Lee Miller è quella che, il 30 aprile del 1945, giorno in cui Hitler si suicidò nel suo bunker di Berlino, si fece scattare una fotografia nella vasca da bagno dell’appartamento, abbandonato dal Fuhrer a Monaco.
Diretto da Ellen Kuras, il film sulla fotoreporter Elisabeth “Lee” Miller nasce quasi per caso quando Kate Winslet, acquistando un tavolo appartenuto alla sorella di Roland Penrose, l’artista marito di Lee, si appassiona alla sua storia, e decide di trarne un lungometraggio con l’aiuto di suo figlio, Antony Penrose. La produzione di Lee dura oltre otto anni e Kate Winslet, a un certo punto, date le difficoltà economiche, copre personalmente le spese per l’intero cast e tutta la troupe.
Kate Winslet, grande ammiratrice di Lee Miller, si è impegnata con passione per portare a termine il progetto. Oltre a interpretare la fotografa sullo schermo, ruolo a cui si è profondamente connessa anche grazie all’accesso alle sue lettere personali, ha avuto un ruolo cruciale nella scelta del cast, coinvolgendo amici attori come Andy Samberg, Alexander Skarsgård e Marion Cotillard. Il team creativo, formato da professionisti di altissimo livello come il direttore della fotografia Pawel Edelman, la scenografa Gemma Jackson e il costumista Michael O’Connor, ha lavorato con grande dedizione per garantire l’autenticità del film, curando nei minimi dettagli anche la fedele ricostruzione degli abiti originali indossati dalla Miller.
Nata a New York nel 1907, dopo una carriera da modella per Vogue e Vanity Fair, Lee Miller studia fotografia a Parigi con Man Ray e quindi apre uno studio. La svolta della sua vita avviene quando Al Cairo incontra Roland Penrose che la conduce a Londra, dove inizia a lavorare come corrispondente di guerra per British Vogue, portando al pubblico una testimonianza unica della guerra e della sofferenza umana.
Lee durante la Seconda Guerra Mondiale, documenta il conflitto con immagini potenti e ritratti di artisti. Le sue fotografie, che fondono la crudeltà del conflitto con l’intensità del suo sguardo artistico, la consacrano come una delle figure più influenti della fotografia del XX secolo. Il film non si propone come una biografia completa, ma si concentra su un periodo specifico della vita di Lee Miller, cercando di coglierne l’essenza. In particolare, racconta proprio gli anni in cui Miller ha lavorato come corrispondente di guerra.
Con The Hollywood Reporter Roma, abbiamo incontrato Kate Winslet, uno dei più grandi talenti di Hollywood degli ultimi 30 anni. Grazie alle sue interpretazioni straordinarie, l’attrice ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema. Attualmente candidata al Golden Globe come migliore attrice drammatica per Lee, Winslet ci ha raccontato la sua esperienza sul set del film, che arriverà nelle sale italiane il 13 marzo, distribuito da Vertice 360.
Ho letto che il film ha richiesto otto anni per essere realizzato e che, a causa delle difficoltà finanziarie, hai coperto personalmente due settimane di salari per tutto il cast e la troupe. Qual è la necessità di raccontare Lee Miller oggi?
Lee Miller è stata una donna che ha contribuito enormemente alla documentazione visiva delle verità sul regime nazista. È stata una delle prime fotoreporter e, pur essendo una donna, è riuscita a farsi strada in ambienti dominati dagli uomini. Senza di lei, potremmo non avere quelle immagini straordinarie che documentano ciò che è accaduto alle vittime senza voce dei conflitti. Queste fotografie sono di un’importanza storica immensa e continuano, ancora oggi, a rivelarci molte verità. Il cinema indipendente è sempre stato estremamente difficile e io non faccio eccezione a questa realtà. A volte è necessario unirsi, canalizzare l’energia collettiva ed essere determinati a raccontare la propria storia in modo sensibile, autentico e significativo. Mi ritenevo molto fortunata ad essere circondata da un’incredibile squadra di persone, molte delle quali conosco da quando avevo 19, 22, 25 anni e con cui ho costruito relazioni durature. I nostri straordinari attori sono diventati una parte fondamentale di questo. Sono stata molto fortunata ad avere tutte queste persone meravigliose a supportare questo progetto. È stata un’esperienza davvero memorabile per tutti.
Secondo te, rispetto ai progressi compiuti dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, cosa continua a mancare per il pieno empowerment delle donne?
Penso che dobbiamo ricordare che 80 anni fa Lee Miller stava già ridefinendo la femminilità, dando un significato che oggi, come donne, riconosciamo pienamente. Stava ridefinendo la femminilità per rappresentare resilienza, forza, coraggio, determinazione e compassione. È così importante: è il modo in cui stiamo crescendo le nostre bambine, è come siamo nelle nostre amicizie e nelle nostre relazioni personali oggi. Lei ha guidato tutto ciò con integrità e grazia ed io sono stata incredibilmente ispirata da lei. Il suo coraggio di spostarsi da dietro alla camera e mettersi davanti ad essa per diventare la voce iconografica per tutte quelle vittime credo che sia stato molto importante. Credo che la sua storia continui a rimanere rilevante anche oggi perché senza di lei non avremmo quel tipo di reportage in cui ci è realmente dato accesso a ciò che accade nell’ombra. Lee è stata in grado di andare e testimoniare, è stata davvero lì per fare un lavoro che per lei era importante. Non ha mai voltato le spalle, non è mai fuggita, non è mai tornata a casa, è rimasta. Poteva tornare a casa, ma non l’ha fatto. Penso che dobbiamo guardare a persone come lei per trarre ispirazione e per leadership. Era una figura coraggiosa fenomenale ed è stato un privilegio poter raccontare la sua storia.
In passato avevi già interpretato il ruolo di una donna della Seconda Guerra Mondiale (The Reader). Come è cambiato negli anni il tuo modo di interpretare i personaggi?
Penso che mi piaccia sempre di più il mio lavoro e ogni giorno ne sono più grata. Mantiene alto il mio umore e mi porta tanta gioia. Penso che il mio approccio sia rimasto inalterato: o lo fai al meglio o astieniti. Questo è il mio motto. Lo dico sempre di più a me stessa, perché è importante per me fare un buon lavoro, essere una buona collega, essere un partner collaborativo. Sono davvero grata di far parte ancora di questa industria, nella quale sono coinvolta da 32 anni. Non posso crederci, sono stata davvero molto fortunata.
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