Jon M Chu: “Voglio mettere in discussione le storie con cui siamo cresciuti, in cui la felicità era sempre la cosa più importante.”

Conversazione con il regista del più sorprendente fenomeno cinematografico dell’anno per il quale l’intelligenza artificiale deve essere al servizio della creatività e non il contrario

LOS ANGELES – Proprio mentre scrivo queste righe, diversi incendi stanno ancora bruciando in California. I più gravi, il Palisades e l’Eaton Fire hanno causato decine di vittime e altrettanti dispersi,  migliaia le case andate distrutte. Una piaga quella dei “wildfires” che ha da sempre afflitto il Golden State. A dicembre, quando Universal mi ha invitato nella Napa Valley per intervistare il regista di Wicked, sembrava che lui, Jon M Chu, non avrebbe potuto raggiungerci, perché insieme alla sua famiglia, era appena stato evacuato dalla loro casa nel Malibu Canyon, a causa di quello che fu ribattezzato il Franklin Fire.

Eppure, nonostante la tensione e le preoccupazioni, Chu si è presentato all’appuntamento con la determinazione di chi vive il proprio lavoro come una missione.

La nostra conversazione si è svolta in un’atmosfera intima e sincera: i suoi figli giocavano fuori dalla stanza, mentre lui – lo sguardo di chi sa affrontare anche i momenti più difficili con un sorriso – si raccontava con generosità. Abbiamo parlato del suo amore per il Mago di Oz, che ha segnato la sua infanzia, dell’intelligenza artificiale e del suo impatto sul cinema, del potere delle storie di ispirare generazioni, delle performance dal vivo delle due protagoniste e di diverse altre cose.

Ora, mentre ci avviciniamo alla 97ª notte degli Oscar – che il 2 marzo nel Dolby Theater di Los Angeles celebrerà tutta la magia di Hollywood – Wicked, tratto da uno dei musical più amati e più longevi degli ultimi vent’anni, si prepara a essere protagonista, con un Golden Globe già conquistato e ben 11 nomination ai Critics’ Choice Awards. Un successo straordinario per un un lungometraggio che non solo reimmagina un classico senza tempo, ha anche stabilito un nuovo record diventando il film tratto da un musical di Broadway con il maggior incasso di sempre, riflettendo la passione e il talento di chi ci ha lavorato. Dalle due protagoniste Ariana Grande e Cythia Erivo, fino alle migliaia di membri della crew che hanno contribuito a costruire set fisici enormi, per rendere possibile la visione di Chu, che ha voluto dare alla sua opera un aspetto il più realistico e meno artificiale possibile.  

Wicked sarà disponibile per l’acquisto digitale a partire dal 23 gennaio su piattaforme come Prime Video, Google Play, Apple TV, Rakuten TV e Microsoft. Dal 20 febbraio sarà invece noleggiabile in digitale su tutte le principali piattaforme, incluse Sky Primafila e Mediaset Infinity, grazie a Universal Pictures Home Entertainment. La versione home video include tre ore di contenuti bonus inediti, tra cui una speciale modalità karaoke, scene eliminate ed estese, e molto altro.

Quell’incontro con Jon M. Chu mi ha ricordato una grande verità: non importa quanto difficile sia il contesto, i sogni e la dedizione possono portarci ovunque. E ora, vi invito a scoprire il cuore di questa visione attraverso le parole di un artista che crede davvero nei poteri magici del cinema.

Nel 1939 Il Mago di Oz ha stabilito uno standard iconico per quanto riguarda la magia dei film, in che modo con Wicked avete onorato questa tradizione, portando allo stesso tempo una visone fresca e innovativo in questo universo?

