Vermiglio, il film di Maura Delpero che a Venezia ha vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria è nella cinquina dei film finalisti in gara per il Golden Globe al miglior film straniero.
La notizia della nomination arriva alla vigilia del suo arrivo negli USA dove accompagnerà le presentazioni del suo film per riuscire a entrare anche nella cinquina delle nomination all’oscar nella stessa categoria. In realtà il film è stato già proiettato a New York, al MoMA, lo scorso novembre, dove ha per la prima volta incontrato un pubblico americano. Sulla reazione degli spettatori newyorchesi e su quelle della stampa estera The Hollywood Reporter Roma ha parlato, in esclusiva, con la regista.
THR Roma Nella conversazione al MoMA, dopo la proiezione del suo film, ha detto che ha scritto e poi realizzatio questo film con sua “nonna nella pancia”. Puo’ approfondire questa idea?
Maura Delpero Mi riferivo al fatto che la donna che nel film è la madre, è la donna che ha partorito mio padre ed è la donna che io sento ancora nella pancia: una donna che ho sempre sentito nel mio essere donna in una società che sta uscendo a fatica del patriarcato. Tra me e quella donna c’è un abisso. E’ una donna che non è mai uscita da una cucina ed è stata incinta per vent’anni. Scegliere di ambientare la storia del film in questo anno di passaggio tra il mondo in guerra e il mondo in pace mi sembrava particolarmente interessante perché mi permetteva di raccontare un mondo di transizione, un mondo passato che però è ancora in dialogo con noi. Non è un passato esotico e lontano in cui dici ‘ah, guarda come come vivevano questi nostri lontani antenati’. Da una parte c’è stata una rivoluzione tra il suo essere donna in questo mondo, nella nostra società, e quello in cui vivo io. Dall’altra, io ho sempre sentito che venivo da lì, ho sempre sentito che quello era il mio passato. Questo film mi sembrava che desse la possibilità di guardare all’altro ieri, di guardare alla posizione delle donne nel recentissimo passato per sentire ancora vivamente da dove veniamo e quanto c’è ancora da fare.
THR Roma Sempre a New York, ha definto tutto il suo film come un film su “vittime di guerra”. Può spiegare e approfondire anche questa definizione?
Maura Delpero: Era una risposta generata dalla domanda se esistessero davvero personaggi buoni o cattivi nel film. Ho risposto che alla base di Vermiglio c’è una mia deliberata volontà di raccontare personaggi umani nel loro vissuto e nelle loro debolezze. Da questo punto di vista è un film sulla tragedia della guerra che la racconta in maniera indiretta con la sensazione che forse la guerra è un po’ indicibile, perchè mi interessava più raccontare la guerra attraverso gli occhi vuoti dei soldati che tornano, la guerra che non permette di fare studiare tutti i figli, la guerra che fa morire i bebè, la guerra che lascia che ci siano dei bimbi orfani che aspettano padri che non torneranno, la guerra che provoca un caos burocratico e la perdita degli archivi e anche quindi, di conseguenza, la possibilità di occultare la verità su chi è sposato e chi no. In qualche modo è tutto un mondo deprivato, un mondo rotto dalla guerra e tutti ne sono più o meno vittime.
THR Roma Sempre al MoMA ha parlato anche della influenza, sulla sua formazione, del cinema di Olmi. Quando e come ha incontrato i suoi film?
Maura Delpero In realtà io non credo ci siano influenze dirette. Anche perchè io non ho fatto una scuola di cinema e anche per questo non ho avuto dei miti o dei maestri o delle scuole da seguire. Credo che le mie influenze siano più miste, dettate da una formazione più caotica, bulimica che è nata fondamentalmente dalla mia frequentazione di tutti i film, dai classici ai contemporanei. Quando faccio un film difficilmente ho questa idea di fare un film ‘à la manière de’. Dopodiché, è ovvio che si vede in un film ciò che amiamo e credo che Olmi, che ho sempre amato moltissimo, sia, come dire, venuto a galla per una questione anche tematica: mia mamma viene non dalle montagne, ma dalle campagne mantovane, dalle campagne lombarde. Un mondo molto simile, quello dei miei nonni materni, a quello dell’ Albero degli zoccoli. E’ anche per questa ragione che è un film che mi hanno mostrato prestissimo. A differenza dei miei compagni di classe ne capivo il dialetto perché era un dialetto, quello bergamasco, con molte similitudini con quello mantovano. Credo anche che ci sia sicuramente un comune amore per la terra, la volontà di celebrare quel mondo rimanendo attaccati a quelle radici anche lavorando con non professionisti della zona facendo in modo che sia una rappresentazione che parte dal basso, che parte da lì e non arrivi dall’alto come una produzione cinematografica che cala dalla capitale nella provincia.
THR Roma Le recensioni in lingua non italiana sono state molto positive. Una notazione che ricorre piuttosto frequentemente in queste critiche è la qualità di un set così ricco di personaggi e la sua capacità di gestirli tutti come in un vero romanzo..
Maura Delpero E’ una notazione in cui mi riconosco profondamente. Quando ho iniziato questo film ho sentito che aveva una sorta di passo romanzesco: queste grandi famiglie che contengono tante storie e sono una comunità, ovvero un insieme di individui che sono individui ma che sono anche parte di una comunità, si influenzano reciprocamente e i destini sono interdipendenti. In qualche modo ho avuto la sensazione di dover lavorare come in un romanzo allontanandosi dal centro, dal fuoco, per poi ritornarvi. Si va a vedere cosa è successo all’altro fratello perché in realtà ciò che gli accade è un destino differente. E’ ovvio che Ada è una vittima della guerra perché non può andare a studiare, ma se non avesse avuto una sorella così brava a scuola come Flavia probabilmente avrebbe potuto farlo. Nei racconti di mio padre, ho sempre percepito questa comunità e questi destini individuali ma che sono parte dello spartito di un racconto corale. La scrittura è stata una gran fatica, era una grande scommessa quella di mantenere l’emozione alta sui tutti i personaggi, anche perché il pubblico è più abituato al cammino dell’eroe, al protagonista unico, a un punto di vista dominante. Qui invece la scommessa era proprio far stare lo spettatore con i diversi personaggi, sia nella loro individualità che nel loro essere parte di una comunità.
THR Roma Leslie Felperin, su “The Hollywood Reporter”, ha scritto che il film sembrerebbe poter felicemente dar vita ad una serie. Ci hai pensato?
Maura Delpero No, perché credo profondamente al tempo unitario di un’opera che inizia e si conclude. Un film è una proposta allo spettatore di entrare in un tempo, in uno spazio, in una dimensione immersiva anche con una richiesta importante di attenzione e di concentrazione che vanno mantenute. Mi piacerebbe molto che lo spettatore lo vedesse al cinema senza distrazioni, senza la discontinuità del racconto delle serie che consentono di entrare e uscire e di interrompere. Posso capire che Vermiglio possa far pensare ad una estensione seriale ma penso anche che le storie non debbano essere completamente sfruttate e spremute come limoni in una durata virtualmente infinita. E ci tengo a sentire nel film una compattezza ed una unità da romanzo che hanno più affinità con il lungometraggio.
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