivano da una serie televisiva, credo. Ci abbiamo lavorato, li abbiamo risistemati, e abbiamo creato un ambiente con pannelli di dieci metri di altezza. 

Poi avete dovuta anche farla crollare, per un terremoto…

Esatto! Abbiamo fatto quattro ciak di quella scena complicatissima, e ogni volta abbiamo ripristinato tutto a tempo di record, mettendo ogni Bibbia al suo identico posto…

L’altro ambiente che caratterizza il film è la Casa Santa Marta, dove i cardinali soggiornano, si incontrano, si affrontano. Un luogo tetro e buio. Con i corridoi che ricordano l’Overlook Hotel di Kubrick.

Volevamo che fosse un luogo inquietante, quasi una prigione più che un hotel. La lunghezza del corridoio è uguale a quella della Cappella Sistina che abbiamo ricostruito. 

Ci sono anche le pareti di marmo. O almeno, così sembra. Come le avete realizzate?

Grazie a una squadra incredibile di pittrici. Sono le pittrici di Cinecittà, che non finirò mai di ringraziare! 

Con quanta gente si confronta un set decorator?

Moltissima. Da una parte, ci sentiamo con Roberta Federico, direttrice di produzione; con la production designer, Suzie Davies. Con la costumista, Lisy Christl, con la supervisor dei costumi, Ilaria Marmugi. Con il concept artist, che fa i bozzetti. Con il designer dei gioielli, Riccardo Penko. Poi ci sono quelli che montano, quelli che smontano, gli elettricisti, i pittori. Alla fine, sono centinaia di persone. 

E in cima c’è il regista. Che tipo di regista è Edward Berger?

Uno con le idee molto chiare. E questa è la qualità più importante: è una persona che ti spiega bene che cosa vuole. In Conclave, aveva molto chiaro in testa il contrasto che voleva, fra la Sistina molto barocca, luminosa, e la prigione asettica di Casa Santa Marta, austera, raggelante. 

Con la costumista Lisy Christl che tipo di lavoro avete fatto?

Un lavoro sul colore e sulle materie. Il colore rosso è stato il filo conduttore di tutto il film. Un rosso speciale, cupo, denso, spesso, viene da dire. Un rosso “pesante”, che Lisy ha scelto per le vesti dei cardinali, più scure di quelle che usano in Vaticano, e fatte di un tessuto più pesante. Noi ci siamo adeguati a quel rosso, con la moquette, le tovaglie, le pareti. È una sinfonia in rosso. 

Nella sua carriera ha lavorato ad un film che ha vinto nove Oscar, L’ultimo imperatore. Che cosa ricorda di quella esperienza?

Un’impresa titanica. Abbiamo girato a Pechino, con temperature inimmaginabili, e sul set c’erano migliaia di comparse. Non c’era CGI, erano tutti soldati dell’esercito cinese. Migliaia. E ognuno, in una scena, doveva avere un ombrellino. Ne abbiamo fabbricati senza fine. Poi ho disegnato le portantine, le palanchine, gli stendardi. Ci abbiamo messo mesi a intarsiare il letto della Madre imperatrice. E sempre a cercare di comprendersi con i cinesi. Con un solo interprete che correva come un matto di qua e di là.

Come è iniziato tutto, per lei? Aveva in mente lo spettacolo, il teatro o il cinema, da subito?

È iniziato con l’Accademia delle Belle arti a Roma. E poi, a poco più di vent’anni, ho fatto una tournée a teatro con Giancarlo Sepe e ho conosciuto lo scenografo di Sergio Leone, Carlo Simi. Tutto è venuto gradualmente, un passo dopo l’altro. 

Del Tè nel deserto che ricordi ha?

I tanti mesi fuori, nel deserto. Il Marocco, l’Algeria, il volo sul deserto del Niger. E le case, fatte con il fango pressato. La tavolozza dei colori di Vittorio Storaro, il suo giallo e il suo ocra.

Avete costruito anche gli ambienti di Io ballo da sola…

Sì: la piscina, per esempio, era un abbeveratoio, e quello che sembra un lungo loft era una stalla. C’era un lungo sentiero giallastro: ma Bernardo lo voleva rosso. Abbiamo trovato una fabbrica di terrecotte lì vicino, e abbiamo sbriciolato un po’ di vasi.

Ridley Scott, con cui ha girato Hannibal¸ come lavora?

Ridley Scott è quello che fa più impressione di tutti: è capace, mentre camminiamo da una location all’altra, di disegnare lo storyboard di una scena. Non ho trovato mai nessuno con un occhio come il suo. È velocissimo: fa tre inquadrature, e siamo già pronti per il controcampo.

Sembra un lavoro magnifico e complicato, il suo. Vi sentite più artisti o più artigiani?

Un po’ tutte e due le cose, credo. Tenendo sempre presente che, alla scadenza, devi sempre consegnare il lavoro. 

Venerdì Cynthia Sleiter riceverà a Los Angeles il “Los Angeles Italia Excellence Award” nel corso di un gala all’Istituto italiano di cultura. Ad accompagnare la Sleiter ci sarà anche la scenografa Suzie Davies, anche lei candidata per le migliori scenografie. Conclave vede in corsa anche Isabella Rossellini nella categoria di miglior attrice non protagonista.