“Penso che Il mago di Oz sia stato così iconico che in realtà è sempre stato dentro di me, è così che vedo il cinema: gigante, con inquadrature mozzafiato e una splendida integrazione tra musica e personaggi. In un certo senso, Oz mi ha cresciuto come narratore. È la Fiaba americana con la F maiuscola, ha messo quell’istinto dentro di me al pari di titoli che amo come quelli di Spielberg, George Lucas e Tim Burton. Entrando a fare parte di questo progetto, essendo già anche fan del musical Wicked, sapevo cosa dovevo proteggere. Penso che, in un certo senso, si trattasse di lasciar andare le certezze che già avevo sul tema, utilizzando le enormi risorse che mi erano state messe a disposizione da uno studio capace di fare qualsiasi cosa. In un momento in cui i film musicali venivano messi in discussione, mi hanno dato la possibilità di portare un prodotto nuovo su uno schermo gigante. Un grande cambiamento per tutta la industry. Quindi il fatto che il pubblico abbia risposto con grande passione, imparando la coreografia e ricordando a memoria ogni piccolo dettaglio, ogni battuta, per me è una soddisfazione enorme. È un incoraggiamento per tutti gli studios. Si dovrebbero fare più film grandiosi, come Il Gladiatore 2, Moana e Oz, perché sono questi che portano le persone al cinema”.

Questo è il primo musical Disney che è riuscito ad arrivare a 100 milioni di incassi il fine settimana di apertura, ora siamo già oltre i 600 milioni. Un Golden Globe vinto e diversi altri riconoscimenti, cosa significa per lei? 

“Sono in questo settore da un po’ di tempo ormai e ho intenzione di restarci a lungo, so che non è sempre così, che le cose vanno su e giù. Cerco sempre di impegnarmi il più possibile in ogni film, ma sono in una fase diversa della mia vita ora. Sono un papà e voglio creare racconti che i miei figli possano vedere. Voglio mettere in discussione le storie con cui siamo cresciuti, in cui la felicità era sempre la cosa più importante. Forse la felicità non è l’unica meta, forse è il viaggio che conta. Dobbiamo farci delle domande e trovare le nostre risposte, non c’è un uomo dietro le quinte che risolverà tutti i problemi per noi. Penso che sia questo il capitolo in cui ci troviamo, il cinema ha sempre posto al pubblico quesiti su chi siamo e chi diventeremo, le storie in un certo senso guidano la visione di ciò che è e potrebbe essere, quindi sono felice di essere parte di questo universo”.

Per questa pellicola ha costruito set enormi con coreografie di centinaia di persone, ha assemblato città e piantato milioni di fiori. In che modo questo suo approccio pratico ha influenzato le riprese e la recitazione in Wicked?

“Era parte del concetto iniziale: se la storia riguardava scoprire la verità e la posta in gioco era così alta, dovevamo rendere Oz un luogo reale, con relazioni autentiche. Altrimenti, sarebbe sembrato di giocare con dei pupazzi. Le ragazze meritavano uno spazio naturale, illuminato dal sole vero, non luci di scena. Graffi, polvere, fango, doveva essere tutto fisico. Ecco cosa abbiamo provato a fare. È stata un’enorme collaborazione di tutti i dipartimenti: costumi, make-up, attori, artisti digitali. Lo scopo comune era mostrare al mondo il potere del cinema, su una scala gigante e al livello più intimo”.

Di recente durante gli HCA Awards lei hai detto che questa  potrebbe essere l’ultima stagione cinematografica senza computer direttamente coinvolti. Può Spiegarci meglio cosa intendeva dire? 

“Sì, siamo a un punto di svolta: i computer hanno imparato a emularci. Dobbiamo chiederci: è questa vera creatività? Una Lente, una fotocamera, la qualità di un filtro, sono considerabili creatività o c’è  qualcosa di più?  l’IA è solo uno strumento da usare. Il bello è che siamo noi a decidere cos’è l’arte. Noi decidiamo se i graffiti sul muro sono vandalismo o protesta poetica. La peggior reazione sarebbe ignorare il progresso e temerlo, perché così lui farebbe ciò che vuole. Ma se lo gestiamo creativamente, credo ci sia un futuro luminoso davanti a noi”.