The Apprentice: ovvero, lo strano caso del film boicottato dal suo stesso finanziatore. Esce oggi in 1.700 sale degli Stati Uniti – e giovedì prossimo nelle sale italiane – il film di Ali Abbasi che racconta il giovane Donald Trump ambizioso, cinico, desideroso di potere. Un film che ha rischiato di non trovare la strada delle sale cinematografiche. Ecco una storia paradossale.
Scritto dal giornalista di Vanity Fair Gabriel Sherman, The Apprentice percorre la storia di Donald Trump negli anni ’70 e ’80. Del film si parla dal 2018. La regia viene affidata al danese/iraniano Ali Abbasi, talento in ascesa del panorama internazionale, premiato nella sezione Un certain regard di Cannes per Border, e di nuovo premiato – con il premio alla migliore interpretazione femminile – per Holy Spider, nel 2022.
A finanziare il film interviene, con la sua Kinematics, il milionario Dan Snyder, grande sostenitore di Trump. Nella campagna elettorale del 2016, Snyder aveva donato un milione di dollari alla causa dell’“Orange One”. Snyder sostiene il film per circa metà del suo budget complessivo. Ma quando nello scorso febbraio vede un primo montaggio del film, ne esce furibondo. Non è un film pro-Trump: semmai, è il contrario.
The Apprentice – il titolo echeggia la trasmissione televisiva condotta da Trump, che però col film non c’entra nulla – racconta gli anni in cui Trump, interpretato da Sebastian Stan, da ragazzone un po’ maldestro e velleitario diventa un imprenditore cinico, pronto a voltare le spalle anche al suo mentore Roy Cohn, interpretato da Jeremy Strong.
Nel film Trump viene mostrato mentre assume anfetamine, si fa praticare la liposuzione, si fa ridurre il cuoio capelluto per coprire la calvizie. E in una scena costringe con la violenza ad un rapporto sessuale la moglie Ivana, interpretata da Maria Bakalova. Ivana Trump, all’epoca moglie di Trump, denunciò effettivamente Trump per violenza sessuale durante il processo per divorzio. Poi ritrattò le accuse, dicendo che il termine “violenza” non andava inteso in senso “letterale o criminale”.
Il film va al festival di Cannes, in concorso, a maggio. Riceve otto minuti di applausi nel Grand Théatre Lumière, recensioni entusiastiche. Ma la società di Snyder, la Kinematics, cerca di impedire l’uscita del film.
Anche le reazioni più propriamente politiche non si fanno attendere. Steven Cheung, direttore della campagna elettorale di Trump, dichiara che il film è “pura diffamazione malevola” e “non dovrebbe vedere la luce del giorno”. Commenta, in un’intervista a Variety: “Questa spazzatura sensazionalizza bugie che sono state già smascherate. E rappresenta una interferenza sulle elezioni da parte delle élites di Hollywood”. Conclude lapidario: “Questo ‘film’ non merita un posto neppure nel cesto dei dvd in offerta in un negozio di home video in chiusura”.
Il clima è pesante. E le grandi distribuzioni americane evitano di prendere il film nel proprio listino. Allo stesso modo, anche le grandi piattaforme – Netflix, Prime Video – non prendono il film in catalogo.
“Normalmente, quando ricevi l’accoglienza che abbiamo ricevuto a Cannes dalla critica, i distributori fanno a gara per prendere il film”, commenta Ali Abbasi. Il cui film precedente, Holy Spider, su un serial killer che uccide per fanatismo religioso in Iran, tratto da una storia vera, aveva trovato un distributore internazionale in poche ore, dopo la proiezione al festival di Cannes. E questo, nonostante la condanna del ministro della cultura iraniano, che aveva paragonato il film di Abbasi ai Versetti satanici di Salman Rushdie, definendo il film “odioso, falso e disgustoso”.
The Apprentice rimane, così, in un limbo dopo il festival di Cannes. Viene proiettato in agosto al festival di Telluride, ma ancora non ha un distributore americano. Poi entra in scena Tom Ortenberg.
Sessantaquattro anni, Ortenberg ha spesso prodotto e distribuito film con valenza politica: ha prodotto Il caso Spotlight, il film sugli abusi sessuali perpetrati su bambini dai preti nell’Arcidiocesi di Boston, premiato con l’Oscar per il miglior film nel 2016. Ha distribuito, quando era presidente della Lions, il documentario Fahrenheit 9/11 di Michael Moore. E con la Briarcliff, la società che ha fondato nel 2018, ha distribuito The Dissident, il documentario di Bryan Fogel sull’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi.
È Ortenberg che fa un’offerta per distribuire il film: offerta rifiutata dalla Kinematics di Dan Snyder. Ma poi, la Kinematics esce dal film: le sue quote vengono comprate dalla Rich Spirit di James Shani, giovane imprenditore 36enne. Non ci sono più ostacoli all’uscita del film, se non il tempo. Viene fissata la data di uscita per l’11 ottobre, c’è poco tempo per preparare una promozione. Parte una campagna di crowdfunding su Kickstarter per sostenere la campagna di uscita.
Il primo trailer viene diffuso il 10 settembre, giorno del dibattito fra Trump e Kamala Harris. The Apprentice viene presentato in anteprima martedì 8 ottobre a New York, nella sede della Directors Guild of America, la DGA.
“Distribuirlo a un mese dalle elezioni americane? Non è un’affermazione politica, ma semplicemente una strategia di mercato”, dice il distributore Orteneberg. E aggiunge: “Chiaramente, il film sarà un contendente per gli Oscar”.
All’anteprima newyorkese, il regista Ali Abbasi viene intervistato da Patrick Brzeski per The Hollywood Reporter. E rivela: “Non ti dico come votare, con questo film. Ma se ti chiedi che tipo di persona sia Trump, come sia arrivato dove è arrivato, abbiamo delle risposte”. Rispetto alla versione vista al festival di Cannes, Abbasi ha lavorato apportando alcune modifiche.
Nell’intervista Abbasi dice: “In realtà volevo uscire dalla dicotomia ‘per Trump o contro Trump’, dipingere Trump in buona o in cattiva luce. Per me è difficile dipingere un personaggio che odio del tutto: in precedenza, non sono riuscito a fare un film sul medico nazista Josef Mengele. Il giovane Donald Trump, che negli anni ’70 vuole essere qualcuno e costruire qualcosa, ha tratti in cui mi riconosco. Ma il Trump degli anni ’70 e dei primi anni ’80 è diverso da quello che corre per la presidenza oggi”.
Sul suo coinvolgimento nel progetto: “Molti registi americani che sarebbero stati ottimi per fare questo film non volevano rischiare le loro carriere. Nessun altro voleva farlo. E io ho pensato che era importante che qualcuno ci provasse. Io sono un outsider, uno che viene da fuori. E questo mi dà un’altra prospettiva”.
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