Giovanni Veronesi: “Nel cinema ho giocato in nazionale, nello sci non ce l’avrei mai fatta”

L’autore di cinema e radio, lo sceneggiatore di Nuti, Pieraccioni e Verdone, il regista di La valanga azzura sull’Italia di Thoni e Gros, parla dell’amore per la montagna, lo sci, il cinema e del modo in cui affrontare con passione le curve della vita

Il “passo-spinta” è una tecnica dello sci agonistico di approccio alla curva perfezionata da Gustavo Thoni, uno dei più grandi campioni di sempre della specialità, protagonista del documentario di Giovanni Veronesi, La valanga azzurra, che a fine 2024 è andato in onda sulla Rai. Thoni la usava soprattutto nello slalom gigante “uscendo da una porta e dandosi una spinta con il piede esterno per riprendere velocità: è come se appena uscito da una curva, ma proprio mentre stai uscendo dalla curva, tu schiacciassi l’acceleratore per partire prima degli altri”, spiega Veronesi.

Per quale ragione un navigato sceneggiatore ricercato per la sua scrittura brillante che ha avuto il privilegio di collaborare con grandi primatisti della risata e della commedia come Nuti, Pieraccioni e Verdone, regista di una ventina di film, voce radiofonica per molti anni di Radio 2 (“Non è un paese per giovani”), è un esperto di sci al punto di aver realizzato un film sulla famosa “Valanga Azzurra” che vide gli sciatori italiani (soprattutto Thoni, Piero Gros, Paolo De Chiesa) dominare classifiche e coppe del mondo negli anni ’70?

“Da ragazzo non ho passato un solo sabato in classe, a scuola: partivo sempre per delle trasferte per delle gare con gli sci. Poi, a 16 anni, un pauroso incidente a causa del quale mi sono sfasciato quasi tutto, soprattutto una spalla, ha posto fine a tutto questo. Perché mia madre ha detto: basta, non se ne parla più” racconta.

Nel documentario tu dici che Thoni “danzava”, sugli sci

Aveva una classe innata, si era costruito uno stile tutto suo, usciva dalla curva accarezzando il movimento. Poi, siccome pare che avesse un problema al ginocchio sinistro, che non gli permetteva di spingere bene come il ginocchio destro, si era inventato proprio quel modo lì. 

In effetti nel documentario zoppica un po’ proprio col sinistro

Oggi zoppica perché ha un problema alle anche. Deve fare un’operazione chirurgica

La stessa che ha fatto di recente Carlo Verdone

Esatto. Sono entrambi dei fuoriclasse cui ho invidiato persino le anche: avrei accettato senza indugio le loro deteriorate per possedere lo stesso talento

Proiettando delle analogie con la tua attività di scrittore, autore, regista, potremmo dire: Gustavo Thoni era il protagonista della avventura della valanga azzurra, ma dietro e a fianco a lui c’erano molti comprimari, che tu scovi. Tu hai più volte ricoperto, al cinema il ruolo di sceneggiatore che è proprio uno che non può non stare dietro

Io credo di aver fatto cose migliori a volte stando dietro a degli assi come Francesco Nuti che avendo in mano il timone di tutto un film. Molte volte ho fatto dei film inferiori da regista rispetto a quelli che ho scritto come sceneggiatore e alle volte, invece, come regista, mi sono espresso, forse, in modo più libero e mi sono reso conto anch’io che la libertà di espressione per un artista è tutto

Qual è l’incognita più cruciale che si annida in questa libertà?

Gli attori. Io ho sempre visto e creduto che sono gli attori bravi che hanno bisogno di un regista. I cani sono cani e rimangono tali per tutta la vita. Alle volte io mi sono sbagliato e ho preso degli attori cani e mi volevo ammazzare, volevo suicidarmi davanti a loro per fargli capire la mia depressione. 

Stai dicendo che un regista, per quanto bravo, non potrà mai far diventare bravo un attore cane?

No, mai. Lo può far recitare in maniera dignitosa ma non lo potrà mai far diventare bravo, invece un attore bravo si può far diventare bravissimo

Nel documentario fai vedere come grazie alla valanga azzurra lo sci sia diventato uno sport di massa. Ma non è una delle cose più scomode della vita (gli scarponi, la tuta, lo skilift, le seggiovie, la sciolina..)?

Ora sono a Courmayer, in montagna mi sento a casa. Sono molto abituato e non faccio fatica ancora oggi a sciare, non mi fanno mai male gli scarponi: per me è come se fosse naturale. E poi, sai qual è il vero effetto speciale di sport come lo sci e la vela? Il paesaggio. Quando giochi a tennis stai dentro un catino di qualche decina di metri, quando fai i 100 metri puoi vedere solo uno stadio. Quando fai dello sci hai di fronte lo stesso incredibile panorama che Alberto Tomba ha avuto davanti per tutta la vita.

Qual è il tuo “passo spinta”, nel cinema, qual è il talento per il quale ti hanno chiamato grandi nomi? 

Nuti riuscivo a farlo ridere anche quando era triste (e anche quando era malato). E anche con Carlo Verdone capita così. Credo di avere la capacità di arrivare alla comicità in un modo molto semplice, di saper arrivare alla comicità o alla battuta senza artificio. 

Però cercano te perché vogliono anche una struttura, una complessità, una forma attraverso la scrittura? 

Sì, diciamo però che quella gliela potrebbero dare anche altri sceneggiatori bravi. Il problema per il comico è di riuscire a sfruttare al 100% la propria comicità. Io sono come quei meccanici che di fronte ad una Ferrari riescono a sfruttare il potenziale di quell’auto al massimo delle sue possibilità. Talvolta i grandi talenti non ce la fanno da soli, ci vuole qualcuno che li aiuti a farlo. 

E quando fai il regista, quando sei sul set, qual è il principio del godimento? 

Io mi sono accorto fin dal primo film di non essere Fellini. Pur avendo la stessa passione, dovevo trovare una via mia, tutta mia, per fare questo mestiere. Perché io sarei stato un assicuratore fallito, un commerciante fallito, un impiegato fallito, cioè, sarei stato un fallito se non avessi fatto il cinema.

Nella tradizione aurea degli sceneggiatori italiani, una skill particolare è sempre stata l’oralità, la conversazione, il piacere della parola detta. 

Io ho convinto tanti produttori a fare un film raccontandoglielo molto bene. Mi ricordo che Vittorio Cecchi Gori una volta mi disse. ‘Se fai ridere mamma, il film si fa’. Mi mise di fronte questa signora di 80 anni, che mi guardava in cagnesco e io partii, diciamo, con uno svantaggio di meno 10. Però a un certo punto vidi che iniziò a fumare, a stare attenta e alla fine fece un ghigno che tutti, compreso Vittorio, scambiarono per una risata. E il film si fece.

A proposito di voce, di oralità, di racconto, ti manca molto la radio?

Moltissimo, mi manca moltissimo la radio. Soprattutto quel tipo di radio, dove io potevo esprimermi liberamente senza nessuno che mi impediva di dire le cose che volevo. Ho vissuto 6-7 anni senza che nessuno mi abbia mai censurato. Poi, alla fine, come in tutti i matrimoni, abbiamo divorziato. Ma io non pago gli alimenti alla Rai e non la vado nemmeno a trovare ogni fine settimana.

Invece, per quanto riguardo lo sci hai qualche pentimento? Che cosa sarebbe successo se non ti fossi schiantato contro un albero?

Non ho alcun rimorso. Facendo cinema ho giocato in nazionale, nello sci non sarei mai arrivato al livello di quei campioni. Lo so.